Ambiente, nuovo cantiere del terzo millennio

PREMESSA

Nel 1946, dopo i disastri della guerra, i Padri Costituenti, non affrontarono nella Costituzione Repubblicana in modo organico la questione ambientale, prioritari e drammatici erano i problemi sociali ed economici da affrontare (unico riferimento l’Art. 9 della Costituzione sulla tutela del paesaggio).

La giurisdizione italiana inizia ad occuparsi d'inquinamento nel 1976 con la Legge 10 maggio 1976, n. 319 (c.d. “Legge Merli”), introducendo per la prima volta i quantitativi massimi d'inquinamento ammissibili e le pene relative se non rispettati.

Il primo Ministero dell'Ambiente fu istituito il 1º agosto 1986 dal secondo Governo Craxi, scorporandolo dal Ministero dei Beni Culturali. Con la Riforma Bassanini, D. Lgs. n. 300/1999, assunse la denominazione di Ministero dell'Ambiente e della Tutela del Territorio, accorpando alcune funzioni del Ministero dei Lavori Pubblici. La riforma entrò in vigore nel 2001 col secondo Governo Berlusconi. 

Nel 2006, col secondo Governo Prodi assunse l'attuale denominazione, trasferendogli la competenza sul mare, che ha conservato anche con i successivi esecutivi. È solo da 29 anni che la politica italiana ha iniziato ad occuparsi organicamente della questione ambientale ed è solo dal 2006 che il ministero si è completato nelle sue funzioni.  Tuttavia, la coscienza ecologica personale e comunitaria nei decenni a cavallo dei due millenni, è andata oggettivamente ad aumentare, interessando con maggior intensità i movimenti, le università, la comunità scientifica internazionale e le istituzioni.

Nella storia umana, così come nel nostro tempo della modernità avanzata

(o post – modernità), molte sono le problematiche di cui la Politica si deve occupare. Tuttavia oggi, è convinzione condivisa che il rapporto natura – cultura deve ritrovare quell’equilibrio perduto dall’avvento della rivoluzione industriale in poi.

LA QUESTIONE AMBIENTALE

L’ambiente a tutti gli effetti è diventato il nuovo cantiere del terzo millennio. 

La politica non può non tenerne conto, anzi, ha il dovere di porvi particolare attenzione e questa volta non è nelle condizioni di permettersi di rincorrere gli effetti (spesso drammatici) ma è obbligata ad anticiparne la cause, “in tempi ristretti”, al fine di non compromettere la stessa presenza della vita umana sul pianeta.

La presa di coscienza collettiva planetaria di un mondo finito, di una comunità internazionale numericamente in forte aumento, dell'alterazione climatica dovuta all'attività umana e dell'energia convenzionale limitata, impongono un modello di convivenza e di sviluppo diverso dall'attuale e comunque una conversione accelerata verso un modello di sviluppo ecosostenibile.

Innumerevoli sono le iniziative di riflessione, conferenze, simposi, riunioni, protocolli, agende, carte ed impegni internazionali, continentali e buone pratiche territoriali che si sono svolte e si stanno sviluppando. Ora più che mai la diffusa e rinnovata coscienza ecologica ci obbliga a “pensare globalmente e agire localmente”, ponendo la questione ambientale come priorità e comunque all’interno del concetto di sviluppo sostenibile. Il significato di tale concetto, è andato a definirsi negli anni ’70 del secolo scorso. Si è preso coscienza che il concetto di sviluppo classico, legato esclusivamente alla crescita economica, avrebbe causato entro breve il collasso dei sistema naturali. Infatti, la cresci economica di per sé non basta più, lo sviluppo è reale solo se migliora la qualità della vita in modo duraturo. Nel 1987 la commissione indipendente sull’ambiente e lo sviluppo (World Commission on Environment and Development) così definisce il concetto di sviluppo sostenibile: “l’umanità ha la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo, cioè di far si che esso soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di rispondere ai loro”.

IL CONCETTO DI SVILUPPO SOSTENIBILE

Nelle scelte politiche, nessuna delle tre componenti
(sociale, ambientale ed economica) potranno essere escluse

 

LA NUOVA CULTURA DEI BENI COMUNI

Se la maggioranza degli abitanti del nostro pianeta iniziasse a considerare l’ambiente come “Bene Comune”, risulterebbe più semplice proteggerlo dalle insidie dell’uomo. Ovviamente, per fare in modo che questa definizione non rappresenti una generica utopia, occorre mettere in atto politiche concrete di tutela ambientale. 

Per spiegare cosa si intende per “Bene Comune”, ci può aiutare un’interpretazione degna di essere diffusa, che ci parla di “Beni Comuni”, come quelli che non coincidono né con la proprietà privata, né con la proprietà dello Stato. “Beni Comuni”, sono quei diritti inalienabili e fondamentali delle persone, come il diritto alla vita, al bene primario dell’acqua (si ricorda la grande mobilitazione nazionale che ha stabilito che l’acqua sia e debba rimanere in capo al controllo pubblico ed accessibile a tutti), alla conoscenza in rete ecc... che possono essere goduti senza ricorrere a forme di pagamento o attraverso concessioni pubbliche. 

Un importante atto istituzionale, nel corso della IX Legislatura del Consiglio Regionale della Lombardia, fu il momento in cui , per la prima volta, venne introdotto il concetto di “Suolo Bene Comune” all’interno della Legge Regionale sul riordino del Testo Unico sull’Agricoltura. Si segnala che questa definizione è ripresa nel testo del disegno di legge sul contenimento del consumo di suolo, d'iniziativa parlamentare, attualmente in discussione alla Camera dei Deputati.

 

LE CONFERENZE INTERNAZIONALI SUL CAMBIAMENTO CLIMATICO

1992 – Rio de Janeiro – Conferenza sull’Ambiente e sullo Sviluppo delle Nazioni Unite (UNCED). Il “Summit della Terra”, a cui presero parte le delegazioni di 154 nazioni, si concluse con la stesura della Convezione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, meglio conosciuta come United Nations Framework Convention on Climate Change (UNFCCC). Obiettivo del trattato era quello di ridurre le emissioni di gas serra nell’atmosfera, sulla base della teoria del riscaldamento globale. Entrata in vigore, senza alcun vincolo per i singoli Paesi, il 21 marzo 1994, la Convezione Quadro prevedeva una serie di adeguamenti o protocolli che, nel tempo, avrebbero introdotto limiti obbligatori alle emissioni di CO2. Altro obiettivo del trattato era il raggiungimento, entro il 2000, della stabilizzazione delle concentrazioni di gas serra nell’atmosfera rispetto ai livelli del 1990. I Paesi più industrializzati si attribuirono gran parte delle responsabilità dei cambiamenti climatici. Dal 1994 le delegazioni decisero di incontrarsi annualmente nella Conferenza delle Parti (COP).

1995 – Berlino – COP-1. Dal primo incontro della Conferenza delle Parti emersero serie preoccupazioni sull’efficacia delle misure elaborate dai singoli Stati per mantenere gli impegni della Convenzione Quadro. Risultato del summit fu il Mandato di Berlino che fissava una fase di ricerca, della durata di due anni, per negoziare Stato per Stato una serie di azioni adeguate. Le nazioni in via di sviluppo furono esentate da obblighi vincolanti addizionali, a causa del principio, stabilito nella Conferenza di Rio de Janeiro, delle “responsabilità comuni, ma differenziate”.

1996 – Ginevra – COP-2. La Seconda conferenza delle parti ebbe luogo a Ginevra. Ne conseguì una dichiarazione, basata essenzialmente sulla posizione degli Usa, che accettava i rilievi scientifici sui mutamenti climatici contenuti nel secondo rapporto dell’IPCC, auspicava il ricorso a politiche flessibili e stabiliva l’urgenza di “obblighi a medio termine legalmente vincolanti”.

1997 – Kyoto – COP-3. Il Protocollo di Kyoto fu adottato al termine di negoziati convulsi che videro tra i protagonisti l’ex vicepresidente Usa e Premio Nobel per la Pace Al Gore. Gran parte dei Paesi industrializzati e diversi Stati con economie di transizione accettarono riduzioni legalmente vincolanti delle emissioni di gas serra, comprese mediamente tra il 6 e l’8 per cento rispetto ai livelli del 1990, da realizzare tra il 2008 e il 2012.

2000 – L’Aja – COP-6. La conferenza de L’Aja, che avrebbe dovuto affrontare i nodi politici ancora irrisolti, fu subito segnata dai contrasti che opposero la delegazione dell’Unione Europea a quella degli Stati Uniti. La discussione si concentrò per giorni sulla proposta Usa, legata ai crediti da ottenere mediante i “sink di carbonio”, ovvero boschi e terreni agricoli, che avrebbero facilitato Washington nel raggiungimento degli obiettivi fissati a Kyoto. Ulteriori controversie, come le misure da adottare in caso di mancato adempimento agli obblighi e l’assistenza economica verso i Paesi in via di sviluppo per contrastare i mutamenti climatici, determinarono il fallimento del vertice.

2001 – Bonn – COP-6 Bis. La conferenza, riunitasi quattro mesi dopo l’uscita degli Stati Uniti dal Protocollo di Kyoto, si chiuse con un accordo sui temi politici più controversi. A Bonn fu decisa l’applicazione dei Meccanismi flessibili, venne stabilito un credito per le attività che contribuiscono all’abbattimento del carbonio presente nell’atmosfera e fu definita una serie di finanziamenti per agevolare le nazioni in via di sviluppo a ridurre le emissioni di Co2.

2001 – Marrakesh – COP-7. Il summit di Marrakesh si concentrò soprattutto sulla creazione delle condizioni necessarie per la ratifica del Protocollo da parte delle singole nazioni. I delegati concordarono che per l’entrata in vigore degli accordi di Kyoto fosse necessaria l’adesione di 55 paesi, responsabili del 55 per cento delle emissioni di Co2 nell’atmosfera nel 1990. Inoltre vennero stabilite regole operative per il commercio internazionale delle quote di emissioni.

2003 – Milano – COP-9. La conferenza fissò una serie di misure legate soprattutto ai piani di riduzione delle emissioni tramite attività di riforestazione.

2005 – Montreal – COP-11. Il summit si chiuse con un accordo che puntava a ridefinire gli obiettivi vincolanti in vista della scadenza, nel 2012, del Protocollo di Kyoto. Le 157 delegazioni approvarono un piano di consolidamento del CDM, ovvero dei meccanismi di sviluppo pulito, che avrebbero consentito alle nazioni più sviluppate di eseguire progetti di riduzione delle emissioni nei Paesi in via di Sviluppo.

2006 – Nairobi – COP-12. La conferenza, nata con l’ambizioso proposito di coinvolgere i Paesi africani nei progetti CDM, non riuscì a stabilire ulteriori obiettivi di riduzione delle emissioni alla scadenza del Protocollo di Kyoto.

2007 – Bali – COP-13. Al termine di interminabili negoziati, le delegazioni, comprese quelle statunitense, cinese ed indiana, hanno stabilito una “Road map” sul dopo-Kyoto. Nel documento finale viene riconosciuta la necessità di finanziare le nazioni i via di sviluppo per consentire loro di contrastare gli effetti dei cambiamenti climatici. La “Road Map” prevede meccanismi che agevolino il trasferimento di tecnologie per lo sviluppo di energia pulita dai Paesi più ricchi a quelli emergenti e la concessione di aiuti per la protezione e la conservazione dei boschi e delle foreste nelle nazioni più povere. La conferenza ha assunto come punto di riferimento l’ultimo rapporto Onu sul cambiamento climatico.

2008 – Poznan – COP-14. La conferenza si è chiusa con un accordo per finanziare un fondo da destinare ai Paesi più poveri per fronteggiare gli effetti dei cambiamenti climatici. 

2009 – Copenhagen – COP-15. La conferenza, a dispetto delle aspettative della vigilia, si è chiusa con un accordo interlocutorio messo a punto da Stati Uniti e Cina, con il contributo di India, Brasile e Sud Africa, sostanzialmente accettato dall’Unione Europea. L’accordo di Copenhagen prevede di contenere di due gradi centigradi l’aumento della temperatura media del Pianeta e un impegno finanziario (30 miliardi di dollari l’anno tra il 2010 e il 2012 e 100 miliardi di dollari a partire dal 2020) da parte dei Paesi industrializzati nei confronti delle nazioni più povere al fine di incrementare l’adozione di tecnologie per la produzione di energia da fonti rinnovabili e per la riduzione dei gas serra. L’intesa non è però stata adattata dall’assemblea dell’Unfcc e, di conseguenza, non è vincolante, né operativa. 

2010 – Cancun – COP-16. La conferenza, con gli stati firmatari del Protocollo di Kyoto ha riconosciuto il divario tra i loro deboli attuali impegni e quelli necessari per mantenere la temperatura globale sotto i due gradi centigradi, stabilendo che bisognerà tagliare le emissioni di gas serra dal 20% al 40% al 2020 (rispetto al 1990).

2011 – Durban – COP-17. La conferenza di Durban non definisce alcun obiettivo immediato di taglio di emissioni e prevede limiti temporali troppo lontani nel tempo, dato che la scienza è concorde nel sostenere che le emissioni di gas serra dovrebbero essere ridotte entro il 2020, e non a partire dal 2020. Al momento presente, quindi, gli unici limiti di riduzione sono quelli collegati al “vecchio” Protocollo di Kyoto (che impegna i Paesi industrializzati a ridurre le emissioni del 5% entro il 2012 rispetto al livello che esse avevano nel 1990) e che non terminerà nel 2012 grazie alla decisione di  una estensione del Protocollo medesimo fino al 2017 (o 2020).

 

Oltre le Conferenze internazionali delle Parti sul clima (COP) va segnalato un accordo storico per la riduzione delle emissioni di gas serra che è stato raggiunto nel novembre del 2014 tra Stati Uniti e Cina, con l’impegna da parte cinese e americana a fermare la sua crescita entro il 2030. E di prevedere del 26 - 28 %  entro il 2025 rispetto al 2005. L’accordo segue il forte impegno assunto dalla presidenza Obama per contrastare il cambiamento climatico con misure basate sull’applicazione del Clean Air Act del 1970 che da al Presidente USA di emanare decreti per salvaguardare la qualità dell’aria. È la prima volta che le due superpotenze, responsabili per il 45% delle emissioni mondiali, assumono un impegno simile.

 

UN NUOVO ACCORDO GLOBALE SUL CLIMA NEL 2015

Sono attualmente in corso negoziati volti a definire un nuovo accordo globale sui cambiamenti climatici che riguarderebbe tutti i paesi dell'UNFCCC(*).

L'obiettivo del nuovo accordo prevede una riduzione delle emissioni nei paesi sviluppati e in via di sviluppo a un livello che consentirà di mantenere il riscaldamento globale al di sotto dei 2°C (posizione ribadita dai leader del G7 in occasione del vertice che si è svolto lunedì 8 giugno 2015 ad Elmau in Germania). L'accordo riunirebbe l'attuale combinazione di accordi vincolanti e non vincolanti in un sistema unico. L'adozione del nuovo accordo è prevista a fine 2015 durante la conferenza sul clima di Parigi. Questo nuovo protocollo, dovrebbe essere stipulato entro fine 2015 e attuato a partire dal 2020.

Impegnerà tutti i Paesi che lo sottoscrivono a mettere in pratica quelle scelte politico – istituzionali e amministrative per raggiungere l’obiettivo (di mantenere il riscaldamento globale del clima sotto i 2°C). In un tempo limitato e fissato appunto dalla Conferenza stessa che potrebbe essere diverso da quello prevista dai leader del G7 al 2050.

(*) Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.

 

IL PACCHETTO CLIMATICO EUROPEO

Il pacchetto clima-energia, entrato in vigore nel giugno 2009 dando seguito alle indicazioni del Consiglio europeo, si inserisce nell’azione di politica climatica dell’UE intesa a modificare la struttura del consumo energetico da parte degli Stati membri attraverso misure vincolanti finalizzate a raggiungere i c.d. “obiettivi 20-20-20”, e cioè:

  • la riduzione almeno del 20%, entro il 2020, delle emissioni di gas serra derivanti dal consumo di energia nell’UE rispetto ai livelli del 1990 (e addirittura del 30% in presenza di analoghi impegni da parte di altri paesi);
    • l’aumento al 20% della percentuale di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2020;
    • il miglioramento del 20% dell’efficienza energetica;

UN IMPEGNO CONCRETO:  AGENDA 21 DAL GLOBALE AL LOCALE

Agenda 21 (cose da fare nel XXI secolo) è un ampio e articolato "programma di azione" scaturito dalla Conferenza ONU su ambiente e sviluppo di Rio de Janeiro nel 1992, che costituisce una sorta di manuale per lo sviluppo sostenibile del pianeta "da qui al XXI secolo".

Consiste in una pianificazione completa delle azioni da intraprendere a livello mondiale, nazionale e locale dalle Organizzazioni delle Nazioni Unite, dai governi e dalle amministrazioni pubbliche locali in ogni area del pianeta in cui la presenza umana ha impatti sull’ambiente.

La cifra “XXI” che fa da attributo alla parola Agenda si riferisce al XXI secolo, in quanto temi prioritari di questo programma sono le emergenze climatico-ambientali e socio-economiche che l'inizio del terzo millennio pone inderogabilmente dinnanzi all'intera umanità.

L'Agenda 21 è quindi un piano d'azione per lo sviluppo eco-sostenibile, da realizzare su scala globale, nazionale e locale con il coinvolgimento più ampio possibile di tutti i portatori di interesse stakeholders che operano su un determinato territorio.

LA SFIDA AMBIENTALE NELL’ENCICLICA

“CARITAS IN VERITATE” DI PAPA BENEDETTO XVI

Anche la Santa Sede grazie alla  riflessione di Papa Benedetto XVI, contenuta nella sua Enciclica “Caritas in Veritate (*)” in continuità con la "Populorum Progressio” del suo predecessore Papa Paolo VI, pone la questione ambientale come sfida a cui tutta la comunità cristiana deve dedicare particolare attenzione. Lo fa partendo dal rapporto tra uomo e ambiente naturale: “l’ambiente naturale non è solo materia di cui disporre a nostro piacimento, ma opera mirabile del Creatore, recante in sé una ‘grammatica’ che indica finalità e criteri per un utilizzo sapiente, non strumentale e arbitrario”, nell’Enciclica non mancano passaggi forti rivolti agli Stati più avanzati e ai gruppi di potere e di come questi incidano negativamente sui paesi poveri nell’accaparramento delle risorse energetiche impedendo così le loro possibilità di sviluppo. Una sollecitazione importante che non può non essere presa in considerazione non solo da tutti i cattolici impegnati nelle istituzioni ma anche da “tutte le donne e gli uomini di buona volontà”.

(*) Leggi l’Enciclica “Caritas in Veritate” di Papa Benedetto XVI

link: http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate.html

 

CONTENIMENTO DEL CONSUMO DI SUOLO

“In Principio era il suolo”

“[…] Dal giardino dell’Eden

perché lavorasse il Suolo

da dove era stato tratto” – Genesi, 3

 

In Italia, dagli anni '70 del secolo scorso, la S.A.U. (superficie agricola utile), il suolo più fertile, è diminuito del 28%. In termini assoluti la diminuzione è stata di circa 5 milioni di ettari, equivalenti ad una superficie pari a Lombardia, Liguria ed Emilia Romagna messe insieme. Questo dato allarmante, se non arrestato, può nel prossimo futuro mettere a repentaglio la stessa autosufficienza alimentare della nostra comunità nazionale.

Nel 2012, nel Bel Paese, è stata consumata una superficie di suolo libero pari a 21.890 km2 (rapporto ISPRA 2014) a un ritmo diversificato tra le diverse regioni, cifre estremamente preoccupanti. Un paragone che torna utile, per prendere maggior coscienza dell’entità della problematica, ci arriva dall’associazione Legambiente che cita Regione Lombardia come quella in cui viene consumato una porzione di territorio equivalente a “90 campi da calcio al giorno”.

Occorre quindi correre ai ripari e invertire la tendenza approvando una normativa che produca effetti cogenti. 

La storia ci insegna che nelle sue diverse culture, che l'uomo ha sempre occupato suolo per soddisfare il bisogno primario della casa, dei servizi e delle infrastrutture. Per rispondere  alle sopra citate necessità, anticamente abbiamo sempre parlato di “occupazione”. Diversamente, oggi, purtroppo, parliamo di “consumo” poiché non c’è un utilizzo razionale del suolo libero; come dimostra il fenomeno della "città infinita" (ormai diffusamente determinata dal dilagare dello sprawl urbano quasi inarrestabile su tutto il territorio nazionale). Le molte seconde e terze case, gli appartamenti sfitti o invenduti, i capannoni vuoti e inutilizzati e le faraoniche infrastrutture a volte sottoutilizzate, insieme a numerosissime aree degradate e dismesse, sono le testimonianze di uno sviluppo irrazionale ed insostenibile. Inoltre, in questi anni di crisi, purtroppo, gli oneri di urbanizzazione hanno rappresentato per troppo tempo lo strumento in mano alle amministrazioni locali per “far cassa”, con l’effetto di aver “svenduto” importanti porzioni di territorio.

Tuttavia segnaliamo lo sforzo di molti comuni, già impegnati con i loro piani di governo del territorio a contenere il consumo di suolo. Testimonianze positive e certamente stimolanti per le istituzioni superiori, ma ancora non sufficienti sugli effetti cogenti. Per questo, la necessità che il tutto venga coordinato da una normativa nazionale. 

A tal proposito, le Commissioni Agricoltura e Ambiente della Camera, nel dicembre del 2014, si sono ritrovate congiuntamente insieme ai Ministri Martina e Galletti per iniziare ad elaborare una sintesi dei diversi disegni di legge che le varie formazioni politiche hanno fino a quel momento proposto, lavoro da cui è scaturito un unico disegno di legge d'iniziativa parlamentare: “Contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato” (Atto Camera 2039),  l’auspicio è che diventi al più presto legge dello stato. 

La legislatura in corso inoltre, entrando sempre più nel merito delle tematiche ambientali, ha da poco approvato un’importante legge: quella sui reati ambientali (Legge n. 68/15 del 22 maggio 2015) che recepisce anche molte delle raccomandazioni che da tempo gli organismi europei fanno ai paesi membri. 

Importante inoltre è la proposta di legge approvata in prima lettura alla camera, e ora al vaglio del senato, sulla valorizzazione della biodiversità agraria ed alimentare soprattutto in quest'anno impegnativo in cui il nostro paese ospita EXPO 2015 con l'obiettivo di "nutrire il pianeta, energia per la vita". 

 

L’EREDITÀ CULTURALE DI EXPO 2015

È con vivo interesse che la comunità nazionale, attraverso le istituzioni, propone una grande eredità culturale dell’esposizione internazionale 2015: la Carta di Milano. Questa impegna i sottoscrittori (cittadini, associazioni, società ed istituzioni) a perseguire progetti e stili di vita concreti improntati sull’eco-sostenibilità ambientale e sull’equità sociale al fine di sfamare tutti gli abitanti della terra e a valorizzare le diverse culture e biodiversità agroalimentari autoctone. Anche presso il Parlamento Italiano, nell’aprile del 2015, è stata approvata una mozione che impegna il Governo a sostenere e a valorizzare i principi contenuti in essa. La Carta di Milano, infatti, è stata l’occasione felice per declinare i principi contenuti in quello slogan di fine secolo scorso (ma che risulta ancora oggi attualissimo): “Pensare globalmente e agire localmente”.

Infatti, solo se i firmatari della Carta: cittadini, associazioni della società civile ed imprese sapranno vigilare sul raggiungimento degli obiettivi della Carta di Milano (attraverso la concretizzazione di buone pratiche), si attuerà un metodo affinché Expo 2015, non rimanga semplicemente una fiera con scadenza 31 ottobre 2015.

La Carta di Milano, vuole essere un “patto sul cibo” da consegnare al Pianeta per vincere la sfida globale.

In questo contesto l’agricoltura può divenire un’importante prospettiva di futura per il nostro Pianeta, sul piano economico, ambientale, culturale e sociale, solo se cibo e produzione si mettono in stretta relazione, privilegiando le numerose pratiche agricole ecosostenibile e favorendo l’agricoltura multifunzionale.

Il cibo che si mangia, il modo in cui lo si produce gli effetti sul nostro Pianeta. Questi sono i temi di Expo 2015 e sempre su questi tutto il mondo è chiamato a dare un contributo.

(*) Leggi “La Carta di Milano” Link: http://carta.milano.it/it/

 

 

LAUDATO SI’

L’ENCICLICA DI PAPA FRANCESCO SULLA CURA DELLA CASA COMUNE QUALE IMPATTO POLITICO?

 

Nella dottrina sociale della Chiesa, impostata sulle encicliche papali, la "Pacem in Terris" di Papa Giovanni XXIII, per la prima volta fu destinata a "tutti gli uomini di buona volontà". Oggi la "Laudato si’" di Papa Francesco va ancora oltre e si rivolge "a tutti gli abitanti della Terra". 

È la prima volta che un Papa parla con tanta autorevolezza a tutto il mondo su un problema di comune interesse. Un vero manifesto per l'umanità del  XXI secolo che rischia di rimanere senza futuro.

Per Papa Francesco, l'ecologia è una questione che contiene molti altri problemi, è per questo che parla di "ecologia integrale". Insieme ai lamenti di Sorella Terra, occorre ascoltare anche quelli dei Fratelli poveri. Sono questi che più subiscono le pesanti conseguenze della crisi ecologica: mancanza d'acqua, di cibo e di lavoro. La globalizzazione in atto, separa in modo sempre più marcato coloro che abitano nell'area dei ricchi, che pur essendo i maggiori responsabili dell'attuale crisi ecologica non sono più in grado di capire la drammaticità dell'odierna crisi ecologica e vedere l'urgenza delle decisioni politiche istituzionali da compiere per la loro soluzione. Anzi, si continua nelle operazioni di spogliazione dei beni naturali delle aree abitate dai poveri, dell'occupazione delle loro terre fertili e delle loro foreste (fenomeno del land grabbing), unitamente ad un uso indiscriminato delle energie non rinnovabili e la  produzione di montagne di spazzature e di CO2. Per queste contraddizioni il Papa richiama tutte le istituzioni alle proprie responsabilità che mirino a scelte coraggiose, cogenti ed inderogabili negli appuntamenti delle conferenze internazionali sul cambiamento climatico. Ogni Paese è soggetto agli impatti dei cambiamenti climatici; una condizione di particolare vulnerabilità è però propria dei Paesi più poveri; più esposti agli effetti non equamente distribuiti di desertificazione e innalzamento del livello dei mari, più dipendenti dalle risorse naturali di base per la loro produzione agricola e con minori capacità di adattarsi all’impatto del riscaldamento globale.

I Paesi più poveri subiscono un rischio maggiore non essendo però tra quelli che hanno prodotto le emissioni climalteranti che determinano il riscaldamento globale e lo stesso può dirsi per le nuove generazioni, costrette a subire rischi che non hanno determinati. Si pone dunque una stringente questione di giustizia climatica tra Paesi oltre che tra generazioni. La problematica appena esposta è a fondamento dell’impegno di Papa Francesco nella sua Enciclica anche al clima e all’ambiente.

L’attuale rapporto perverso con madre Terra, non può continuare, lo squilibrio ecologico attuale ed il livello d'inquinamento globale ci interpella e ci obbliga a scelte personali e comunitarie per uno sviluppo sostenibile nel rispetto della biodiversità naturale. Non è superfluo insistere ulteriormente sul fatto che tutto è connesso, "conversione ecologica integrale" significa che: "non ci sono due crisi separate, una ambientale e un'altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. Le direttrici per la soluzione richiedono un approccio integrale per combattere la povertà, per restituire la dignità agli esclusi e nello stesso tempo per prendersi cura della natura"..."Possa la nostra epoca essere ricordata per il risveglio di una nuova riverenza per la vita e per la risolutezza nel raggiungere la sostenibilità"(Carta della Terra, L'Aja giugno2000).

L’Enciclica indica una “conversione ecologica integrale” per uno sviluppo sostenibile aggiungendo alle componenti sociale, ambientale ed economica, quella spirituale.

 

L'educazione ambientale deve andare oltre l'informazione scientifica, la presa di coscienza sui rischi ambientali e la  critica ai miti della modernità.

Papa Francesco chiede di praticare un'educazione ecologica integrale per uno sviluppo sostenibile (vedi schema sopra) "che recuperi i diversi livelli dell'equilibrio ecologico: quello interiore con sé stessi, quello solidale con gli altri, quello naturale con tutti gli esseri viventi, quello spirituale con Dio";  per un coraggioso cambiamento personale del nostro stile di vita quotidiano. Per questo il Papa afferma che oggi “il tema del degrado ambientale chiama in causa i comportamenti di ognuno di noi”.

Tuttavia, Il Papa rivolgendosi a tutti, non pone in premessa dell'Enciclica un assunto religioso da cui far discendere in via deduttiva le diverse argomentazioni, ma pone un forte nucleo religioso nel cuore dei problemi che affronta, sostenendo che i Cristiani e le altre religioni hanno forti motivazioni per resistere all'ideologia del dominio assoluto dell'uomo sull'ambiente che poi si ritorce  contro l'uomo stesso.

Il Pontefice, critica il mito di un progresso senza limiti, ribadendo che "la realtà è superiore all'idea". La ricerca di un nuovo umanesimo troverà un punto di riferimento in questa Enciclica in quanto ribadisce il primato della natura sulla ragione e la tecnica, che non vanno collocate al di sopra ma al servizio della realtà. Ne consegue una visione ecologica sociale impostata sull’equità  che rifiuta la cultura dello scarto.

L'Enciclica non contrappone la natura alla cultura: insiste invece su un loro rapporto armonioso tra l'iniziativa dell'uomo e la realtà della creazione, tra l'umanità e l'ambiente.

Non si pone ne su un piano politico ne su quello di un confronto ideologico, bensì, avvertendo intorno a se un vuoto della responsabilità di governo globale dei processi, rilancia vigorosamente l'esigenza espressa dalla "Caritas in Veritate" di Benedetto XVI: intraprendere la strada "di un impegno inedito e creativo per orientare le dinamiche del mondo globalizzato".

L’Enciclica di Papa Francesco apre il cuore di tutti perché affronta grandi questioni, delineando una visione generale che l’attuale politica dei partiti non riesce ad esprimere perché si muove su un pragmatismo “del presente” svincolato da una visione di insieme; proprio per questo, oggi, la politica non sa più motivare, appassionare, accendere i cuori e la mente:

“In questa confusione, l’umanità postmoderna non ha trovato una nuova comprensione di se stessa che possa orientarla, è questa mancanza di identità di vive con angoscia. Abbiamo troppi mezzi per scarsi e rachitici fini”.

L’evidente preoccupazione di Papa Francesco è la constatazione della mancanza di una cultura necessaria per affrontare queste crisi, purtroppo ancora oggi, la politica si sviluppa nell'orizzonte degli Stati nazionali, invece di una visione ed un governo globale che sappia rispondere alle necessità delle generazioni presenti e senza compromettere quelle future. Oggi però i problemi sono sempre di più globali, come conferma il dramma dell'immigrazione, uno dei problemi chiave di un’ecologia veramente umana.

Il richiamo di Papa Francesco alla conversione ecologica integrale in termini globali,  vuole essere la chiamata di tutti gli abitanti della Terra a riconoscersi come cittadini nello stesso spazio politico: "Cittadini del Mondo che pensano Globalmente ed agiscono Localmente" e contemporaneamente ai dirigenti di tutto il mondo ad assumersi delle responsabilità inedite e sconosciute in altre epoche.

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Data: 
Mercoledì, 22 Luglio, 2015