
Del Piano Mattei si è discusso molto alla Conferenza degli ambasciatori e ambasciatrici, e meno in Parlamento, anche se entro il 14 gennaio verrà approvato il decreto per la struttura di missione del Piano Africa. Giorgia Meloni ha sempre presentato il Piano Mattei come uno degli obiettivi di legislatura, ma anche perché in un momento in cui sono cresciuti i rischi di instabilità globale, l’Italia deve rilanciare una grande iniziativa politica volta a favorire la cooperazione interazionale. E questa non può non avere come epicentro l’Africa. Il futuro dell’Italia e dell’Europa si gioca qui. Più del 40% del gas che consumiamo proviene da quel continente. Più dell’80% dei migranti irregolari nel 2023 è arrivato in Italia da porti africani. Nel 2023 la Russia ha infiltrato e contribuito alla destabilizzazione di un gran numero di Paesi della cintura sahariana. Quindi, anche dall’opposizione, è giusto contribuire a questo obiettivo strategico della politica estera con idee, suggerimenti e, se necessario, critiche.
Non è la prima volta che un presidente del Consiglio punta sull’Africa. Lo aveva fatto Romano Prodi nel 2007, e così Matteo Renzi tra il 2014 e il 2016, aprendo 5 nuove ambasciate e riformando la legge sulla cooperazione allo sviluppo. Meloni ha il merito di aver capito che serve una strategia pluriennale sostenuta da strumenti definiti. Purtroppo, però, al di là di questa intuizione, il piano Mattei resta un enigma avvolto in un mistero. Per ora si è capito che comanderà Palazzo Chigi, e non è una novità. Come su tanti altri dossier, la Farnesina è stata bypassata al pari di altri strumenti finora utilizzati per la cooperazione allo sviluppo. La nuova struttura ci metterà almeno sei mesi per iniziare a lavorare e non se ne conoscono strategia, obiettivi, risorse.
Per quanto riguarda la strategia, gli annunci della premier fanno pensare che il Piano Mattei sia soprattutto diretto a favorire gli investimenti nel continente, con una attenzione particolare all'approvvigionamento energetico. Francamente, questa sembra una visione un po’ datata e
oggi inadatta alle esigenze dei Paesi africani più rilevanti per gli interessi italiani. Decidere contemporaneamente di iniziare una politica di investimenti nell’energia fossile africana mentre si sta stressando la nostra economia per fuoriuscirne il prima possibile richiede almeno un supplemento di riflessione. Poi, quanto è realistico pensare che ci siano imprenditori pronti a investire nei Paesi della fascia saheliana, da cui partono o transitano i migranti, che ha visto cinque colpi di stato negli ultimi 18 mesi? Anche Paesi tradizionalmente stabili e legati all’Italia (Senegal, Etiopia, Mozambico) vivono crescenti conflitti interni. Perché non pensare invece a un investimento, utile seppur contenuto nelle risorse, in mediazione? Un campo in cui tra l’altro l’Italia, contando sia sulle capacità della Farnesina sia della società civile (a partire da Sant’Egidio, ma non solo) è riuscita a ottenere notevoli risultati nel continente (la pace in Mozambico del 1992, la mediazione in Repubblica Centroafricana, la Rete delle donne mediatrici del Mediterraneo).
Per quanto riguarda le risorse, senza soldi non si fa niente, tantomeno una tangibile politica per un continente grande 10 volte il nostro con 23 volte la popolazione italiana L’Italia è da anni il fanalino di coda degli aiuti allo sviluppo, nonostante gli aumenti deliberati dai governi Renzi, Gentiloni e Draghi. Il governo Meloni, che tra le prime iniziative ha tagliato i fondi per la cooperazione nella legge di bilancio dello scorso anno, deve darsi un programma pluriennale di stanziamenti che permetta all’Italia di raggiungere l’obiettivo dello 0,70% del Pii per l’aiuto allo sviluppo entro il 2030.
Infine: la nostalgia può diventare una trappola. Spendere il nome di uno straordinario italiano, antifascista, pragmatico e visionario può suscitare suggestioni, persino simpatie, ma l’Italia e l’Africa non sono più quelle di Enrico Mattei. Non può esistere una politica africana dell’Italia senza o contro l’Europa. Il grande progetto dell’Italia per l’Africa non può che essere un progetto dell’Europa di mediazione e stabilizzazione con l’Africa.