Quel naufragio ci interpella

Condivido quanto scritto ieri su “Avvenire” dall’amico Maurizio Ambrosini che segnalava il suo sgomento: «com’è possibile che una barca malconcia a stracarica, avvistata già sabato da un aereo di Frontex, arrivi a cento metri dalle nostre coste senza che nessuno sia uscito a intercettarla e soccorrerla? Il mare agitato era tale da impedire di intervenire, con i mezzi navali di cui dispone il governo di un Paese avanzato e proiettato nel mare».
Il problema è complesso e non è facile risolverlo se l’Europa non si coinvolge in un modo diverso da quanto fatto finora ma la soluzione non può essere quella di: «impedire loro di partire, come si continua a ripetere, è semplicemente disumano e spietato, quando l’alternativa sono i campi di detenzione in Libia o una vita di stenti sotto il regime dei talebani o la minaccia del terrorismo in Somalia».
Non è questa la strada. Negli ultimi mesi in cui ero in Parlamento feci un’interpellanza al Ministro degli Interni, allora era Minniti, per chiedere che, a fronte di quanto veniva dato agli interlocutori libici si pretendesse il rispetto dei diritti umani nei campi di raccolta e la presenza di osservatori internazionali. Non mi fu risposto. Lo dico per segnalare che la complessità del problema comporta uno sforzo davvero ampio che riguarda più passaggi, dallo sviluppo necessari ai paesi dell’Africa, alla necessità di trovare soluzione ai conflitti, ai salvataggi, all’accoglienza, fino al fondamentale problema dell’integrazione.
Ha scritto l’arcivescovo di Palermo, Lorefice: «Come cristiani, memori della parola del Vangelo del Messia che si è fatto povero e ha sposato la causa dei poveri, insieme alle donne e agli uomini di buona volontà e alle numerose associazioni umanitarie impegnate nel Mediterraneo e sulle rotte di terra, crediamo che sia necessario rispondere ai tanti interrogativi ancora aperti sul naufragio di Cutro e che venga dissipato ogni equivoco sulla gravissima responsabilità di chi non soccorre i naufraghi lasciandoli morire in mare. Si aprano una volta per tutte i tanto attesi corridoi umanitari, si agisca sul diritto di asilo, si lavori sull’integrazione. Facciamo insieme di questa nostra terra un giardino fecondo di vita, in cui celebrare e sperimentare la convivialità delle differenze».
di Ernesto Preziosi