La proposta dell’attuale maggioranza di governo di riformare l’assetto istituzionale della Repubblica si aggiunge ad una lunga lista di proposte accumulatesi in trent’anni. Constata la crisi della democrazia la risposta si mantiene ancora una volta sul terreno della riforma istituzionale, nella convinzione che i rimedi al “male italiano” si chiamino “governabilità”, “elezione diretta del capo dell’esecutivo”, “federalismo”. Eppure, il grande assente da tutta questa pur interessante discussione di diritto costituzionale è proprio il male che si vuole curare: una crisi della democrazia che riguarda il dissolversi della rappresentanza, l’assenza di un rapporto fra classe dirigente e cittadini, alterità crescente fra istituzioni e partiti e realtà viva del paese. È dunque già significativo che si pensi di risolvere la crisi della democrazia riducendo gli spazi della stessa, cosa per altro già avviata nella scorsa legislatura con la riduzione del numero dei parlamentari.
Che la nostra Carta necessiti di un aggiornamento circa l’architettura dello Stato è certo elemento condiviso, ma proprio il fatto che questa esigenza nasca dalla crisi della democrazia come forma di partecipazione suggerisce che una modifica costituzionale risponda ad un criterio di equilibrio. La bozza di riforma costituzionale con cui si propone un premierato soft prevede: elezione diretta del premier, una norma anti-ribaltone e anti-governo tecnico., Il testo si propone di introdurre il premierato modificando l'articolo 92 della Costituzione con la seguente formula: “Il Presidente del Consiglio è eletto in suffragio universale e diretto per la durata di cinque anni”. Il riferimento è a votazioni che avvengono “tramite un'unica scheda elettorale” e che sono regolate da un sistema elettorale con un premio per i candidati e le liste collegate al premier “il 55 per cento dei seggi nelle Camere”.
Il tema della governabilità va affrontato considerando la situazione complessiva che vive la democrazia italiana. Non c’è bisogno di prendere la strada del plebiscito, quanto quella di tornare a seminare la democrazia attraverso il circolo virtuoso della rappresentanza popolare in grado di dare nuova forza ai legami sociali, di offrire una visione alimentata da una cultura politica. Non abbiamo bisogno di “politici con gli attributi”, ma di una politica robusta. In tal senso i cattolici più che seguire le chimere di un cambiamento istituzionale debbono spendersi offrendo soluzioni praticabili sui principali problemi e costruendo intorno a essi il consenso.
È evidente l’intento di Meloni di bilanciare la riforma sull’autonomia differenziata proposta dalla Lega con quella del premierato forte, ma il risultato sarà comunque un Paese arlecchino in cui la mancanza di solidarietà andrà ad aggravare l’instabilità. Perché l’instabilità non si radica nel rapporto fra Governo, Parlamento e Capo dello Stato, ma nelle frammentazioni del quadro politico che nessuna riforma potrà eliminare. Peraltro, con il sistema attuale, un governo con una buona maggioranza ha piena possibilità di governare rapidamente ed efficacemente, senza aver bisogno di ulteriori poteri.
Al di là di come procederà la vicenda, Meloni ha certamente la possibilità di alzare una bandierina propagandistica in vista delle elezioni europee parlando di “terza repubblica”, mentre dobbiamo riconoscere che la cosiddetta “seconda repubblica” è figlia non di cambiamenti strutturali, bensì di una campagna mediatica partita dalle TV berlusconiane e ripresa banalmente dai media.
Ci si dovrebbe tuttavia chiedere: nel momento in cui si svuotano le funzioni del Parlamento e del Presidente della Repubblica, a cosa serve un “premier forte”? Tra l’altro, ormai da decenni il Parlamento viene svuotato e indebolito proprio nella funzione legislativa con la prassi di procedere da parte del governo a colpi di decreti legge sulla cui conversione il governo pone spesso il voto di fiducia, con buona pace della separazione dei poteri e delle prerogative di una repubblica parlamentare.
Detto ciò è importante aggiungere che alcune riforme sono necessarie, e l’attuale opposizione non può limitarsi a dire no ma dovrebbe mettere in campo una proposta semplice e comprensibile. Se si vuole intervenire per dare più forza alla Presidenza del consiglio e un rinnovato protagonismo al Parlamento si può guardare al sistema tedesco, ma anche in questo caso le modifiche alla Carta vanno calibrate attentamente e debbono puntare a raccogliere un consenso il più ampio possibile, senza essere il risultato di “scambi” di basso profilo, incapaci di reggere nel tempo.