Emergenza carceri

La politica mostra il suo affanno e rischia di non riuscire a corrispondere agli autorevoli appelli del Papa e del Presidente della Repubblica rispetto l’annoso problema del sovraffollamento carcerario. L’epidemia in corso ha ulteriormente aggravato la situazione e chiede alla politica misure urgenti. Non si può, infatti, delegare ai magistrati di sorveglianza la responsabilità di intervenire sulla situazione, né si può accettare la sola supplenza del Procuratore Generale della Corte di Cassazione, che dichiara insufficienti le norme del decreto “Cura Italia” in riferimento alla popolazione carceraria. Vi è il tema delle misure alternative da adottare per alleggerire la pressione, così come vi è il tema del diritto alla salute che non può non riguardare anche i detenuti e quanti operano all’interno delle carceri.

Il Governo, pur nella eterogeneità delle sensibilità politiche che lo sostengono, deve riprendere in mano la riforma Orlando e renderla operativa mediante gli adeguati decreti attuativi. Non si tratta di cedere di fronte alle rivolte, che pure recano danni ingenti, ma di affrontare in modo risolutivo e non emergenziale una questione di civiltà. La politica può fare qualcosa, anche piccoli passi, cominciando dall’accogliere alcuni emendamenti presentati al Senato che riguardano provvedimenti mirati in tema di detenzione domiciliare e di differimento dell’ordine di esecuzione della pena, riducendo i nuovi ingressi. Saranno obiettivi transitori e certo insufficienti ma sono irrinunciabili per dare al sistema il respiro temporale richiesto per adottare e rendere operativi provvedimenti di carattere strutturale.

Sullo sfondo di tutto questo vi è la riflessione che la politica deve assolutamente affrontare sul significato della pena e sulla sua funzione nel nostro ordinamento secondo l’art. 27 della Costituzione, che peraltro vieta comportamenti contrari al senso di umanità.

di Ernesto Preziosi