Protesta, incertezze e ... un papa di nome Francesco

marzo 2013

Cari amici,

con questa lettera vorrei dirvi, infatti, qualcosa sui primi giorni passati al Parlamento. Come sapete ho partecipato alle elezioni ed ora mi trovo alla Camera dei Deputati. In tanti mi hanno mandato messaggi di augurio e di incoraggiamento. Molti mi hanno manifestato l'intenzione di collaborare. A tutti esprimo gratitudine e chiedo di collegarsi più che a me all'associazione abbiamo messo in piedi già da anni proprio per un intervento nella situazione sociale e politica con stile amicale (www.argomenti2000.it). Certo la situazione è piuttosto difficile: non è facile intravvedere una soluzione che dia continuità alla legislatura e consenta di intervenire sui problemi delicati e urgenti che costituiscono interessi veri del Paese: la situazione economica, la possibilità di lavoro, le condizioni di sviluppo necessario e gli altri grandi temi che sono sul tappeto.

 

Ancora una volta ci troviamo invece a fare i conti con problemi di carattere personale, con un quadro difficile da affrontare a causa dell'esito di un voto di protesta - del tutto giustificato e rivolto indifferentemente a tutti i partiti ritenuti responsabili della crisi - ma che per l'esito avuto finisce per bloccare i lavori del Parlamento e con ogni probabilità costringerà a breve a nuove elezioni. D'altra parte è comprensibile che chi ha giocato tutto sulla protesta non sia interessato a soluzioni le quali, assicurando la governabilità, finirebbero per far perdere il consenso o almeno la parte più radicale dello stesso. Il centro destra d'altra parte figura sempre più in difficoltà tra la volontà ormai diffusa di "sbarazzarsi" di un leader ingombrante e la necessità di non rinunciare ad un leader che garantisce ancora il consenso, se pur residuale rispetto i numeri di un tempo. Ovvio che la possibilità di considerare le trattative per una candidatura al Colle, considerando una figura così compromessa, o qualcuno di suo gradimento che un domani possa assicurare se non un'impunità la grazia, è inaccettabile. Si avvia così a conclusione la vicenda contorta che ha tenuto al palo la politica del Paese da oltre un quindicennio e che rischia ancora di causare una crisi i cui danni sono più che evidenti se si pensa all'urgenza di porre mano alla situazione economica e di avviarsi in maniera decisa verso riforme strutturali.

La legislatura è partita con le incertezze, che tutti avete visto, legate al risultato elettorale. In questi giorni l'attività del Parlamento procede con alcuni adempimenti di non poco conto. Il clima generale non è dei migliori e vede innescarsi, a fronte di una richiesta di "nuovo", ostentata. Una richiesta per tanti versi fondata e, che per altri, rischia di scadere nel demagogico, in un inseguimento caricaturale, oltre che inopportuno. È l'atteggiamento che si riscontra in formazioni più strutturate compreso il PD. La novità è categoria stimabile e sempre opportuna, ma chiede equilibrio e misura per non finire nei tagli indiscriminati di teste e nelle degenerazioni che sanno di ingiustizia e di arbitrio. Ci vuole uno sforzo di non poco conto per lasciarsi interpellare dalle fondate esigenze di rinnovamento senza scadere nelle derive che lasciano solo macerie sul campo. C'è modo e modo di dare una spinta, di sollecitare.

Se spingiamo lo sguardo in avanti davvero non è facile fare previsioni e risulta rallentato anche quel lavoro che personalmente mi ero proposto partendo dal coinvolgimento di tanti amici.

 

Che fare? Forse dovremmo ricordarci di una frase dovuta a Proust: "Il vero viaggio di scoperta non consiste nel vedere nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi". Dobbiamo sforzarci di rinnovare il quadro politico, il modo stesso di fare politica a partire dalla realtà con cui facciamo i conti: non tutto può essere nuovo, ma certo nuovi devono essere gli occhi con cui guardiamo.

 

E I CATTOLICI?

Come sempre, dal nostro punto di vista, una preoccupazione viene posta anche alla cosiddetta questione cattolica.

Nella situazione appena richiamata dobbiamo riconoscere un ulteriore passaggio di insignificanza e di difficoltà. Basti vedere l'estrazione delle principali figure istituzionali che, al di là della loro qualità, non rispecchiano la presenza del cattolicesimo nel Paese. Ma il problema è ancora più di fondo.

Da un lato non si è stati capaci di porre in essere ciò che è massimamente necessario, ovvero un luogo di elaborazione culturale e politica insieme che preceda l'opzione e la mediazione partitica e consenta un confronto tra credenti sui principali problemi. Da anni insisto in questa direzione e oggi mi pare ancora più chiaro che debba trattarsi di un luogo in cui spontaneamente i cattolici italiani si possono incontrare su libera iniziativa di alcuni senza un coinvolgimento diretto della realtà ecclesiale in quanto tale.

 

Dal mio punto di vista, accanto al rischio concreto che al vertice delle massime istituzioni, per la prima volta, non vi sia un cattolico, sta in sostanza l'insignificanza di una cultura politica d'ispirazione cristiana quale attrice protagonista sulla scena che concorra alla soluzione dei problemi.

Eppure nel Parlamento, tra gli eletti, i cattolici sono tanti. E contrariamente a quanto si potrebbe pensare se ne trovano molti di più nelle fila del centro sinistra che in quelle del centro destra. Si calcola che tra gli eletti nel PD, ad esempio, vi siano oltre 130 cattolici che potremmo definire in vario modo impegnati e provenienti dall'associazionismo. È punto su cui riflettere. Anche alla luce di quanto è avvenuto al vertice della Chiesa con l'arrivo del nuovo Papa; un evento che non tarderà a produrre i suoi effetti anche rispetto alla dimensione sociale e politica del Paese.

 

Proprio su questo scenario l'associazione promuove un seminario di studio e di riflessione a Todi nei giorni 22 e 23 giugno prossimi. È un appuntamento da non perdere e su cui anzi concentrare fin d'ora l'attenzione.

 

UN PAPA DI NOME FRANCESCO

L'impressione suscitata un po' in tutti, fin dal primo momento, con quel suo apparire dal balcone in maniera così poco convenzionale rispetto alle consuetudini e quel sottolineare in modo semplice alcuni tratti che richiamano la visione teologica che il Concilio Vaticano II di un ministero tutto pastorale, ha guadagnato la simpatia di tanti e, diciamolo, ci ha fatto tirare un sospiro di sollievo.

 

I giornali infatti nei giorni precedenti ci avevano "preparato" ad una elezione che obbediva ad altri criteri, più mondani (ci sarebbe da fare un lungo discorso sull'uso disinvolto dei media da parte anche di settori ecclesiastici, ma ne riparleremo).

 

Lo Spirito ha soffiato potente e la fede di ciascuno ne è uscita confermata, rafforzata. E questo è già un fatto importante. Il Vaticano II aveva proposto una visione nuova del Pontefice, proponendosi come Vescovo di Roma e rivolgendosi ai cardinali come fratelli e ricordando come il Vescovo di Roma presieda le altre chiese nella carità, ci ha rimandato a quella visione di collegialità, di sinodalità che il Concilio aveva proposto.

 

Allo stesso modo il dialogo tra il pastore e il popolo, così come il papa l'ha impostato fin dal primo momento, è ancora il segno di una centralità di un'immagine di Chiesa conciliare che mette in primo piano appunto il popolo di Dio. E la parola "fratellanza", che ritorna nelle sue prime parole, richiama il grande segno di Giovanni XXIII che aprendo il pontificato si rifà alla Scrittura e dice: "Il nuovo Papa, per le vicissitudini della sua vita, può paragonarsi a quel figlio del patriarca Giacobbe che ammettendo alla propria presenza i suoi fratelli colpiti da gravissime sventure, scopre loro la tenerezza del cuor suo, e scoppiando in pianto dice: Sono io... il vostro fratello, Giuseppe (Gen 45,4)". Già Giovanni XXIII aveva sottolineato come il fatto che il Papa non era quello che molti si attendevano: "C'è chi si aspetta nel Pontefice l'uomo di Stato, il diplomatico, lo scienziato, l'organizzatore della vita collettiva, ovvero uno dall'animo aperto a tutte le forme di progresso della vita moderna, senza alcuna eccezione. Venerabili fratelli e diletti figli, tutti costoro sono fuori dal retto cammino, poiché si formano del sommo Pontefice un concetto che non è pienamente conforme al vero ideale".

 

E ancora come non riandare a quella impressione avuta la notte dell'11 ottobre nel famoso discorso della luna, quando Papa Roncalli dirà: "La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello diventato Padre per volontà di Nostro Signore". Ricordi lontani che hanno però sostenuto una visione del rinnovamento della Chiesa in questi anni, il desiderio di andare all'essenziale, di proporre il Vangelo, di ascoltare e parlare alle donne e agli uomini di questo tempo.

 

Quale differenza dalle attese della vigilia, dicevo, da quel rincorrersi di voci, di cordate che si misurano, di voti che ci sarebbero già e di altri che potrebbero arrivare. Quanta distanza da quella parola che papa Francesco dirà: "Bisogna uscire, andare verso chi ha bisogno, annunciare il Vangelo nelle periferie", e da quel richiamo alla misericordia, all'infinita capacità di Dio di perdonare: quanti aspetti che consolano e incoraggiano allo stesso tempo, mettendoci di fronte ad un pontificato che avrà con ogni probabilità un passo nuovo, un modo nuovo di rapportarsi all'interno della Chiesa e nel grande campo dell'evangelizzazione. Che differenza stridente con certi stili, con la supponenza e l'arroganza di tanti. Che speranza si apre rispetto quei giochi di potere che hanno finito per ingombrare i vertici delle istituzioni cattoliche o con figure che poco hanno a che fare con il percorso ecclesiale, ma sono il riferimento di questo o quel cardinale a cui rispondono. Quanta secolarizzazione è entrata così anche nelle nostre istituzioni e le ha indebolite. Le logiche mondane, lo stile politico applicato alla Chiesa non ferma la secolarizzazione, la accelera.

 

Il nuovo pontefice ha ricordato infatti come "il vero potere sia il servizio" e come anche il Papa "per esercitare il potere deve entrare sempre più in quel servizio che il suo vertice luminoso sulla croce".

Parole semplici ma non fraintendibili, che segnano la grande necessità di conversione di atteggiamenti e di stili diffusi a tutti i livelli.

La Chiesa di cui parla il Papa porta il segno della famiglia e di quella fraterna custodia che riguarda tutti i membri e le generazioni e che segna in maniera definitiva i rapporti umani: "vivere con sincerità le amicizie, che sono un reciproco custodirsi nella confidenza, nel rispetto e nel bene".

 

L'elezione è la dimostrazione che davvero la chiesa è guidata dallo Spirito Santo. È una scelta che ha scompaginato i pronostici e tante aspettative umane. Il Papa ha parlato prima come vescovo di Roma che presiede nella carità le altre chiese, richiamando alla collegialità del concilio e non la verticalità della curia che da Roma amministra le province. E poi l'umiltà: ha pregato con i figli come un padre di famiglia, dando l'esempio di come si deve fare. Il nome Francesco, poi, vale un'enciclica.

Ernesto Preziosi