Riforme costituzionali: per fare il punto

Martedì, 14 Febbraio, 2023

La stagione politica che si è aperta dopo le elezioni dello scorso settembre ha proposto nuovamente il tema delle riforme costituzionali, preannunciate in campagna elettorale dalla coalizione destra-centro, ora al governo. Intenzioni mantenute con lo sviluppo del percorso sull’autonomia differenziata (il ddl Calderoli) peraltro avviato fin dal 2018 in base alle norme già vigenti, mentre la premier Meloni ha ribadito il progetto di realizzare in tempi brevi le riforme promesse

Perché vengono poste questioni di carattere costituzionale? Le tante fragilità e lentezze delle nostre istituzioni e amministrazioni sono prese a motivo per giustificare la “necessità” delle riforme: lentezza dell’azione legislativa del Parlamento, conflitti di competenze stato/regioni, governi che non riescono ad operare con interventi rapidi, vincoli posti dall’azione della Magistratura che ostacolerebbero un cambiamento...

In particolare si profilano alcune principali questioni, che riguardano i fondamenti dello stato italiano e punti-chiave della Carta Costituzionale. Proviamo a riassumere in 4 punti.

1) DALLA CENTRALITA’ DEL PARLAMENTO AL PRESIDENZIALISMO. La prima proposta, mira a modificare il ruolo del Parlamento, che la Costituzione pone al “centro” delle istituzioni italiane (per questo la nostra si definisce una Repubblica Parlamentare), passando ad una forma presidenziale. Questa prevede l’elezione diretta del Presidente della Repubblica; egli diviene anche capo del governo (sistema presidenziale, tipo USA) o nomina un capo del governo di sua fiducia, gestendo direttamente le principali questioni politiche (sistema semi-presidenziale, modello francese). Si verrebbe così a modificare radicalmente anche il ruolo del Presidente della Repubblica, che oggi in Italia è eletto dal Parlamento e svolge la funzione di garante dell’Unità nazionale, ‘sopra le parti’, delle istituzioni politiche, giuridiche, militari. Questa proposta ricalca in parte tentativi già provati in passato (con la riforma Berlusconi del 2005, poi bocciata dal referendum popolare) ed è sostenuta soprattutto da FdI e FI.

2) L’AUTONOMIA REGIONALE DIFFERENZIATA: questa proposta prevede di distribuire in modo diverso sia le competenze legislative che le risorse finanziarie assegnate a ciascuna regione da parte dello stato. “In cambio” della responsabilità di legiferare e gestire direttamente settori chiave dell’amministrazione (oggi di competenza ‘concorrente’ tra Stato e Regione, oppure di esclusiva competenza statale), la Regione trattiene quote rilevanti del gettito fiscale (per il Veneto la richiesta arriva fino al 90% delle tasse pagate da cittadini e imprese) oltre che l’acquisizione di beni demaniali statali[1]. Ogni regione può definire con lo stato centrale una specifica “intesa”, diversa da quella delle altre, con un probabile aumento della complessità a gestire il sistema nazionale nel suo insieme. Questa proposta, portata avanti soprattutto dalla Lega, riguarda le regioni a statuto ordinario (mentre non tocca quelle a ‘statuto speciale’ che già godono di maggiore autonomia e che in realtà costituiscono il vero nodo critico del sistema delle autonomie).

E’ piuttosto evidente che una tale modifica andrebbe ad avvantaggiare le regioni più efficienti, sottraendo risorse al sistema statale e quindi alle regioni più povere e meno organizzate. Ma avrebbe anche un effetto complessivo sulla organizzazione politica e amministrativa, andando a smembrare quei sistemi nazionali, in particolare quello scolastico e quello socio-sanitario, che già oggi risentono di forti differenze tra i territori (si pensi ad es. alla determinazione dei “livelli essenziali di prestazione”). 

Quello che suscita maggiori domande e preoccupazioni è la COMBINAZIONE di queste due riforme, che -accontentando esigenze e progetti diversi (il “governo forte” della destra, il federalismo della Lega) - andrebbero a sconvolgere gli attuali equilibri tra le varie istituzioni e aree del paese, prospettando un modello di stato del tutto diverso da quello che conosciamo.

3) IL SISTEMA FISCALE: DALLA PROGRESSIVITA’ ALLA FLAT TAX. Già con la legge di bilancio appena approvata - insieme ad una serie di condoni e norme che diminuiscono il contrasto all’evasione fiscale – il nuovo governo ha introdotto per alcune categorie di contribuenti la possibilità di usufruire di una “flat tax” (ossia “tassa piatta”). Il progetto è quello di procedere nei prossimi anni ad una estensione di questa formula: essa però contrasta in modo palese con il principio costituzionale cardine del nostro sistema fiscale, ossia la progressività delle imposte in proporzione al reddito dei cittadini. Anche in questo caso le conseguenze sarebbero di particolare rilievo: una diminuzione delle entrate fiscali da parte dello stato, con conseguente minor finanziamento per il sistema sociale; il sistema fiscale perderebbe almeno in parte la sua funzione di redistribuzione del reddito (quindi di contrasto alle diseguaglianze), soprattutto con una diminuzione dei servizi, proprio in una fase in cui diseguaglianze e povertà stanno crescendo.

4) LA RIFORMA DELLA MAGISTRATURA.  Vi è poi un altro tema, meno evidente nelle cronache, particolarmente complesso ma di grande portata, che tocca il ruolo della magistratura, la sua indipendenza ed il suo funzionamento interno, il rapporto con il potere politico. Tema che si intreccia con quello delle garanzie del processo penale, degli obiettivi costituzionali del sistema carcerario, del rapporto tra giustizia e pena.

In tutti questi casi (e non sono gli unici, basti pensare al ruolo dello stato nelle questioni del lavoro e del clima, dell’energia e delle comunicazioni), tocchiamo con mano come le questioni costituzionali – complesse e difficili finché si vuole - non siano discussioni astratte bensì tocchino direttamente la vita personale e sociale di tutti i cittadini

Percorsi e atteggiamenti

Come si può sviluppare il percorso di riforma?  Le modalità sono in discussione e possono essere varie. Anzitutto attraverso leggi costituzionali, modifiche al testo della Carta, tramite l’attività diretta del Parlamento o attraverso una Commissione bicamerale.

Ma anche attraverso leggi ordinarie, che tendono a ‘riadattare’ i principi costituzionali senza modifiche formali, o sviluppare ulteriormente processi già avviati, ad esempio con la regionalizzazione della sanità e con la riforma del titolo V. Un ampliamento dei poteri legislativi delle regioni potrebbe favorire questo modo di procedere, attraverso la legislazione ordinaria di stato e regioni.

Ruolo decisivo avranno ovviamente i partiti, nella capacità di individuare percorsi chiari con cui affrontare il processo di riforma, anche considerando le differenze interne ai partiti e alle coalizioni sul tema.

La Costituzione è una garanzia per tutti, ma non è un testo inamovibile: non si tratta solo di difenderla, ma di attuarla. L’atteggiamento di fondo può quindi essere quella “fedeltà dinamica”, che ci impegna a ponderare con saggezza i progetti di modifica.

Si tratta, a mio modesto avviso, di uscire da una logica di mera contrapposizione, perché si presta ad un uso propagandistico della questione, per entrare invece nel merito delle proposte, nella effettiva valutazione delle conseguenze, nel contesto politico concreto.

 

Occorre in sostanza

  • chiedersi se e in che modo le singole proposte e la loro combinazione possono effettivamente fornire risposte alle esigenze reali di funzionamento del sistema politico italiano;
  • individuare quale progetto politico vi sia dietro le proposte di modifica avanzate;
  • domandarsi se vi sono le condizioni politiche e culturali (ampio consenso del Parlamento, certezza e chiarezza dei percorsi, coinvolgimento dei cittadini) per avviare un cambiamento di una tale portata, che comporta una diversa visione del sistema democratico: modifichiamo la Costituzione per attuarla in modo più efficace o per mutarne i principi fondamentali?
  • cogliere come quelli in discussione, infatti, non riguardino aspetti marginali o solo di tipo tecnico, in quanto le riforme ipotizzate conducono ad un nuovo tipo di ordinamento dello stato (quindi con la modifica della seconda parte della Costituzione), ma implicano una ricaduta anche sui rapporti sociali, economici e politici tra i cittadini (quindi con riflessi anche sulla prima parte della Carta).