Nel segno dell’incontro tra Francesco e il Sultano e della parabola del Buon Samaritano e in nome di una fratellanza universale la terza Lettera enciclica di papa Francesco, nuovo testo cardine della Dottrina sociale della Chiesa, mette al centro con forza e originalità alcuni temi chiave dei nostri giorni come il populismo, la questione dei migranti, il ruolo della politica e della società civile, la generatività e l’arte del dialogo.
L’enciclica Fratelli tutti affronta senza timore alcune delle questioni più spinose dei nostri tempi, come la distorsione del concetto di popolo e lo sfruttamento demagogico delle paure delle persone sul tema delle migrazioni. Non ha paura su questo punto a indicare l’orizzonte ideale (ma anche il principio morale) di «diritti senza frontiere» con parole chiarissime: «Nessuno dunque può rimanere escluso, a prescindere da dove sia nato, e tanto meno a causa dei privilegi che altri possiedono per esser nati in luoghi con maggiori opportunità. I confini e le frontiere degli Stati non possono impedire che questo si realizzi.
Così come è inaccettabile che una persona abbia meno diritti per il fatto di essere donna, è altrettanto inaccettabile che il luogo di nascita o di residenza già di per sé determini minori opportunità di vita degna e di sviluppo» (121). Pur mirando all’importante obiettivo di aiutare i Paesi di origine a raggiungere i nostri livelli di benessere il Papa ricorda che il dovere morale del cristiano in questo momento non può che essere quello di «accogliere, proteggere, promuovere e integrare» (129). L’enciclica torna inoltre sul tema generale del sistema socioeconomico contestando ancora una volta (come già nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium) la teoria giustificazionista dello 'sgocciolamento' a valle del denaro dei ricchi come soluzione quasi automatica al problema delle diseguaglianze. E ribadisce, in piena coerenza con la tradizione della dottrina sociale, l’importanza di un’azione a più mani perché la 'mano invisibile' del mercato da sola non risolve i problemi.
Fondamentale dunque l’azione della società civile, cioè di tutti noi: «Grazie a Dio tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani fondamentali e a situazioni molto critiche di alcuni gruppi. Così acquista un’espressione concreta il principio di sussidiarietà, che garantisce la partecipazione e l’azione delle comunità e organizzazioni di livello minore, le quali integrano in modo complementare l’azione dello Stato e dei rappresentanti delle istituzioni». (175). Ma è sul ruolo della politica e delle istituzioni che la Fratelli tutti si sofferma con attenzione particolare.
Che la politica fosse la forma più alta della carità lo dicevano in termini generali già Pio XI e san Paolo VI. Ma il modo in cui è stato ribadito in quest’enciclica è molto bello: «È carità stare vicino a una persona che soffre, ed è pure carità tutto ciò che si fa, anche senza avere un contatto diretto con quella persona, per modificare le condizioni sociali che provocano la sua sofferenza. Se qualcuno aiuta un anziano ad attraversare un fiume – e questo è squisita carità –, il politico gli costruisce un ponte, e anche questo è carità. Se qualcuno aiuta un altro dandogli da mangiare, il politico crea per lui un posto di lavoro, ed esercita una forma altissima di carità che nobilita la sua azione politica ». (186).
Da sottolineare l’affondo sul tema della generatività che prosegue dopo l’immagine del 'tempo superiore allo spazio' della Evangelii gaudium (più importante avviare processi che hanno effetti nel tempo piuttosto che occupare spazi di potere tanto per occuparli) con l’accenno alla fecondità che è più importante del successo: «È grande nobiltà esser capaci di avviare processi i cui frutti saranno raccolti da altri, con la speranza riposta nella forza segreta del bene che si semina» (196). Per costruire pace e fratellanza il testo si sofferma anche su una questione di metodo con un passo molto bello sull’arte del dialogo che ha sullo sfondo la logica del presupponendum ignaziano: «L’autentico dialogo sociale presuppone la capacità di rispettare il punto di vista dell’altro, accettando la possibilità che contenga delle convinzioni o degli interessi legittimi.
A partire dalla sua identità, l’altro ha qualcosa da dare ed è auspicabile che approfondisca ed esponga la sua posizione perché il dibattito pubblico sia ancora più completo».(203) Torna nell’enciclica un’altra immagine cara a questo pontefice, quella del poliedro. La realtà, pur avendo una sua profonda unitarietà, è ricca della diversità di tante diverse prospettive e sfaccettature. L’obiettivo della fratellanza universale non potrà mai essere raggiunto se non partendo dalla valorizzazione della ricchezza delle differenze attraverso un dialogo lungimirante e pronto a cogliere la ricchezza e la parte di verità che è nell’altro.
La fratellanza e l’amore universale, sembra concludere papa Francesco, non sono l’emozione di una canzone. Per poter essere perseguite e realizzate richiedono volontà e impegno. E passano attraverso una sensibilità personale simile a quella del buon samaritano, la vigilanza e il contrasto alle degenerazioni ideologiche e della comunicazione dei nostri giorni, una società civile attenta e impegnata, politici lungimiranti e illuminati, capacità di vera generatività e arte del dialogo.