La guerra tra Hamas e Israele

Lunedì, 17 Maggio, 2021

Fin da subito, mi ha fatto molto effetto sentir parlare di “guerra Hamas-Israele”. Dal 1948 Israele ha fronteggiato conflitti armati con Egitto-Giordania-Siria-Libano per difendersi dai tentativi di cancellarlo dalla carta geografica, oppure ha avuto rivolte interne popolari definite “Intifada” (sollevazione). Eppure, visti gli sviluppi a cui giorno dopo giorno abbiamo assistito, di vera guerra sembra trattarsi.

Come si sa, tutto è iniziato per una questione legale riguardante case di Gerusalemme Est, quartiere tradizionalmente arabo, dove alcune famiglie ebree rivendicano - con tanto di documenti - la proprietà di alcune case attualmente abitate da famiglie palestinesi mandate via nel ‘48 da alloggi di Gerusalemme Ovest, cioè dalla zona assegnata dall’Onu a Israele. Una legge del 1950 affidava a famiglie ebree le abitazioni “con proprietario assente”... La vicenda si sta trascinando davanti a vari tribunali ed è all’attenzione della Corte Suprema. Le proteste si sono moltiplicate, ma nell’attuale situazione di caos politico e debolezza istituzionale in Israele (quattro votazioni in meno di due anni) in costanza di una lunga egemonia ideologica di ultradestra, probabilmente le vie d’uscita non sono molte.

C’è da dire con chiarezza – prima di procedere nell’analisi - che il sistema democratico israeliano negli ultimi anni si sta incartando, assumendo caratteristiche che in altri contesti non si esiterebbe non solo di forte disuguaglianza sociale, ma di vera e propria discriminazione nei confronti dei palestinesi (anche di cittadinanza israeliana) e di minoranze di immigrati. Arroganza, sospetti, violenza, a volte anche odio caratterizzano sempre più spesso i rapporti fra le due realtà etnico-religiose, ma anche gli interventi di poliziotti e soldati, mentre cresce la rabbia e la frustrazione della popolazione palestinese, soprattutto i giovani. L’Autorità nazionale palestinese da anni non indice elezioni per timore di perderle a favore di Hamas, che governa (con la Jihad islamica) la Striscia di Gaza.

Le proteste delle settimane scorse sono presto degenerate e i manifestanti palestinesi dalla Spianata delle Moschee al termine della preghiera del venerdì hanno lanciato pietre sui fedeli ebrei riuniti al Muro Occidentale. Come altre volte, la polizia è intervenuta, ma la situazione è sfuggita di mano. Erano giorni di Ramadan e l’intervento violento è apparso particolarmente odioso. E in effetti lo è stato.

A questo punto da Gaza è partita una incredibile quantità di razzi (a tutt’oggi circa 3000) diretti non solo – come altre volte - verso il Negev e le cittadine di Sderot e Ashkelon, ma addirittura verso Gerusalemme e perfino la lontana Tel Aviv. Inevitabile rappresaglia israeliana con bombardamenti dolorosi e addirittura ipotesi di operazioni di terra…

Inoltre con il passare delle ore è venuto crescendo un “fronte interno” assolutamente inedito, che sa di guerra civile. Manifestazioni e atti di violenza anche nelle città dove la convivenza fra arabi e ebrei (tutti cittadini israeliani) era considerata storicamente salda. Accoltellamenti e aggressioni di singoli palestinesi, sassaiole contro coloni. Addirittura sono successe anche cose che non avremmo più voluto vedere: a Lod (accanto all’aeroporto Ben Gurion) è stata assaltata e data alle fiamme una sinagoga. Roba da progrom…

Detto questo ho qualche domanda da fare:

- Sono in qualche modo comprensibili la rabbia e la frustrazione dei giovani palestinesi, ma perché Hamas ha deciso di aprire le ostilità da Gaza?

- quale obiettivo ritiene di raggiungere? terrorizzare la popolazione israeliana o vincere la guerra?

- come mai in Gaza ci sono migliaia di razzi, quando si dice che manchi l’essenziale? Chi ha fornito queste armi in tale quantità?

- ci si rende conto che un razzo (a differenza di un missile che oè guidato) viene lanciato calcolando solo la traiettoria balistica e quindi viene definito dal diritto internazionale una “arma di distruzione di massa”?

- è possibile allora fidarsi ancora di Hamas che governa la Striscia con mano di ferro, e in ogni caso succube delle frange più radicali, come già la morte di Arrigoni nel 2011 aveva mostrato?

- è però possibile fidarsi di un governo (di vari governi…) che ormai da oltre 50 anni danno per scontata occupano la Cisgiordania, quando una occupazione militare al termine di una guerra, secondo il diritto internazionale, è per definizione “provvisoria”, dal momento che non si è ritenuto di procedere a una annessione vera e propria?

Sono solo domande, che non attenuano il dolore e lo sconcerto per le sofferenze che le guerre guerreggiate (ma anche la convivenza ineguale e squilibrata) sempre producono.

Né basta consolarsi con alcuni comportamenti che tentano di “attenuare” la drammaticità della guerra (fa impressione per esempio il bombardamento dei palazzoni - quelli degli uffici logistici di Hamas e quello che ospitava i media mondiali – sia pure dopo aver preavvertito per consentire l’evacuazione).

Bisogna inoltre sapere che negli ultimi lustri in Israele sono arrivate frotte di cristiani evangelici che aspettano la fine del mondo e gruppi di ebrei messianici che sognano l’Apocalisse. Oltre a infiltrati di Al Qaeda e Daesh che soffiano sul fuoco della frustrazione e della rabbia. Gli estremisti ormai condizionano la politica e i partiti.

Quasi nessuno sembra credere più alla soluzione dei due stati per due popoli, ma so per certo che nonostante le macerie, progetta ancora una soluzione, che potrebbe rivelarsi davvero creativa: uno stato confederale o uno stato con riconoscimento di tutte le cittadinanze... Rimane vera l’equazione che qualche decennio fa il demografo ebreo triestino, naturalizzato israeliano, Sergio Della Pergola propose all’attenzione: Israele non potrà essere contemporaneamente Grande, Ebraico e Democratico. Dovrà scegliere due di queste qualificazioni: se sarà grande ed ebraico, non potrà essere democratico; se vorrà essere grande e democratico, dovrà rinunciare al carattere ebraico; se vorrà essere democratico e ebraico, dovrà rinunciare a essere grande e quindi dovrà accettare un’altra entità accanto a sé.

In ogni caso a entrambe le realtà che convivono sullo stesso territorio servirà una nuova doppia classe dirigente all’altezza, per esempio all’altezza dei guerrieri che scelsero la pace, come Sadat o Rabin, non a caso assassinati...

La speranza non muore, insieme alla pietà per le più deboli vittime. Siamo comunque certi che, come diceva La Pira (a proposito del Vietnam) “la pace è inevitabile”.

Giorgio Acquaviva,
giornalista. Associazione Helder Camara www.heldercamara.it