L’articolo di Vittorio Rapetti “L’illusione (pericolosa) del sovranismo”[1] mette in luce una posizione nota come “sovranismo”, che nel dibattito politico indica la volontà dei partiti di escludere i Paesi aderenti da un coinvolgimento troppo “forte” nell’Unione Europea (U.E.), se non addirittura un’aperta ostilità al processo d’integrazione europea
- La sovranità nazionale non è di ostacolo all’integrazione europea
Ora, lentamente, la sovranità dei Paesi dell’U.E. è stata vista quasi come un ostacolo alla realizzazione del sogno europeo; ma, occorre precisare che, mai né gli ideatori[2], né i realizzatori[3] dell’Europa unita intesero mette in dubbio la piena sovranità degli Stati aderenti.
Occorre, quindi, distinguere fra sovranità e sovranismo, cioè fra la piena autorità e libertà degli Stati che hanno costituito e formano l’U.E. e le derive nazionaliste che tentano di ostacolare tale processo.
Gli impegni assunti nei Trattati, a riguardo, non lasciano alcun dubbio; in essi “ le Alte Parti contraenti … ispirandosi alle eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa … desiderando intensificare la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni … istituiscono tra loro un'UNIONE EUROPEA … alla quale gli Stati membri attribuiscono competenze per conseguire i loro obiettivi comuni”[4].
È del tutto evidente che la sovranità degli Stati membri non è stata mai messa in discussione; anzi al contrario, essa viene “rinforzata” dall’appartenenza ad un progetto comune, in cui ogni Stato assume anche il destino di altre Nazioni che non necessariamente rispecchiano la medesima storia, cultura e tradizione.
Per questa ragione la sovranità degli Stati appartenenti all’U.E. è posta al vertice del destino comune ed è costantemente alimentata dalla consapevolezza che le sorti della propria Nazione sono d’ora in poi legate ad obiettivi sovranazionali più grandi, ma anche realisticamente resi possibili e raggiungibili dall’appartenenza all’Unione.
- Il futuro dell’U.E. nella “memoria” dei Trattati
Quale sarà il futuro dell’U.E. è difficile dirlo: sarà possibile costituire una federazione o giungere infine agli Stati Uniti d’Europa?
Ad oggi l’Unione Europea è un’Organizzazione internazionale sui generis che si ispira a un modello di cooperazione intergovernativa, di natura pattizia e volontaria, piuttosto che ad uno Stato federale; infatti a Maastricht nel 1992 prevalse la tesi dei funzionalisti cioè di coloro che privilegiano un coordinamento settoriale rispetto ad una collaborazione che si estenda a tutti i settori economici.
Ma è utile partire, in proposito, dall’esperienza della Costituzione europea[5] del 2004 che, nonostante il grandissimo impegno, è rimasta solo sulla carta perché non furono del tutto sgombrati i dubbi relativi proprio al mantenimento della sovranità degli Stati nel processo di maggiore integrazione che si voleva raggiungere. La Costituzione europea dichiarava, comunque, di assicurare “la continuità dell’acquis comunitario”, cioè l’insieme di determinazioni di natura normativa, politica e giurisprudenziale che i nuovi membri al momento dell’adesione erano e sono tenuti ad accettare quale patrimonio comune acquisito. Nonostante le assicurazioni poste in premessa del nuovo Trattato, la popolazione europea non fu unanimemente convinta di fissare in una Carta costituzionale l’impegno nazionale a favore dell’Europa.
- Il “rallentamento” del sogno europeo
Purtroppo la Brexit, l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea nel 2020, ha consolidato la prudenza degli Stati nell’assumere impegni rafforzati, e così in Europa si procede tra alti e bassi, fra fiammate europeiste e ritorni al passato, ma al momento, pare, senza che venga messa in discussione la costruzione europea.
Le vicende sul fronte ucraino hanno, ora, intensificato i rapporti fra i Paesi membri in vista, anche, di una difesa comune e di un maggiore coinvolgimento dell’U.E. nella politica estera comune.
Riprendendo il discorso delle sovranità nazionali è utile ricordare che i Trattati istitutivi dell’U.E. richiamano costantemente il rilievo che i popoli appartenenti hanno nelle decisioni comuni; anzi ai popoli occorre dar conto delle decisioni (trasparenza dei processi decisionali), cioè rendere noti i passaggi attraverso cui si giunge alle determinazioni di volontà, e dai popoli occorre originariamente trarre l’input per avviare le scelte comuni[6].
Naturalmente un conto è l’attuale Sovranità degli Stati nazionali europei, che è ritorno al futuro perché presente, l’unità europea, nei sogni di chi ha combattuto nelle due guerre mondiali per la libertà della propria Nazione, altro sono i nazionalismi, mero ritorno al passato e con assenza di memoria storica e di prospettive di pacifica convivenza fra le Nazioni -non solo d’Europa -, perché ormai occorre avere uno sguardo alla pace, alla sicurezza e allo sviluppo sostenibile della Terra[7].
Dunque, anche alla luce dei risultati delle recenti elezioni europee, forse, sarebbe più accettabile un linguaggio più pacato che riprenda i contenuti del disegno originario dell’Europa unita, abbandonando dal lessico istituzionale, ma anche comune, il sovranismo, perché assente dai Trattati, e rilanciando una sana partecipazione popolare e degli Stati sovrani – senza timore d’usare questa espressione – perché si tratta di Sovranità “buona”.
Non “Più Europa” o “Meno Europa” ma la ragionevole e realistica consapevolezza di dover tener conto “dell’ interesse nazionale”, ma senza la volontà di contribuire “all’indebolimento delle politiche comunitarie”.
D’altronde i principi di attribuzione, di sussidiarietà e di proporzionalità, fondanti i Trattati, esprimono il convincimento delle nazioni d’Europa di voler procedere nel percorso comune senza mai contrapporre i singoli Stati all’Europa stessa, essendo l’U.E. un’Organizzazione che vuole tendere allo sviluppo degli Stati aderenti; presupposto per niente scontato, quando nel Mondo si assiste a realtà politiche che schiacciano i dissensi, le opposizioni, le minoranze, i soggetti più fragili, causando anche impoverimento, in nome di guerre, neo-imperialismi, dittature.
- Le Missioni dell’Europa
Forse più che di “Sovranità dell’Europa” si potrebbe parlare di Missioni dell’Europa in un contesto internazionale che aspetta iniziative comuni, da tanto tempo, su tante questioni, tra cui: conflitti in corso, migrazioni, indebitamento, equità sociale; ma senza irrigidirsi sulle posizioni, senza voler prevalere ideologicamente, ma aggiornando le decisioni comuni rapidamente e dialogando continuamente, credendo al confronto razionale e rispettoso e tenendo sempre fermi i valori insopprimibili adotttati dai Trattati.
Bene, quindi, proporre e convergere su progetti specifici, anche di ampia portata – come il contesto internazionale richiede – , ma avere sempre consapevolezza, credo, che in Europa vivono culture e tradizioni diverse che rappresentano la forza dell’Europa “Unita nella diversità”.
Tutte le principali sfide culturali, religiose ed umanistiche, secondo me le più difficili, che oggi si affacciano sul continente europeo, potranno essere affrontate se si rispetteranno le due condizioni necessarie: la determinazione dei popoli (quindi la partecipazione dei cittadini) e il confronto tra gli Stati.
[2] “L'Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”(Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950).
[3] L’Europa unita è “un’Unione di Stati europei che coordinano strettamente le loro politiche a livello europeo e gestiscono, sul modello federale, talune competenze comuni”. (Valéry Giscard d’Estaing, Presidente della Convenzione Europea, Roma, Palazzo Giustiniani, 30 maggio 2002).
[4] Trattato dell’Unione Europea, preambolo, art.1.
[5] Il “Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa”, firmato a Roma il 29 ottobre 2004 nella stessa Sala dove furono firmati i Trattati che diedero inizio alla Comunità europea, non è entrato in vigore perché fu respinto da due Stati, nelle procedure di ratifica, con voto popolare.
[6] Cfr. art. 1 Trattato dell’Unione Europea.
[7] Cfr. art. 3, n. 5, Trattato dell’Unione Europea.