Il dibattito sul fine vita, necessario e attuale, va prendendo sempre di più i colori accesi della politica.
Tuttavia, bisogna considerare che la vita, con la sua complessità, è posta più in alto dell'orizzonte politico.[1]
Nel corso del nostro vivere, sperimentiamo tante sconfitte. E ogni volta è un coraggioso ricominciare oltre ogni immaginazione, oltre ogni speranza.
Dove trova la nostra vita tanta forza per ritrovare ogni giorno il suo cammino?
Credo, nella consapevolezza di poter dare sempre e comunque qualcosa, anche dopo l’ insuccesso, la sconfitta, la malattia.
Quest’ ultima è una condizione naturale della vita e ne segna il “battito” fin dalla nascita.
La malattia, anche per un antico meditare, è parte della vita; è bene quasi urlarlo per le strade, allontanando tristi pensieri, accogliendo tutto ciò che, intorno a noi, ci fa star bene: dalla natura all’amicizia, dalla fede agli ideali, dalla bellezza alla conoscenza.
Con il calore del sole e con la comprensione degli altri, liberati dal buio della notte e dalla tristezza, proviamo allora, tutti insieme, a considerare la fragilità come una condizione generativa, che ci aiuta a comprendere il mondo e a guardarlo per quello che veramente esso è: … nonostante tutto, sempre meraviglioso e pieno di sorprese.
Perché, la vita non la comprendi mai, e magari ti si rivela proprio quando ti ritrovi, da solo o da sola, in un letto d’ospedale.
Difficile affrontare la sofferenza, e lo sconforto che ci prende talvolta è grande.
Ma proprio allora, la battaglia deve essere per la vita, non per la morte.
Eliminiamo questa possibilità dai nostri pensieri e la vita ci sorprenderà ancora.
La morte non ci appartiene, perché è oltre la vita, è oltre le aspettative umane, tese ad una rivelazione eterna del nostro destino. È la morte, pur nell’ immagine imperfetta proposta, un vettore spaziale, che abbandona nell’atmosfera gli stadi di propulsione non più necessari al “carico utile” da trasportare; ma gli “stadi” - attenzione - non devono essere “sganciati” prima del raggiungimento della meta stabilita, altrimenti la “navicella” naufragherà e non potrà portare a termine felicemente il suo viaggio!
Fuor di metafora, quindi, la malattia sta dentro la vita, non appartiene agli “stadi” che si dissolvono nel cosmo; si trova esattamente nel “carico utile”, cioè in quella parte di noi che deve giungere alla meta, ed affronta così, accanto a noi, le sfide dell’esistenza, che ci migliorano, anche se tutto ciò, a volte, sembra incomprensibile.
No, la morte non è la vittoria! È vero, é il grande limite degli uomini, ma non ne segna la fine.
Dunque, non abbandoniamo le persone gravemente ammalate, ma incoraggiamole sempre, perché forse stanno vivendo la tappa più importante della loro Vita e del loro viaggio verso lo “Spazio” infinito!
Occorre, allora, pensare nella malattia non ad una “resa”, ma ad una “resistenza”, nei limiti umani della sopportazione, affiancando le terapie necessarie di contrasto al dolore.
Il diritto, chiamato anche dalla Corte costituzionale a prendere decisioni in merito[2], non può comunque mai oltraggiare la vita, nella sua essenza, perché essa supera immensamente ogni considerazione razionale sulla “convenienza” del vivere.
La vita dovrebbe essere anteposta sempre a qualunque ragione.
Varie sono le argomentazioni filosofiche, soprattutto laiciste, che fanno della libertà di scelta un dogma assoluto: se non posso decidere io della mia vita, chi?
Bisogna essere onesti. Sempre rispettosi delle persone colpite da gravi malattie, le proposte di eutanasia o di assistenza medica al suicidio rimandano ad una visione di “calcolo” dell’esistenza: più cure, uguale, più risorse economiche da spendere; più malattia, uguale, più forze personali e ausiliarie da impegnare.
Ma, visioni utilitarie restringono lo spazio del nostro agire e del nostro pensare; bloccano le nostre migliori e infinite risorse.
L’umana pietà, dinanzi a situazioni di forte dolore, è giusto che accolli su di sé l’amarezza della vita, e faccia tutto quanto possibile per soccorrere ed aiutare, ma non potrà mai rinunciare a lottare e a intravedere nuove possibilità tra tali difficoltà, soprattutto con il concorso della medicina e e della ricerca, da sempre alleate degli ammalati.
Non è un “allungare” la vita, ma tentare di superarla ogni giorno, con l’aiuto e il sorriso di tutti.
Vinciamo INSIEME la tentazione di farci sopraffare dalla sofferenza che è compagna pungente, ma innocente; senza innalzare bandiere di partito.
Diamo un senso al dolore e vinciamolo, affermando il nostro diritto di vivere, non di morire.
Già oggi esistono rimedi giuridici per rispettare la libertà di cura o il rifiuto delle cure, senza necessità di “forzature” esterne.[3]
La giusta “solidarietà” invocata da più parti[4] va oltre la sopravvivenza solo biologica, perché anche quando la vita non è più “capace di fare frutti”, genera e alimenta la speranza; valore, quest’ultimo, grandemente utile ad ogni ammalato, da condividere oltre ogni credo ed ideologia.
Dunque, va invocata, promossa e incoraggiata sempre la solidarietà di cura e di assistenza - vera solidarietà - , nello spirito della legge citata sui trattamenti sanitari, capace di superare tutti i pensieri di morte e di scongiurare ogni intervento lesivo sull’ammalato.
[1]Per una riflessione, anche giuridica, sul tema: https://www.altalex.com/documents/news/2022/01/11/suicidio-medicalmente-assistito-e-eutanasia-alcune-domande
[2] V. Sentenza n. 242/2019.
[3] V. Legge n. 219/2017, Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento.
[4] V. Massimo Recalcati, Repubblica, L’illusione della vita più lunga, 22 febbraio 2025,con riferimenti religiosi e motivazionali per nulla condivisibili.