L’esito del voto in Calabria ed Emilia Romagna consegna una situazione che, per certi aspetti, rafforza la tenuta della maggioranza di governo ma al tempo stesso lascia scoperti alcuni nodi strutturali del nostro quadro politico. Il fallimento delle attese di vittoria della Lega in Emilia Romagna segna, da questo punto di vista, una oggettiva battuta d’arresto nell’ascesa politica della Lega di Salvini, dettata da una molteplicità di fattori: la qualità del candidato presidente della regione del centro sinistra (che vede uno scarto significativo di voti fra le sue preferenze e l’insieme dei voti di lista della coalizione che lo sostiene); l’aver, da parte della Lega, insistito su una retorica della “liberazione” in una regione che vanta un’elevatissima qualità amministrativa; l’impegno di ampi settori della società civile nel chiedere una politica argomentata e discussa (movimento delle sardine). Ma è proprio l’orgoglio di una regione che è depositaria del proprio destino che è stato sollecitato e che ha determinato la vittoria dei progressisti sulla Lega che è portatrice invece di valori che limitano l’idea di sviluppo e di apertura alle possibilità che l’Europa e il nuovo mondo propone. Mentre la Calabria sembra essere ancora vittima di una classe dirigente regionale debole e esposta a pesanti condizionamenti ben lontani dall’interesse pubblico, come anche di un abbandono oramai durevole - con una significativa inversione di tendenza nei mesi recenti - da parte dello Stato e della politica nazionale: condizioni che spiegano la fortissima fluttuazione elettorale degli ultimi 20 mesi e la scarsa affluenza. È la conferma di undistacco tra cittadini e responsabili della politica e dell'amministrazione.
La differenza tra le due realtà regionali non può che far approfondire l'idea di un regionalismo che supporti le diverse vocazioni regionali integrando però le capacità amministrative delle migliori amministrazioni valorizzando le capacità e le potenzialità inespresse di regioni come la Calabria.
Quello Emiliano romagnolo è il quadro di un contesto culturale dove la Lega non è riuscita, almeno per ora, a prevalere. Eppure resta un contesto variegato, con una composizione sociale interna che si riflette nella varietà del voto da provincia a provincia, tra città e aree periferiche a disegnare un quadro che, nel corso degli ultimi anni, si è venuto via via frammentando. Un dato su cui occorrerà riflettere per costruire un’efficace logica di governo: soprattutto perché in questo l’Emilia Romagna riflette una dinamica diffusa nel paese. Un dato ulteriore da considerare è che rispetto al perimetro politico di queste elezioni regionali la proposta partitica del PD, come degli altri partiti, è venuta scolorendosi, messa sempre più in ombra da una logica che identifica un programma e una proposta con una figura: quella del candidato presidente della regione. Anche su questo serve una riflessione, nella misura in cui occorre porre un argine ad un orientamento che finisce per inaridire le classi dirigenti, riducendole a fatto personale intestato ad una dinamica leaderistica.
Se su questo si è consumata la mancata spallata di Salvini e la sua ‘sconfitta’ in questa tornata amministrativa, occorrerebbe tuttavia chiedersi cosa significhi più in generale questo voto accostando l’Emilia Romagna alla Calabria. Fatte le dovute e necessarie distinzioni di contesto e di motivazioni politiche, preoccupa che una regione chiave e cruciale come la Calabria sia stata, di fatto, abbandonata dal centro sinistra. Non si tratta certo di stilare classifiche di importanza fra le regioni italiane, e tuttavia la Calabria, con il suo intreccio drammatico di povertà, disoccupazione, mancanza di infrastrutture, assenza di politiche di tutela e cura del territorio, criminalità organizzata, rappresenta il concentrato di quell’insieme di sfide su cui si gioca il futuro del paese, molto più delle regioni ‘ricche’ dell’Italia centro-settentrionale. La quasi assenza di rilievo della vicenda politica calabrese sulle cronache nazionali segna la conferma di un problema culturale e civile di portata nazionale: l’abbandono a sé stesse delle zone più povere e in difficoltà del paese. Forse queste elezioni, anche per il messaggio che veniva dalle piazze come quelle delle ‘sardine’, sono l’ultimo richiamo alla politica perché si ricostruisca sul valore decisivo della fraternità che oggi è il vero assente dalla nostra scena civile.
Allo stesso tempo il quadro complessivo impone un urgente cambio di passo, in generale del governo e in particolare del PD che deve sentire tutta la responsabilità di aprire una stagione di radicale cambiamento e di mettere in campo una offerta politica costruita intorno a contenuti chiari e riconoscibili.