A proposito di merito

Mercoledì, 11 Dicembre, 2019

È singolare osservare come in tema di meritocrazia il Vangelo e il pensiero liberale dicano la stessa cosa. Nella parabola dei talenti i tre servi ricevono uno 5 talenti, uno 2 e il terzo solo uno. I primi due li investono e ne ottengono altri 5 e 2 rispettivamente, mentre chi ne aveva ricevuto uno solo ha paura e lo sotterra. Sarà solo quest’ultimo a subire i rimproveri e la punizione del padrone. La parabola suggerisce che i talenti non sono egualmente distribuiti e non sono meritati, ma rappresentano piuttosto una dotazione di partenza (chi riceve 5 talenti invece di 1 non ha fatto nulla per meritarselo).

La vita, prima ancora che il padrone, punisce non chi ha avuto pochi talenti ma chi non si è messo in gioco, non ha rischiato e investito la propria vita. James Buchanan, uno dei più noti esperti di scelte pubbliche del pensiero economico mainstream, non dice cose molto diverse quando ricorda che i risultati della vita dipendono da quattro fattori (talento, fortuna, denaro, impegno) e che l’unico meritevole di premio è l’impegno.

Il paradosso arriva quando confrontiamo queste valutazioni in fondo concordanti con le esigenze dei sistemi socioeconomici. Che hanno bisogno di innovazione per spostare avanti la frontiera e migliorare, oggi, la capacità di produrre e al tempo stesso, in abbinamento, la sostenibilità sociale e ambientale. Premiare le eccellenze (che non dipendono solo dallo sforzo ma anche dal talento) diventa dunque un modo per stimolare l’avanzamento delle conoscenze che, una volta realizzato, potrà apportare benefici a tutta la popolazione se tali benefici saranno opportunamente condivisi e redistribuiti.

E proprio qui si cela un’altra insidia tipica dei nostri giorni. I problemi arrivano quando i meccanismi di redistribuzione dei benefici a più ampie fasce di popolazione si inceppano. È quanto successo negli ultimi decenni in Italia, con gli effetti combinati di globalizzazione dei mercati, innovazione tecnologica e cattivo funzionamento della fiscalità progressiva e delle politiche redistributive. Un fenomeno perverso che ha bloccato l’ascensore sociale e aumentato le diseguaglianze interne, creando un malcontento sociale che si è trasformato in una vera e propria rivolta contro le competenze generando un circolo vizioso dove alle crescenti diseguaglianze si è accompagnata la stagnazione del Paese.

La via d’uscita dal paradosso passa dunque per una politica capace di perseguire simultaneamente i tre obiettivi di favorire la generatività e l’investimento nei talenti, premiare le eccellenze e i loro risultati e distribuirne i benefici a tutta la popolazione.

Per realizzare i primi due obiettivi, sono necessari un sistema formativo capace di aiutare i ragazzi a maturare desideri e passioni, sistemi di premio per l’innovazione che prevedono l’accompagnamento delle eccellenze con percorsi di pre-incubazione, incubazione e avviamento all’attività d’impresa, modelli di appalti pubblici pre-commerciali dove la gara può essere vinta da chi realizza un passo in avanti innovando processi e prodotti nella direzione richiesta dall’appaltante.

Per favorire la distribuzione dei benefici a tutta la popolazione, sono necessarie non solo politiche redistributive (fiscalità progressiva) ma anche pre-distributive, ovvero quegli investimenti in salute, istruzione e accesso al credito che garantiscano per quanto possibile le pari opportunità avvicinandoci alla situazione ideale in cui i risultati di ciascuno sono indipendenti dalle condizioni di partenza. In alcuni esempi privilegiati, tutti questi elementi si mescolano virtuosamente in esperienze di frontiera. Il modello d’impresa che fa reinserimento lavoro di categorie svantaggiate (dalle cooperative di tipo B fino a molte imprese profit) è un paradosso che risolve tutti i paradossi di partenza.

Creando le condizioni di generatività per chi è rimasto indietro e trasformando questa missione, 'parallela' al proprio obiettivo di vendere beni e servizi sul mercato in modo competitivo, in un fattore di incredibile stimolo alle motivazioni intrinseche degli altri dipendenti che, nei casi virtuosi e riusciti, aumenta la produttività delle aziende stesse. La storia dei paradossi della meritocrazia ci insegna che il talento non si merita, ma è importante che sia stimolato a produrre risultati i cui benefici possono essere diffusi a tutti i cittadini. E che uno dei meriti più interessanti sta proprio nella capacità di coinvolgere e rendere generative le vite di coloro che, per motivi vari e diversi, si trovano a partire da situazioni di svantaggio e desiderano un’opportunità di riscatto.