Riforma p.a. appunti per una critica positiva e una proposta migliorativa

Dalla Riforma Bassanini del 1997 ad oggi i Governi si sono impegnati a riformare la pubblica amministrazione nella considerazione negativa che la sua inefficienza comporta danno e rallentamento alla crescita del Paese e nella considerazione positiva che la sua riforma migliora la vita dei cittadini.

Si sono succedute riforme presentate come radicali e complessive (Bassanini, Brunetta) e tracce frammentarie di modifica in norme inserite spesso in leggi finanziarie o di settore.

Oggi il Governo Renzi intende accelerare la riforma della pubblica amministrazione e ha già adottato testi normativi con novità strutturali sia con la Legge 56/2014 sia con la Legge 114/2014, mentre ha già presentato DDL n. 1577 in Commissione Affari Istituzionali del Senato che intende riformare complessivamente il settore pubblico.

Nota interpretativa

Lavoro nella pubblica amministrazione dal 1982 prima come funzionario della Provincia poi come Segretario Comunale - figura che ha subito almeno tre riforme e si avvia alla abolizione della figura - e quindi devo evidenziare per onestà intellettuale la prospettiva parziale con la quale affronto il tema, prospettiva che definirei "induttivo/pratica" e il personale impegno di non .... personalizzare le considerazioni alla luce del declino della mia figura professionale.

In tanti anni ho però avuto il privilegio di "vedere" tanti Enti, tantissime situazioni sia dei dipendenti pubblici sia del territorio e delle cittadinanze che accedono alla pubblica amministrazione, definendomi di fatto direttore di una azienda pubblica.

Tralascio quindi considerazioni soggettive legate alla mia figura e ritengo piuttosto importante - prima di affrontare in prossime puntate testi e problemi tecnici specifici - dotarci di un quadro complessivo dei temi che si susseguono e delle criticità che si intendono risolvere per rendere la pubblica amministrazione efficiente.

 

SPENDERE MENO

I criteri adottati dal legislatore per ridurre la spesa pubblica sono prevalentemente contabili in senso stretto. Si riducono - giustamente - le auto blu, le consulenze, le spese di rappresentanza, i convegni, il personale, gli acquisti etc.

Nella formazione della spesa pubblica occorre però integrare questo principio ad alcuni parametri essenziali, senza i quali l'ente è costretto al disservizio con danno alla utenza.

In primis occorre avere ben chiara la natura dell'ente erogatore di servizi, per cui le prestazioni infungibili esigono la prevalenza del rapprto di qualità con l'utente e quindi i fattori di spesa vanno standardizzati su indicatori di qualità immodificabili, pena il danno all'utente. Sarebbe interessante a questo proposito un approfondimento sulla nozione di danno erariale. Un esempio? scade il contratto di un ottimo autista di scuolabus con un vetusto scuolabus. Ordinariamente seguire le norme in materia di appalti e personale porta a mantenere lo scuolabus vetusto con autista che non ha il medesimo rapporto di sicurezza e pedagogico con i minori. Per mantenere quello standard di qualità occorre eludere norme troppo rigide ove l'unico criterio è contabile. Mi chiedo: per evitare un danno ai minori devo rischiare un danno erariale? Per assicurare lo standard del servizio alla persona devo effettuare un presunto danno erariale? Gli esempi, soprattutto nelle piccole realtà, sono tanti.

Secondariamnte occorrerebbe differenziare la normativa sulla base della definizione dei bisogni standard. Le auto blu sono per i Comuni le auto di servizio e ridurre la spesa del cinquanta per cento può voler dire eliminare completamente il parco macchine, inducendo l'uso dell'auto privata con potenziale maggior spesa o lo sconfinamento nella impossibilità di muoversi. La situazione spesso è paradossale, perchè l'assenza della definizione dei bisogni standard "adeguati" per gli enti premia enti che nel passato hanno accumulato consulenze, auto, personale, convegni etc. e penalizza chi ha avuto accortezza. Insomma: a chi ha sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha! Quindi i criteri di differenziazione e adeguatezza dovrebbero essere contenuto delle norme della spending review e probabilmente porterebbero a maggior risparmio, in quanto ci si accorgereebbe che vincolare del 50% della spesa di personale porterebbe a rilevare che in certi enti forse basterebbe il 30%, ma in altri potremmo arrivare .... alla estinzione o fusione.

D'altra aprte la normativa fin dalla legge 241 porta ad esigere la contemporanea sussistenza di legittimità-efficienza-efficacia-economicità, nella considerazione che la carenza di uno degli elementi porta al disvalore degli altri per le conseguenze sulla qualità dei servizi.

 

DIMENSIONE ENTI
Il Governo Renzi ha eliminato la Provincia come Ente intermedio ma ha sbagiato la tempistica nella abrogazione delle funzioni esercitate e ha dimenticato che ogni Regione ha attuato in modo differente già dagli anni Ottanta la delega di funzioni alle Province di appartenenza.

Negli anni si è aggiunto personale non comandato o distaccato dalla Regione, ma assunto dalle Province per la gestione di tante funzioni delegate.

Ora si fissano in poco tempo le funzioni residue delle Province nella illusione colpevole che al 1° gennaio 2015 le funzioni precedenti spariscono e il personale viene definito sovranumerario. La confusione è notevole e tocca personali situazioni contrattuali e dimentica che il personale pubblico lavora in forza di motivazioni, ora uccise stante la prospettiva della sparizione.

D'altra parte la Corte dei Conti era stata severa nell'esprimere parere rispetto al disegno di modifica di fatto costituzionale già nel 2013 apponendo giudizio di frammentarietà e superficialità a detto disegno.

Parallelamente si è insistito sulla formazione di gestioni associate con la progressiva formazione di Unioni di Comuni destinatarie di nove funzioni conferite dai Comuni. Al riguardo si rileva che l'elenco delle funzioni obbligatoriamente conferite con scadenze semestrali è stato espunto dal decreto sul fedralismo fiscale con normativa adottata dal Governo Monti. Si ritiene che la fonte sia impropria e ha comportato l'inserimento di funzioni oggettivamente disomogenee con le funzioni esercitate dai Comuni. Si isola la gestione dei rifiuti ormai gestita da aziende speciali ovunque, il catasto ancora gestito dallo Stato, si tratta genericamente di servizi di interesse generale, si accorpano gestioni di supporto indifferenziate etc. Ma soprattutto si fissa l'obbligo solo per i Comuni al di sotto di 5.000 abitanti, dimenticando l'elementare verifica del territorio nazionale con Comuni di detta dimensione o inesistenti e comunque non contigui, tenuto altresì conto che gli ambiti ottimali sono stati definiti da ben poche Regioni.

Occorrerebbe davvero un disegno costituzionale ordinato e accettare che l'ente intermedio esiste già ed è la Provincia, che potrebbe - mantenendo quanto fatto - essere considerata essa stessa come Unione di Comuni con conferimento di funzioni dal basso al fine di ottimizzare gestioni in termini di efficacia ed effettiva economicità. La Regione è sovradimensionata e la stessa Corte dei Conti non perde occasione per indicare in essa vera fonte di spesa eccessiva, con la presente creazione di enti associati o aziendali per la gestione in particolare di funzioni sanitarie e/o sociali.

Il proliferare di enti e la disomogeneità territoriale di funzioni e competenze o la loro duplicazione in capo a diversi enti sono fonte di spesa pubblica, centri di potere dispendiosi e "arroganti" e alla fine di burocratizzazione eccessiva a scapito dei cittadini e delle imprese.

Occorre tornare a enti definiti, pochi e chiari nelle competenze, eliminando anche tratti dello Stato ormai inefficaci e fonte di carichi fiscali indiretti e macchinosi: basta verificare gli orpelli rimasti per portare a termine il trasferimento di una proprietà immobiliare.

 

FASE ESECUTIVA

La riforma della p.a. dal 1997 in poi ha rotto meccanismi oggettivamente "lenti" basati soprattutto su principi della dottrina giuspubblicistica e quindi sul diritto amministartivo dedotto da principi dottrinali ove fondamentale era il concetto di legittimità e competenza, scevro però dal considerare l'effettiva efficacia dei servizi erogati, nella presunzione che se un atto era legittimo inevitabilmente la prestazione era efficace. I tempi "accelerati" hanno indotto a introdurre nuove prassi - si pensi solo al concetto di  autocertificazione - coerenti piuttosto con i principi aziendalistici dell'efficienza.

Ma ci siamo riusciti ? A me pare che le leggi che si sono susseguite hanno introdotto nuovi principi, rivoluzionari rispetto al pregresso, ma in modo frammentario nel tempo e nella applicazione, senza il supporto di una profonda formazione degli operatori o di un loro necessario ricambio.

Soprattuttto manca tuttora un concetto fondamentale della scienza aziendalistica: la sperimentazione e la verifica della fase applicativa, che esige nuovi strumenti, nuova formazione, tempo per verificare i risultati con sistemi di controllo della gestione.

E' paradossale che gli operatori dei servizi demografici - è un esempio fra i tanti - scoprano di fatto dal Sole24Ore la nuova modalità di autocertificazione senza avere strumenti sperimentati e omogenei sul territorio nazionale, con la conseguenza di dare incertezza all'utenza e offrire spesso occasione di contenziosi allo sportello fino a contenziosi giudiziari, perdendo di fatto autorevolezza nell'esercizio della funzione pubblica.

E' un problema pure di linguaggio giuridico, che deve avere una fondamentale proprietà: la semplicità e univocità di significato, mentre si inserisce un linguaggio aziendale in sostituzione di quello amministrativo fino ad usare termini inglesi dalla variegata e possibile interpretazione.

La ricerca è l'anima della innovazione e nella p.a. questa verità è spesso persa in nome della fretta, della immagine, del facile consenso portando la classe politica ad annunciare cambiamenti immediati e scaricando colpe sugli operatori che devono rincorrere testi normativi incerti e modificati ogni dodici mesi, confezionati da burocrati romani distanti dal pensare italiano, che - ad esempio - pagherebbe facilmente le tasse se fossero semplici, costanti nel tempo, con strumenti di calcolo preconfezionati, poche. Invece ogni anno rifacciamo Tasi, Tari, Imu, Ici con software innovativi in corso d'anno, casistiche fantasiose, disomogeneità applicative.

Altro esempio provocatorio? Non si tratta di tornare allo stato centralista, ma perchè non si confezionano modelli progettuali coerenti con tutti i controlli dovuti da parte del ministero preposto e li si offre ai Comuni per abbattere i costi delle spese tecniche  e incentivare quindi le prassi manutentive con mezzi uguali su tutto il territorio, lasciando la libertà a chi ha soldi e bellezze territoriali di chiamare Renzo Piano a costruire la propria originale bella scuoletta ?

Conclusivamente, integriamo le normative con tempi e strumenti di sperimentazione, verifica, applicabilità effettiva ed efficace per poter poi sanzionare le inadempienze, solo allora colpevoli. Avremmo carte dei servizi allegate alle leggi e ai numerosi decreti attuativi che attuativi spesso non sono.

 

DIGITALIZZARE I SERVIZI

Connesso alla fase applicativa è la giusta e inevitabile insistenza normativa presente in tutto il movimento normativo per riformare la p.a. tesa a digitalizzare i servizi.

Occorrerebbe migliorare questa tendenza irreversibile con due impegni da tradurre in strumenti amministrativi: la formazione e la standardizzazione.

La formazione degli operatori richiederebbe capitolo a parte ma lo inserisco qui. In Italia manca un livello formativo obbligatorio e periodico a favore degli operatori che supporti prassi, innovazione e comportamenti. Manca una efficace scuola centrale per lo Stato, uno decentrato per Regioni e Province che sia pure condizione obbligatoria per promozioni e passaggi di livelli contrattuali, accostandoli al poco efficace strumento del concorso che permette di assumere un "musone" ai servizi che esigono innanzitutto "sorriso" al pubblico.

Ma soprattutto la digitalizzazione esige formazione e aggiornamento degli operatori pubblici, di età vecchia riferita agli strumenti della informatica. Questo è un investimento essenziale dello Stato se non vuole arrivare al virus peggiore della digitalizzazione: continuare a vivere una p.a. con doppio binario, cartaceo e informatico ed è quello che sta succedendo dalla archiviazione degli atti fino al rilascio dei certificati. Occorre supportare la digitalizzaizone con un effettivo cambio di cultura anche per le generazioni adulte evitando quel doppio bianrio che è causa di organizzazioni pubbliche confuse nelle competenze, dispendiose nei soldi e nei tempi, poco autorevoli verso cittadini e imprese che subiscono tempi incerti e danno economico.

Questa formazione permette la standardizzazione. La riforma della p.a. dovrebbe curare questo aspetto invece di dilungarsi in documenti verbosi e lunghi. Ne è un esempio il piano nazionale anticorruzione che si dilunga per circa 150 pagine in cavillose indagini di comportamenti da evitare, mentre dovrebbe sinteticamente e in modo digitale esemplificare gli accertamenti standardizzati. Così in tanti settori, dall'urbanistica ai demografici, e comunque in tutti i settori con forte impatto sull'utenza occorrerebbe standardizzare modulistica e approccio informatico, spesso lasciato ad un mercato di softerhouse non sempre competente con costi elevati. La riforma della p.a. intende accelerare le procedure, evitare interpretazioni cavillose, agevolare imprese e cittadini, per cui deve curare la standardizzazione delle procedure ed evitare doppio binario - digitale e cartaceo - creando effettivamente intercambiabilità tra le banche dati e gli enti preposti a procedure connesse. Il sistema degli Sportelli deve essere incentivato, ma occorre contemporaneamente centralizzare il sistema di intercomunicabilità tra enti e non lasciarlo ... alla fantasia degli enti e dei venditori di prodotti informatici.

 

CONTROLLO

Aleggia tra gli operatori della p.a. una non tanto sottile sensazione di colpevolezza: desideri applicare le norme estremamente farraginose e dopo qualche tempo, con effetto retroattivo, ecco Ragioneria dello Stato, Aran, Anac, Corte dei Conti sia pure di una remota regione, ma anche Anci etc., interpretare in modo assolutamente rigido e massacrante il comportamento adottato con addebito di danni erariali.

Il vuoto legislativo - che è vuoto politico - in tanti settori della p.a. comporta una sorta di costante commissariamento degli enti da parte degli controllori e anche di ministeri, saltando a piè pari la gerachia delle fonti del diritto e portando atti di controllo su singoli casi alla valenza di norme generali, sia pure prodotte con la forma del parere se non addirittura della circolare.

La conseguenza è la paura e - paradossalmente - l'incentivo a non assumere responsabilità e premiare l'inerzia dei c.d. fannulloni, tanto vituperati.

La riforma della p.a. dovrebbe portare a norme certe e chiarire il potere dei controllori e fissare l'efficacia di chi può e con quali atti determinare il comportamento degli operatori pubblici.

Il proliferare in questi anni di Autority, Agenzie, Autorità ha provocato il crescere di una legge elementare della p.a.: ognuno di questi enti deve trovare propria legittimazione e produrre atti che ne giustificano l'esistenza, anche se contradditoria rispetto ad altri enti. Occorrerebbe semplificare il sitema dei controlli e chiarire competenze e potere e valenza generale o circoscritta degli atti adottati.

Sembra invece che ad ogni lavoratore/ente pubblico corrispondano almeno cinque controllori ed ognuno di loro chiede statistiche, rendiconti, monitoraggi, rilievi etc. .... a quanti enti si inviano le medesime notizie? quanto tempo viene dedicato a riempire questi enti di dati di cui non si conoscono gli effetti in termini di programmazione? e quale logica è sottesa a certi duri pareri che paiono più soddisfare il desiderio narcisistico di onnipotenza di chi li adotta rispetto alla reale conoscenza di situazioni che non potevano che essere risolte in certo modo, invece analizzato e giudicato sempre con il criterio della colpevolezza presunta di chi li ha adottati?

 

SISTEMA PREMIALE E VALUTATIVO

Il giusto obiettivo di premiare i più meritevoli viene organizzato con due criteri: reportistica e criteri oggettivi di valutazione con organismi teoricamente indipendenti per esercitare la valutazione.

L'effetto è un sistema complicato di definizione di obiettivi/performance, di contrattualistica farraginosa con istituti antiquati, con pesatura di responsabilità e prestazioni sulla base di criteri parziali.

Si aggiunga la enfatizzazione della customer satisfaction che porta a chiedere agli alunni se un insegnante è bravo, mentre una organizzaione pubblica dovrebbe a monte scegliere l'autorevolezza dell'insegnante e colpire i peggiori.

Mi pare che una causa della crescita delle norme regolamentari, disciplinari, comportamentali, contrattuali risenta in primis di un equivoco: all'origine - contratto collettivo del 1999 - si è presunto di migliorare la produttività all'interno dell'orario di lavoro con progetti a criteri teorici, mentre sono stati eliminati istituti consolidati come il lavoro straordinario.

Correlativamente si è istituita una classe di responsabili con indennità aggiuntive e sistemi di progressioni contrattuali recentemnte sospesi quando .... i buoi erano scappati.

Oggi è fondamentale adottare il contratto nazionale mutando radicalmente la parte giuridico/organizzativa e smettere di elaborare normative che partono dal presupposto di colpire i fannulloni, mentre il vero presupposto è dare fiducia a chi vorrebbe avere autonomia e responsabilità senza dovere avere paura della propria intraprendenza, inevitabilemnte colpita dai controllori poichè con il sistema normativo di oggi è impossibile ... azzeccarci.

I sistemi premiali devono partire da un sistema di livelli formativi obbligatori e seri (non basta far finta di avere crediti formativi lasciando scorrere le ore dell'e-learning digitale al computer di casa), di valutatori professionali, di un sistema di obiettivi reali tenendo conto che le prestazioni delle aziende erogatrici di servizi sono in gran parte non valutabili in quanto non misurabili. A questo proposito applicare un sistema solo di economicità è incoerente con prestazioni ove il rapporto fiduciario è prevalente e spesso ... costa.

 

DIRIGENZA E SPOJL SYSTEM

La riforma della p.a. privilegia nomine fiduciarie della dirigenza a termine con possibilità di revoca. E' l'opposto del precedente sistema ove capitava che un dirigente non veniva scelto dall'esetrno, ma da lento crescere della professionalità dal basso fino alla pensione.

Prevale il concetto che il dirigente è un coordinatore di persone, per cui è indifferente diririgere la ragioneria o l'urbanistica, ma questo modello può valere alla catena di montaggio della Fiat, ma non in un Comune, ove dirigere un settore non può prescindere dalla acquisizione pratica delle conoscenze gestionali.

Nominare un dirigente a tempo porta inevitabilemnte a far crescere gli emolumenti ed è quindi ipocrita lamentarsi degli alti stipendi e dello scarso senso di appartenenza di dirigenti intercambiabili che dopo pochi anni se ne vanno per altri lucrosi stipendi, divenendo non gli imparziali escutori di leggi, ma interfaccia di politici che esigono coerenza con i loro programmi elettorali.

Per uscire dai due estremi - conservazione paralizzante del primo sistema e improvvisazione del secondo - occorre evitare sistemi di nomina quasi casuale come ora avviene ed esigere criteri di accesso alla dirigenza seri, alti, lunghi nell'acquisizione fin dal curriculum universitario.

Occorre inoltre uscire dall'equivoco conseguente alla nomina di dirigenti che hanno funzioni di controllo del controllato, mentre la nomina porta inevitabilmente e solo alla gestione di programmi in esecuzione di leggi e il controllo deve essere portato da soggetti non invischiati quotidianamnete con i controllati.

 

CULTURA AZIENDA PUBBLICA

Conclusivamente mi pare che la riforma della p.a. rincorre spesso gli obiettivi condivisi - efficacia, speditezza, economicità, efficienza - con soggetti e criteri errati.

Manca una vera cultura della gestione della'azienda pubblica, mutuando invece manager privati (i direttori generali dal privato hanno fallito nel pubblico) o politici riciclati o criteri di gestione e valutazione dalla scienza aziendalistica privata.

L'azienda pubblica - rientrando in questo concetto enti di ogni natura, dalle Prefetture ai Comuni - esige l'approfondimento e l'applicazione di criteri con soggetti che conoscano per i tempi che viviamo cosa significa realizzare l'interesse pubblico uscendo da rigidi criteri di dottrina amministrativa - comunque ancora utili - o ideologismi scevri dal necessario pragmatimo spesso assente nell'affrontare i problemi della nostra società italiana.

Piacenza, 27 dicembre 20015 

Enrico Corti