Sulla crisi di governo

L’apertura formale della crisi di governo rappresenta un passaggio ulteriore di una crisi permanente della classe dirigente italiana che attiene alla fragilità di intelligenza politica delle cose e dunque alla conseguente incapacità di assumere in pieno la responsabilità di costruire dinamiche e azioni dentro un quadro solido.

Le ragioni che l’hanno dettata, ossia la richiesta di incisivi correttivi alla bozza italiana del Next Generation EU e di un metodo diverso di elaborazione del piano europeo, avevano una oggettiva ragion d’essere, per altro sposata non solo da Iv ma anche dal PD, da una parte del M5S e da LEU. Il modo in cui si è accelerato sulla ricerca di ulteriori temi di frizione appare però incomprensibile sul piano politico, soprattutto perché tanto dal lato della dirigenza di Iv quanto da parte del Presidente del Consiglio, segnano una preoccupante deriva verso la personalizzazione del confronto politico.

Manca, in tutta questa vicenda, una franca e aperta assunzione della responsabilità politica del paese in questi mesi così delicati. Non si tratta solo di una valutazione moralistica, legata ai numeri della pandemia: sembra del tutto assente la capacità della classe dirigente di valutare in termini politici le ricadute sociali, culturali, di coesione del corpo politico della Repubblica, che la pandemia sta producendo e lascerà in eredità nei mesi che abbiamo davanti. In questo senso è palese l’irresponsabilità di quanti non colgono la tensione diffusa e crescente in un paese provato dalla pandemia e alla quale la politica, con il suo ripiegarsi su sé stessa, aggiunge ansia e incertezza. Tutte condizioni che aprono la strada ad un rinnovato consenso ad ambienti di destra populista e sovranista.

La consapevolezza di tutto questo è ancor più importante ora, di fronte alla crisi che oramai si è aperta. L’esigenza è certo quella di uscire dai personalismi e di riacquisire una capacità di composizione che investa le forze politiche della responsabilità di dar vita, se ce ne sarà la volontà, ad una maggioranza parlamentare che non sia solo numerica. Se davvero si vuol dar vita ad un patto di legislatura occorre che questo si traduca in un governo all’altezza di quel patto, non solo in termini di personalità che lo compongano ma di capacità di rappresentatività politica.

Solo in questo modo è possibile dare una prospettiva non solo al piano italiano di ripresa e resilienza, ma anche dare corpo a quell’insieme di atti politici inderogabili, dalla riforma della giustizia a quella delle procedure amministrative, che solo un governo politicamente solido è in grado di assumere. E occorre un governo che sappia guidare il paese dentro un contesto che ha specifici connotati: un’Unione Europea che non è un fatto di politica estera ma è lo spazio politico-democratico nel quale esercitiamo la nostra cittadinanza; un quadro mediterraneo e africano nel quale da anni l’Italia ha abdicato alla sua funzione di punto di riferimento di una politica di pace e sviluppo; un orizzonte globale nel quale sono avviati processi che porteranno a nuovi equilibri.

In questa fase, l’alternativa all’attuale maggioranza parlamentare sono solo le urne, che rappresentano un rischio. Anzitutto per l’incertezza che produrrebbero sul piano economico, e anche perché segnerebbero la piena entrata in vigore di una riforma, il taglio dei parlamentati, che non ha ricevuto i necessari correttivi né sul piano della legge elettorale né su quello costituzionale. Il rischio di maggioranze parlamentari eccessivamente sovra rappresentate rispetto alla loro consistenza elettorale getta un dubbio sulla tenuta democratica della Repubblica al quale è imperativo dare risposte.

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14 gennaio 2021