Nel tradizionale messaggio di fine anno Sergio Mattarella l’ha definita “la nostra casa comune”. Per la nostra carta fondamentale che proprio oggi compie 70 anni, si tratta di una definizione quanto mai azzeccata. La definizione non è proprio copyright dell’attuale capo dello Stato, ma è presa a prestito da un altro grande della nostra storia repubblicana, Aldo Moro.
Per Mattarella la Costituzione “rappresenta la vittoria della libertà e l’affermazione di diritti inviolabili”. E dopo sette decenni continua ancora “a indicare il cammino che la Repubblica percorre al servizio dei suoi cittadini e della loro convivenza”.
C’è dunque molto orgoglio in questa celebrazione. I motivi sono molteplici. Intanto la consapevolezza del valore di quel documento, perché i nostri padri costituenti seppero guardare al futuro, trovando fra loro soluzioni di compromesso nel senso più alto del termine. Punti di incontro che potevano regolare la vita di un paese che usciva da una guerra lacerante e lacerato. Diviso fra culture politiche in apparenza inconciliabili. In realtà gli esponenti del cattolicesimo democratico, del liberalismo più avanzato e del socialismo seppero incontrarsi nei valori della democrazia parlamentare e rappresentativa. E se da paese distrutto e povero la nostra Italia è saputa rifiorire sino ad entrare nel novero dei paesi più avanzati e industrializzati del mondo, quel compromesso non è certo estraneo alla ricostruzione e alla rinascita. Ne è anzi stato la pietra angolare.
Va tenuto presente che la nostra Costituzione non è affatto un organismo immutabile. Dal primo gennaio 1948 a oggi le leggi di modifica sono state ben sedici volte. Solo in uno di questi casi, nel 2001, con la revisione del regionalismo, la modifica è stata approvata dal referendum popolare. In altri due casi, 2006 e 2016 il corpo elettorale ha detto no ai cambiamenti radicali della seconda parte della carta fondamentare che il parlamento aveva approvato. Erano i due tentativi più ambiziosi, e sono stati respinti. Ma non è che negli altri casi le modifiche siano state marginali. Basti pensare all’introduzione del diritto di voto per gli italiani all’estero, ai principi del pareggio di bilancio o del giusto processo, alla cancellazione dell’immunità parlamentare, o all’introduzione del concetto di pari opportunità fra uomo e donna.
Non si può non notare che l’approccio più efficace è stato quello graduale, di modifiche limitate, anche se incisive. I due grandi progetti di riforma della seconda parte della costituzione, quella ordinamentale, sono entrambi stati respinti dagli elettori. E’ un dato di cui tener conto nel futuro. La Costituzione, infatti, avrà ancora bisogno di adeguamenti, ma probabilmente si otterranno più risultati attraverso interventi mirati e graduali. In fondo la doppia bocciatura referendaria può essere anche letta come la propensione a difendere un sistema istituzionale che – in fondo – non dispiace, anche se tutti ne vedono le pecche e le lacune.
Questo non vuol dire abdicare al sogno di un meccanismo istituzionale più snello e più veloce. Più reattivo e al passo con i tempi accelerati dell’oggi. Vuol dire che bisogna sapere costruire un riformismo pragmatico e realista. Concreto e di lungo periodo. Una sfida difficile, ma non impossibile, che sarebbe bello rilanciare proprio nell’anno in cui la Costituzione compie 70 anni e ci rendiamo conto di quanto grande sia il debito nei confronti di chi contribuì a scrivere la nostra carta fondamentale.