Con il cambio di maggioranza estivo è approdato a Viale Trastevere, sede del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca, il tredicesimo Ministro dall’avvio della cosiddetta seconda Repubblica (1994), confermando la ‘scomodità’ di questa poltrona, che ha cambiato occupante in media ogni due anni. Per la verità l’On Fioramonti ha una caratteristica che lo distingue dai suoi immediati predecessori: è il primo che sia già stato al Miur, avendo ricoperto la carica di Viceministro dell’Istruzione, Università e Ricerca nel Governo Conte I. Per la prima, volta, dunque assistiamo ad un’apparente continuità nella discontinuità.
Ma si tratta di una continuità molto poco rivendicata dal nuovo titolare, che nei primi atti di governo ha voluto, almeno in un paio di occasioni, prendere le distanze dal predecessore Bussetti. In primo luogo ha accolto il parere, di per sé non vincolante, del Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione, che ha bocciato il decreto di sperimentazione della nuova Educazione Civica, che avrebbe consentito l’immediata entrata in vigore dell’unico provvedimento specifico in materia di Istruzione licenziato dal Governo Conte I: la legge 92 del 2019, che reintroduce in forma disciplinare questa materia.
Altro segnale, meno eclatante nel dibattito pubblico ma molto pesante in quello di settore, è stata la revoca del Decreto di riorganizzazione del Ministero appena varato dal predecessore, con il contestuale ritiro delle proposte di nomina dei nuovi Direttori generali individuati da Bussetti. Fioramonti ha subito elaborato una nuova riorganizzazione del Ministero: la decisione è sembrata un chiaro messaggio di cambio di leaderschip a tutta la struttura, che ora dovrà attendere le nuove nomine decise dal Ministro.
Una sola continuità appare evidente: la conferma della politica di stabilizzazione del precariato definita dall’accordo che Conte e Bussetti avevano definito con i Sindacati di categoria e che Fioramonti non solo ha risottoscritto, ma ha ulteriormente ampliato, prevedendo un nuovo concorso riservato, questa volta per gli ATA che hanno svolto per tre anni la funzione di Direttori dei servizi generali e amministrativi delle scuole: questi ultimi infatti avranno un percorso di reclutamento separato da quello ordinario già in atto. Spicca tuttavia, nel decreto legge che ha recepito la nuova intesa, la discriminazione dei docenti che hanno lavorato nelle scuole paritarie, per i quali il servizio svolto non viene considerato ai fini dell’accesso alle procedure di reclutamento e di abilitazione riservate, con il doppio danno di non rispettare il criterio dell’unico servizio nazionale di istruzione e di aggravare la già pesante difficoltà di queste istituzioni a reperire personale abilitato.
Ultimo atto concreto, questa volta davvero unico nella storia delle politiche scolastiche, l’introduzione della tassa sulle bevande zuccherate nell’ipotesi di legge di bilancio, che costituirebbe il primo esempio, se andasse in porto nella forma proposta da Fioramonti, di tassa di scopo dedicata al settore della formazione, con un gettito al momento difficilmente quantificabile, ma in ogni caso con un segnale culturale rilevante.
In sintesi la vera continuità il Ministro Fioramonti la sta dimostrando con l’andamento delle politiche in materia di istruzione in tutti questi ultimi venticinque anni: stop and go sulle riforme, nel bene e nel male, continua ricerca di soluzioni al problema del precariato, che paradossalmente sembra essere l’unico dato stabile nella scuola italiana, e rincorsa alle risorse economiche, questa volta, però, va dato atto, con un intervento ‘a gamba tesa’, che sicuramente farà e si può discutere, ma che pone il problema forse centrale: ovvero se il destino della nostra formazione sia un problema solo dello Stato o se l’intera comunità, magari con forme diverse, se ne debba fare carico.