
I motivi dell’adesione alla manifestazione del 15 marzo a Roma
L’Europa che sa essere operatore di pace
La manifestazione convocata per il pomeriggio del 15 marzo a Roma a sostegno dell’Unione Europea cade in un tempo drammatico e tragico per l’Europa, che impone scelte le cui conseguenze modelleranno in profondità gli anni e i decenni a venire. La torsione impressa al quadro internazionale dalla politica della nuova amministrazione Trump negli Stati Uniti ha messo in discussione i principali pilastri su cui si sono articolate le relazioni internazionali almeno a partire dall’ultimo decennio del secolo scorso. Soprattutto riguardo al conflitto fra Russia e Ucraina, il presidente americano ha imposto una cornice politica nella quale riconosce alle ambizioni espansionistiche dell’attuale governo russo e al conseguente uso della forza militare uno spazio e un valore di legittimità che sancisce di fatto la crisi dei principi del diritto internazionale per come lo abbiamo conosciuto e cercato di praticare.
Di fronte a tutto questo, la scelta dell’Unione Europea è stata quella di varare un piano di riarmo da 800 miliardi di euro. La convinzione che si è diffusa fra i capi di stato e di governo dell’Unione è che a fronte delle crescenti minacce che arrivano dal governo russo e alla chiara ed esplicita volontà di Trump di abbandonare gli europei a sé stessi (considerandoli fra l’altro avversarsi e non più alleati) serva mostrare tutta la forza militare di cui si è capaci, come deterrente contro ogni minaccia di aggressione. La scelta ha sollevato, soprattutto nel nostro paese, dubbi e reazioni di opposizione, dettate non tanto dalla adesione alle posizioni di Putin e Trump, ma piuttosto dal legittimo e comprensibile emergere di un problema di coscienza: dobbiamo davvero accettare il criterio “se vuoi la pace prepara la guerra”? Che ne è dell’ideale di un continente in pace, che rinuncia alla guerra e all’uso della violenza armata per risolvere controversie e conflitti politici? Che ne è dell’ideale che è stato all’origine del lungo processo di costruzione dell’integrazione politica, economica e sociale dell’Europa?
Sono questi gli interrogativi che hanno spinto realtà associative e cittadini a dissociarsi dalla manifestazione di sabato, come segno di protesta contro un’Unione Europea, che viene percepita come orientata verso l’accettazione di uno status quo in cui la guerra torna ad essere uno strumento possibile, un’opzione fra quelle a disposizione dell’agire di governi e stati.
Argomenti2000 ha scelto di aderire alla manifestazione di sabato, nella convinzione che proprio in questo momento storico sia davvero necessario riscoprire e testimoniare l’appartenenza ad una “comune patria europea”, oggi ancora incompiuta ma che non dobbiamo rinunciare a costruire e che in qualche modo esiste e che nel suo crescere ha contribuito in modo decisivo a dare ai nostri paesi ottant’anni di pace. Una pace che non è basata solo sulla deterrenza di apparati militari in grado di dissuadere ogni potenziale aggressore, ma che è stata edificata tessendo e rafforzando relazioni di solidarietà fra i cittadini, dando respiro e spazio di crescita materiale e morale alle comunità, arrivando a permettere a ciascuno di svolgere la propria carriera professionale e la propria vita nel paese dell’Unione, in grado di offrire le possibilità migliori per le proprie attitudine e aspirazioni. Pur con le sue imperfezioni, limiti e ritardi, l’Unione di cui oggi siamo cittadini è una conquista: è uno spazio in cui è possibile un esercizio di diritti e si è chiamati ad un rispetto di doveri reciproci che in questo passaggio storico trova sempre meno corrispettivi nel resto del mondo. Riaffermiamo allora il nostro voler essere compiutamente cittadini europei. Una scelta che non significa aderire al piano ReArm Europe, che mostra un limite politico profondo perché non apre alla prospettiva di edificare una difesa comune, capace di ridurre le spese militare e dare maggiore efficienza nel dissuadere potenziali aggressori. Crediamo che su questa scelta l’Europa non possa procedere con una decisione che è confinata nei limiti del Consiglio Europeo: è essenziale che su questa proposta, così problematica e divisiva, vi sia una discussione democratica, che coinvolga soprattutto il Parlamento europeo. Da lì occorre partire per dare al tema della difesa dell’Unione tutto lo spessore che merita e che non si riduce alla questione degli armamenti. Obbliga piuttosto a pensare ad un esercito unico di tutti i cittadini europei, che abbia alle spalle istituzioni democratiche che ne sono la guida politica e che esercitano con pienezza di poteri un’azione di politica estera che ha a disposizione tutti gli strumenti possibili: dalla cooperazione alla stipula di accordi, dagli investimenti alle forme di partenariato. E serve che alle spalle di un esercito degli europei sia rafforzato e sviluppato quel patrimonio politico e sociale che è rappresentato dai nostri sistemi di tutela sociale, perché è non lasciando indietro nessuno e non abbandonando nessuno che possiamo fare della democrazia europea un elemento di forza di un domani di pace.
12 Marzo 2025 - Argomenti 2000