La legge approvata dal senato sul terzo settore non è priva di criticità: testo cornice, rimanda ai decreti applicativi moltissimi degli aspetti più qualificanti; istituisce la Fondazione Italia Sociale - allo scopo di «sostenere la realizzazione e lo sviluppo di interventi innovativi ad alto impatto sociale ed occupazionale» - di cui onestamente non si sentiva il bisogno; è debole dal punto di vista dei soggetti e degli strumenti di controllo di un settore che, in Italia, ha già dato prova di non essere immune da furbetti e mascalzoni.
Ciò nonostante, quella approvata dal Parlamento rimane una legge importante che segna un
Cambiamento di fase. Almeno sotto due profili. A più di dieci anni dalla abolizione definitiva della leva obbligatoria, viene istituto il "servizio civile universale", che prevede la possibilità per i giovani (maschi e femmine) di spendere 8-12 mesi in una attività di utilità sociale. Il segnale é importante: dedicare del tempo, prima di entrare nella vita lavorativa, prendendosi cura di un problema sociale può aiutare a ricostruire la relazione tra l'individuo e la comunità. Non è cosa da poco. Tanto più in un'Italia dallo scarso senso civico e dalla poche possibilità occupazionali. Se si sarà capaci di creare le condizioni economiche e regolamentative per la sua piena e efficace attuazione, il servizio civile potrà essere una bella occasione per trasformare un tempo oggi troppo spesso vuoto in occasione di accrescimento personale e professionale, oltre che in una forma attiva di contribuzione al mondo comune.
Il secondo profilo degno di nota è la definizione giuridica di terzo settore ("il complesso degli enti privati costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale") con la semplificazione delle norme riguardanti lo statuto civile delle persone giuridiche (Titolo II del Codice Civile) e la stesura di un Codice del Terzo Settore. A cui si deve aggiungere la novità della "impresa sociale" definita come un'organizzazione privata che svolge attività «per finalità di interesse generale e destina i propri utili prioritariamente al conseguimento dell’oggetto sociale».
Le zone d'ombra rimangono. Ma va dato atto alla legge di aver avuto il coraggio di ridisegnare il campo in cui si muove già oggi un numero assai elevato di soggetti - individuali (i volontari) e collettivi (dalle Onlus a vere e proprie imprese).
È venuto il momento di andare al di là dello slogan degli anni 80 "meno stato più mercato". Per il livello culturale, economico e tecnologico raggiunto, oggi non si tratta più di contrapporre due polarità, ma di ampliare tutto ciò che sta nel mezzo; e che, pur avendo valore pubblico e impatto sociale, può venire svolto da privati in modi economicamente efficienti e insieme socialmente consapevoli. I settori sono tantissimi: istruzione, sanità, ambiente, integrazione, sviluppo e valorizzazione dei beni culturali.
La questione è rilevantissima anche dal punto di vista economico e occupazionale, perché riguarda la possibilità di organizzare diversamente più di metà del PIL di una società avanzata, oggi legata alla produzione di beni collettivi e servizi alle persone. Si tratta di superare la contrapposizione ideologica tra stato e mercato che ha bloccato lo sviluppo e l'innovazione di settori che sono fondamentali. Ora la nuova legge crea le condizioni perché soggetti di natura privata possano svolgere funzioni pubbliche. Da qui anche le norme che prevedono una fiscalità premiale.
Ma perché la strada indicata porti i frutti attesi, ci vogliono almeno tre condizioni.
La prima è che i decreti attuativi siano tempestivi e molto ben mirati. Tanti sono gli aspetti che rimangono da chiarire: molto, perciò, dipenderà dal prossimo passo.
La seconda è che ci si attrezzi rapidamente per capire come misurare il "valore sociale" di una attività, al di là di ciò che è espresso dal valore economico di mercato. Il tema è delicatissimo. Ma se vogliamo guardare avanti verso un nuovo modello di crescita si tratta di un aspetto decisivo.
Infine, la legge è una sfida per le stesse organizzazioni di terzo settore, spesso benemerite, ma altrettanto spesso non particolarmente innovative. Soprattutto, ancora troppo dipendenti dalle risorse pubbliche. Qui ci vuole un cambio di mentalità (e di generazione): lo spazio intermedio delineato dalla legge andrà interpretato e riempito da nuovi soggetti capaci di esprimere una cultura nuova - imprenditiva e sociale insieme.
Ciò che fino a oggi è stato il terzo settore è pronto per questa rivoluzione?