L’emergenza bollette per famiglie e imprese è arrivata, e chi lo paga il price cap? Qualche tempo fa, su queste stesse pagine, abbiamo sollevato il timore che il tetto ai prezzi 'europeo' diventasse un’arma di distrazione di massa. Così, purtroppo, è stato sino a oggi. Ma cerchiamo di fare ordine illustrando il punto in modo articolato. Il price cap (per intenderci la differenza tra il prezzo astronomico del gas di questi tempi e il prezzo ragionevole pre-invasione russa) possono pagarlo solo in quattro: la Russia, le imprese che vendono energia ai consumatori finali, noi con le bollette o lo Stato attraverso il debito pubblico.
Nel quarto caso, l’ampliamento del debito pubblico, a pagare saremmo comunque noi, anche se in differita e con un effetto redistributivo che aumenta l’onere sui più abbienti. Il problema aggiuntivo in questo frangente è che i limiti di bilancio esistono e i nostri margini non sono quelli di un Paese a minor rapporto debito-Pil come la Germania che si può permettere di mettere sul piatto 200 milioni di euro. Dubitavamo ieri e dubitiamo ancora oggi che sarebbe mai stata la Russia a pagare il price cap. Per due motivi.
Primo: solo la Ue poteva tentare di imporre la cosa, ma fa fatica a mettersi d’accordo e si muove – ahinoi – in ordine sparso. Secondo, e più importante: la Russia è in guerra, non ha nessun interesse di pagare il price cap e preferisce piuttosto sprecare il gas. La strada ancora possibile è che il price cap venga pagato dalle imprese che vendono energia a cittadini e aziende. Il governo Draghi l’ha perseguita coraggiosamente con la tassa sugli extraprofitti. Il problema è che gli extraprofitti veri arrivano
a fine esercizio e quindi alla fine il riferimento della misura sono stati i ricavi o gli acconti Iva. In questo modo, si è prestato il fianco a ricorsi da parte delle imprese che in molti casi non hanno pagato. Esiste una via più drastica che è quella di imporre un prezzo finale del gas ai consumatori più basso (cosa peraltro fatta per le aziende che producono rinnovabili) anche alle imprese che vendono gas.
Di fatto spostarsi dal modello di prezzo fissato sulla Borsa di Amsterdam a un prezzo medio costruito sul Brent (petrolio) e prezzi del gas in Usa o in Giappone (ipotesi ora messa in campo dal governo uscente) sarebbe un price cap, perché imporrebbe alle aziende di vendere ai consumatori finali a prezzi più bassi. Questo riduce ma non elimina i profitti delle imprese venditrici di energia se il loro approvvigionamento di gas è stato realizzato con contratti di lungo periodo a prezzi molto diversi dagli attuali mentre le metterebbe in difficoltà nel caso avessero acquistato il gas sul momento ai prezzi attuali. La prima ipotesi, come ci illustra il rapporto Arera in Parlamento, è sicuramente la più accreditata.
Sullo sfondo resta una domanda. Perché tanta lentezza sulla soluzione strutturale che ci libera dal problema che è il passaggio alle rinnovabili? Terna ci fa sapere che oggi ci sono progetti in attesa di autorizzazione per circa 280 gigawatt, ovvero quattro volte quanto necessario per gli obiettivi di decarbonizzazione da realizzare entro il 2030. Insomma, il Paese non manca di progettualità e neppure chiede troppi soldi pubblici.
Obiettivi come la decarbonizzazione, il contrasto all’inflazione, l’indipendenza energetica e la lotta al caro bollette mai come oggi sono allineati nel richiedere questo tipo d’intervento. Perché allora ancora ritardi sulle autorizzazioni? Perché non parte il piano per il fotovoltaico sugli edifici pubblici (prospettato in passato dal ministro Brunetta) per liberare dal caro bolletta scuole ed ospedali?
Perché andiamo a passo di lumaca mentre il Portogallo ha messo la freccia e con eolico offshore e fotovoltaico flottante è arrivato al 60% di energia elettrica prodotta da rinnovabili e punta al 100% entro il 2030? Perché un anno di ritardo nei decreti attuativi per le comunità energetiche? Distrazione, volontà deliberata, lentezza di esecuzione o errore nella scala di priorità?
Non è poi così importante, in questo momento, approfondire le cause del ritardo. È certo, però, che per il governo Meloni sarà difficile fare peggio e dalle sue prime scelte di continuità o discontinuità capiremo se il tappo è saltato e se il bene di famiglie e imprese sarà diventato veramente la priorità.