Il Consiglio dei Ministri del 7 agosto scorso ha approvato quella che è definita, nella comunicazione corrente, anche da parte dei vertici dell'esecutivo, una "tassa sugli extraprofitti delle banche" calcolata come una percentuale del margine di interesse.
Esula da questa nota il commento su aliquote, massimali, periodi di imposta, straordinarietà della stessa; un commento tecnico invece sarà fatto sulla base imponibile, ovvero sulla definizione di margine di interesse e sulla misura nella quale questo possa essere definito extraprofitto.
Il margine di interesse (voce 30 del conto economico bancario) è definito come differenza tra interessi attivi (ovvero gli interessi che le banche ricavano da prestiti a imprese, famiglie, pubblica amministrazione e altri investimenti) e interessi passivi (ovvero gli interessi che le banche pagano su tutte le forme di raccolta, a partire dai depositi delle famiglie). Gli interessi sono commisurati al capitale (prestato o raccolto dalla banca), alla durata del prestito e al tasso di interesse applicato. A sua volta il tasso di interesse può essere fisso (per tutta la durata contrattuale del prestito o del deposito) o variabile. Quando è variabile esso è adeguato ai tassi di mercato, che sono influenzati dalle politiche monetarie delle Banche Centrali (BCE). In una fase di tassi di mercato in evoluzione, quindi, i tassi variabili si adeguano più rapidamente dei tassi fissi e, in caso di aumento, ciò tende a far aumentare il margine di interesse (i ricavi da interesse per le banche salgono più rapidamente di costi, sempre per interesse).
La domanda, quindi, è: il margine di interesse è (extra)profitto? La risposta è negativa ed è facilmente comprensibile con la seguente metafora. Immaginiamo che (situazione che poteva verificarsi fino ai primi anni del secondo dopoguerra) il contadino conferisca al fornaio farina, concordando che il fornaio restituisca in cambio pane. Quest'ultimo restituirà lo stesso peso in pane? Ovviamente no perché entrambi sanno che con 100kg di farina si fanno non 100, ma circa 120 kg di pane. Questo significa che il fornaio dovrà dare 120 kg di pane al contadino? Ancora ovviamente no perché il fornaio trasforma la farina in pane aggiungendo acqua sale, lievito, lavoro, legna da ardere per il forno, costo d'uso (ammortamento, affitto) delle attrezzature e dei locali, rischio che il pane si bruci ecc. Il patto, quindi, potrebbe essere che per ogni 100 kg di farina conferita, al contadino spettino 110 kg di pane. I 10 kg di differenza sono definibili extraprofitto? Ovviamente no, sono ciò che remunera lavoro, altri fattori della produzione, rischio di impresa (che il fornaio sopporta sulla panificazione, a differenza del contadino).
Fuor di metafora, che cosa remunera il differenziale tra tasso attivo, ricevuto dalla banca sui prestiti, e tasso passivo, pagato dalla banca sui depositi, ovvero il margine di interesse (nella nostra metafora, la differenza di valore tra farina e pane)? Innanzitutto, vanno sottratti i costi operativi (stipendi, locali, energia, oneri per la sicurezza, oneri di elaborazione dati ecc.) necessari per l'esercizio dell'attività di raccolta e impiego della banca (non la loro totalità, poiché la banca genera ricavi anche dalle attività di servizio). Inoltre, vanno sottratte le perdite che la banca registra (sempre, in misura più o meno ampia a seconda della congiuntura economica e dell'abilità della banca) sui prestiti erogati. A loro volta, tali perdite su crediti devono essere coperte innanzitutto, per la parte attesa, con accantonamenti, basati sulla probabilità di insolvenza e sul tasso di recupero in caso di insolvenza dei debitori (il cosiddetto costo del credito). Ma ciò non è sufficiente in quanto vi possono essere eventi inattesi e non prevedibili (a livello di singolo debitore o a livello sistemico – es. Covid, guerra ecc.) che possono comportare perdite inattese su crediti e che devono essere comunque "coperte" dalla banca, a tutela della sua stabilità e quindi della salute del sistema finanziario. Tali oneri inattesi sono coperti, a tutela di tutti gli stakeholders della banca – inclusi i depositanti- con il capitale della banca stessa. E chi fornisce il capitale alla banca? Il capitale è fornito da (grandi e piccoli) azionisti, che ovviamente si attendono una remunerazione proporzionale al rischio assunto (remunerazione che per la banca è un costo, il cosiddetto costo del capitale, che è correlato con il rischio d'impresa), altrimenti non fornirebbero il capitale richiesto per l'esercizio dell'attività bancaria e lo destinerebbero a impieghi alternativi maggiormente attraenti in termini di redditività aggiustata per il rischio.
Ci pare quindi che il prelievo non possa essere definito né "tassa" (che correttamente si dovrebbe applicare sull'intero risultato e non su una classe sola di ricavi e costi) né "extraprofitto", poiché il margine di interesse non è (extra)profitto, ma solo, appunto, un margine lordo, che concorre, insieme a numerose altre voci, alla determinazione dell'utile (e peraltro non è impossibile che una banca con margine di interesse positivo chiuda poi il bilancio in perdita).