Crisi di governo su sfondo internazionale

Giovedì, 11 Febbraio, 2021

La crisi di governo italiana, che in questi giorni conosce la svolta imposta dal Presidente della Repubblica con l’incarico a Mario Draghi, è da settimane oggetto di accurate analisi politiche. Si guarda a questo passaggio come ad una fase ulteriore di una guerra di potere non solo fra le forze politiche ma anche al loro interno, fra fazioni alternative. A questo si aggiunge una lettura fatta di opposti personalismi: quelli di Renzi e di Conte, ma anche quelli di Salvini e Zingaretti. Tutte figure che hanno teso a proporsi, sul terreno delle scelte e delle tattiche, come il punto di sintesi coerente e totalizzante delle rispettive forze politiche. Un divenire degli eventi, questo, che gli osservatori più attenti hanno colto come la rappresentazione della disgregazione dell’intero quadro politica italiano, che in queste ore subisce l’ulteriore accelerazione dei diversi riposizionamenti delle forze che siedono nel Parlamento della Repubblica.

Rispetto a questa serie di letture e all’attenzione crescente per la composizione del nuovo governo che il Presidente incaricato sottoporrà al Capo dello Stato, è caduta in una sorta di cono d’ombra la possibilità di leggere questo passaggio della storia italiana dentro una cornice più ampia e per certi aspetti più articolata e problematica: quella europea e internazionale. Un simile punto di vista, del resto, non può essere ridotto alla sterile professione di “europeismo” richiesta o esplicitata in questi giorni da vari esponenti politici. Perché non è solo la scelta di Mario Draghi a inquadrarsi in un orizzonte più ampio delle semplici dinamiche parlamentari italiane, ma è l’intera crisi di sistema che il paese attraversa che assume un rilievo internazionale. Il logoramento progressivo della tenuta del governo presieduto da Giuseppe Conte si verifica infatti non solo dentro la scansione cronologica della pandemia ma segue anche un calendario che si snoda fra alcune cancellerie europee, l’area mediterranea e l’altra sponda dell’Atlantico.

Il 16 gennaio scorso la CDU tedesca ha eletto il suo nuovo presidente, indicato e sostenuto dalla cancelliera Merkel, che in occasione delle elezioni generali del prossimo settembre lascerà la guida del governo tedesco dopo sedici anni spesi alla guida di quello che è divenuto il cuore politico ed economico dell’Unione Europea. Si tratta di una scelta, quella di Armin Laschet, che non segna solo un elemento di continuità con le scelte operate dalla Merkel, ma si inquadra dentro una rete più estesa, che include anche la Commissione Europea, presieduta da Ursula von der Leyen, che del governo Merkel era il ministro della Difesa, e il Parlamento Europeo, dove Manfred Weber presiede il gruppo del Partito Popolare Europeo. Quello che si disegna è allora un quadro europeo nel quale la Germania ha assunto oggettivamente il ruolo di pernio politico di una fase delicatissima di ripresa del processo di costruzione dell’Unione che passa per una scelta strategica: quella del programma Next Generatio E.U.. Perché al di sotto della superficie degli oltre 700 miliardi previsti e dei progetti da presentare, il cuore politico della proposta è che quel piano rende di fatto necessaria la costituzione di una forma di governo europeo delle risorse di finanza pubblica: con l’emissione di titoli di finanziamento gestita dalla Commissione Europea e dunque della nascita di un debito comune che si aggancia a investimenti specifici, quali la conversione sostenibile del sistema economico e dei trasporti o la tutela dei diritti fondamentali.

Guardando invece al quadro mediterraneo, la vicenda libica, con il passaggio del sequestro e del rilascio dei pescatori italiani da parte delle autorità di Bengasi, e il tormentato rapporto fra l’Italia e l’Egitto attorno al tragico omicidio di Giulio Regeni, assumono un valore politico sullo stato dei rapporti in questo quadrante geopolitico. Appare evidente un ripiegamento dell’Italia rispetto ad un ruolo che era sempre stato di equilibrio rispetto alle opposte tensioni che si intersecavano fra le quattro sponde mediterranee. Se ancora nel 2006 il nostro paese appariva come l’interlocutore capace di farsi carico del fragile equilibrio fra le diverse anime del Libano, oggi l’Italia sembra avere una posizione assai più fragile sul piano diplomatico, in un’area nella quale il protagonismo di soggetti come la Turchia e la Russia si gioca anche sul piano muscolare dell’uso della forza.

Un terzo orizzonte a cui guardare è quello “atlantico”, segnato da una difficilissima campagna elettorale per la Presidenza degli Stati Uniti, dalla vittoria di Joseph Biden e dalla scelta del presidente uscente, Donald Trump, di aprire uno scontro politico e costituzionale interno alla democrazia americana. Il passaggio delicatissimo che ha portato al rifiuto, da parte di Trump, di ammettere la sconfitta elettorale, che è passato attraverso l’assalto a Capitol Hill da parte dei sostenitori del presidente uscente ed è arrivato all’insediamento di Joseph Biden, ha un duplice valore. Mette a nudo una crisi profonda della cultura politica americana e del suo costituzionalismo ma segna anche un netto mutamento del quadro internazionale, nel quale l’amministrazione Trump aveva giocato il ruolo di punto di riferimento per formule politiche di matrice “sovranista” e “populista” anche in Europa. La presidenza Biden segna una netta cesura rispetto a tutto questo, sancita, ad esempio, dalla netta presa di posizione del primo ministro inglese Boris Johnson a sostegno di Biden di fronte alle immagini della folla che assalta il Congresso a Washington. Un cambio di referenza politica, quello operato da Johnson, che testimonia in modo netto la consapevolezza di quanto la nuova presidenza incida sulle relazioni transatlantiche.

Limitandosi a porre la crisi di governo italiana sotto la luce incrociata di questi tre elementi europei e internazionali la sequenza che interseca la caduta del governo Conte, la difficile ricerca di una ricomposizione della maggioranza uscente e infine la scelta del Presidente della Repubblica di incaricare l’ex Presidente della Banca Centrale Europea assume un valore ulteriore. Lo sgretolamento della maggioranza che sosteneva il governo Conte si accompagna infatti alla tormentata vicenda della stesura del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza che dovrebbe tradurre il Next Generation E.U. nel nostro paese. Le evidenti fragilità del testo emerso, in tre successive riprese, dal lavoro del governo Conte hanno segnato non tanto un fallimento di carattere tecnico ma una evidente carenza sul terreno strettamente politico. Alla radice della incapacità del Governo e delle Istituzionali della Repubblica di produrre una progettualità credibile rispetto ai parametri esplicitati dall’Europa, vi è l’assenza di una vera e proprio cultura politica europea fra le forze che siedono in Parlamento. Manca cioè la capacità di produrre una lettura del paese che declini problemi irrisolti, debolezze, potenzialità e capacità dentro un orizzonte europeo.

Ugualmente, il modo in cui il quadro politico italiano ha guardato, o spesso ignorato, il quadro internazionale soprattutto nell’area mediterranea, è la spia di una crisi profonda nella consapevolezza politica che la classe dirigente dovrebbe avere del ruolo dell’Italia. Ridurre il Mediterraneo al problema dei flussi migratori o arrivare a farlo uscire dall’agenda politica del paese, sono orientamenti che denunciano una incapacità profonda di leggere come il nostro paese sia de facto il crocevia di tensioni che attraversano questa area del mondo non solo da est a ovest, ma anche da nord a sud.

Infine, il capitolo americano, si dipana attraverso una gestione dei rapporti transatlantici che oggettivamente ha mostrato un eccesso di prudenza che sembrava confermare un rapporto di forte vicinanza politica fra il Presidente del Consiglio Conte e Donald Trump. Di fronte alla rapida presa di posizione delle cancellerie europee per i fatti di Capitol Hill, la posizione vaga assunta da Palazzo Chigi è sembrata confermare una relazione politica con un’amministrazione americana uscente che aveva fortemente messo in discussione le forme e i caratteri del ruolo statunitense anche rispetto a paesi come il nostro. Il cambio di presidenza a Washington segna un mutamento di priorità e di agenda politica che investe anche il nostro paese, per il suo ruolo nel Mediterraneo e in Europa. Ed è certo evidente che la possibilità sempre più concreta di un governo presieduto da una figura come quella di Mario Draghi riallinei Roma ad un quadro transatlantico che torna ad essere un cardine della politica americana.

Occorrerebbe forse che anche questi elementi entrassero nella valutazione che l’opinione pubblica sta cercando di maturare di queste settimane di crisi politica. Perché al di là delle pulsioni interne ad un quadro politico fragilissimo sul piano culturale prima ancora che politico, è anche guardando a questi elementi che il Capo dello Stato ha scelto di non risolvere la crisi con il ricorso alle elezioni anticipate. Del resto, proprio la capacità che il nostro paese saprà dimostrare di realizzare in modo efficace il Next Generation E.U. è un tassello essenziale della costruzione di un’Unione Europea con una identità politica più forte e marcata. Allo stesso modo, è attraverso la declinazione di una nuova funzione di pacificatore nell’area Mediterranea da parte del nostro paese che può passare la ripresa di un governo equilibrato delle tensioni dell’area geopolitica di cui siamo il centro geografico e non solo. Due aspetti, quello del nostro ruolo europeo e mediterraneo, che sono essenziali nella costruzione di un rapporto equilibrato con gli Stati Uniti che per il nostro paese rappresenta un elemento rispetto al quale, almeno ad oggi, non sembrano esserci alternative solide.

Riccardo Saccenti
Comitato Scientifico Argomenti2000