"Ovunque tu vada, vacci con tutto il tuo cuore”. Da quando ho iniziato a fare l'insegnante e a cambiare scuola ogni anno, questa frase accompagna il mio primo giorno di scuola. Giunto davanti ai cancelli, mentre cerco di farmi strada nella calca di studenti che si abbracciano tesi tra la gioia del ritrovarsi e l’ansia dell’anno che sta per aprirsi, mi auguro sempre di varcarli con tutto me stesso.
Ogni primo giorno di scuola è un’emozione. Certo, un contro è se sei studente e un altro se sei docente. Quando sei docente è un’emozione unica, diversa da quella provata quando si è dall'altra parte della cattedra. È un'emozione dal sapore di responsabilità, di cura, di empatia, di allegria per le centinaia di studenti che da quel giorno si avrà l’onore di servire. Sì, servire. Perché insegnare è questo. Insegnare, oltre che “segnare dentro”, è mettersi al servizio. Insegnare è servire il Paese che è fatto di volti che si incontrano, occhi che parlano, cuori che battono. E questo servizio non può che portare alla gioia, quella di chi serve e di chi è servito.
Allo stesso tempo noi insegnanti dovremmo smetterla di pensare che insegnare sia solo conoscere bene la propria disciplina e partecipare con noia ai consigli e ai collegi docenti. Anche perché, è ormai risaputo, la scuola non è più l'unico luogo in cui i ragazzi che ci sono davanti apprendono. Certo, è il luogo, anzi, il temo più nobile, più completo, più ricco. Ma non l’unico. Sono passati da un bel pezzo gli anni in cui l'unica via di apprendimento era garantita dalla scuola o dalla bottega. E quindi dobbiamo rilassarci di fronte al fatto che spesso gli studenti ci mettono spalle al muro con domande che mai ci saremmo aspettati negli anni passati. Stupiamoci piuttosto davanti alla loro capacità di saper cercare ciò che li interessa con tutti i mezzi che hanno a loro disposizione.
La scuola è una seconda casa per ogni studente. Circa trenta ore alla settimana, per cinque anni consecutivi. Gli anni più belli, quelli in cui ti riscopri un essere in divenire, che cresce, matura, che si sente forte un giorno e l’altro insignificante. E quindi la scuola puoi viverla o subirla. E da docente, puoi farla vivere al meglio o farla subire nel peggiore dei modi.
E come in ogni casa in cui le singole vite si impastano tra loro, così avviene nel meraviglioso mondo della scuola; per cui i corridoi, le aule, le palestre, i laboratori, il bar diventano luoghi in cui storie e volti di tutti, senza distinzione tra docenti e studenti, si compenetrano a vicenda.
Credo che la scuola sia sì, uno spazio di condivisione di cultura, ma anche di umanità. A scuola ci riscopriamo tutti “drammaticamente umani”. Facciamo i conti con le nostre bellezze ma anche con le nostre brutture, tutti, docenti e studenti. Ma per antonomasia, la scuola è luogo di crescita, e anche qui, vale per tutti, docenti e studenti: noi soprattutto, giorno per giorno impariamo a farci sempre più ascoltatori esperti delle vite dei ragazzi che accompagniamo. Ogni volta che mi capita di conoscere una classe nuova, prima di chiedere agli studenti di presentarsi, dedico qualche minuto anche alla presentazione di me stesso, senza timore di accennare anche ad ambiti della vita personale. Ciò che mi spinge a farlo è proprio quell'idea secondo cui la scuola non si può basare su una relazione semplicemente didattica tesa a considerare i ragazzi meri contenitori di informazioni che poi si spera di riottenere tali e quali durante le verifiche, ma è necessariamente una compenetrazione di esistenze. Non si è docenti, così come anche educatori, soltanto all'interno di un perimetro scolastico, così come non si è figli, padri, madri, fratelli semplicemente nelle mura domestiche. La persona è un essere unitario e ogni volta che varca le porte della scuola porta con sé tutto se stesso, così come avviene negli altri ambienti.
Così, all’inizio di questo anno scolastico, vorrei augurare a tutti i miei colleghi un buon lavoro, un lavoro che però ci porti ad apprendere la vita dei ragazzi, il loro mondo, le loro passioni, le loro aspirazioni, le loro attese… ma anche le loro strategie di apprendimento, per valorizzarle singolarmente.
A tutti gli studenti invece vorrei fare un augurio un po’ più articolato: amatela questa scuola, così com’è! Abitatela fino in fondo! Non sentitevi semplicemente ospiti, perché vi appartiene! Siate protagonisti attraverso gli strumenti che il vostro Statuto vi mette in mano: è qui che imparate la democrazia! E in ultimo, vivetela secondo lo stile caro a don Lorenzo Milani, perché ciò che riguarda uno riguarda tutti, e ciò che riguarda tutti riguarda ciascuno: I care sia il vostro motto!
Per concludere vorrei riportare una citazione a me cara che forse può esprimere in modo più diretto e sintetico quanto detto finora:
“(…) Si frequenta una grande scuola non per acquisire conoscenze, ma per assorbire arti e abitudini; l’abitudine all’attenzione, l’arte di esprimersi, l’arte di saper recepire, in un attimo, una nuova posizione intellettuale, l’arte di penetrare rapidamente nei pensieri di un altro, l’arte di sottostare alla critica e alla confutazione, l’arte di esprimere assenso e dissenso con senso della misura, l’arte di concentrarsi su dettagli di precisione, l’arte di cogliere ciò che è possibile in un contesto, per acquisire gusto, discernimento, coraggio intellettuale e sobrietà di spirito. E soprattutto si frequenta una grande scuola per conoscere meglio se stessi” (William Johnson Cory).
Buon anno scolastico!