Empatie ritrovate

Lunedì, 14 Dicembre, 2020

Ludwig Wittegenstein nel Tractatus Logico-Philosophicus  scriveva: “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo”. Il linguaggio è importante per creare, o, al contrario, per conservare “un mondo”, il nostro mondo. In questo senso se c’è una parola da cancellare oggi dal nostro vocabolario questa è ripartenza, che al tempo della pandemia da Covid_19, si presenta come minaccia e condanna a riprodurre modelli e stili di vita che ci hanno portato sull’orlo del precipizio. Perciò sarebbe tragico se nell’immaginario individuale e collettivo la grave emergenza sanitaria che stiamo vivendo venisse rubricata come un evento occasionale, accidentale, imprevisto, una volta superato il quale potremo tornare alla “normalità” delle nostre attività e delle nostre consuetudini. Questa visione delle cose è purtroppo iscritta nel linguaggio corrente, ed ha tra i suoi indicatori più significativi la comunicazione politica e quella dei mass-media. E’ una visione ristretta, limitata, che, trascurando le cause ultime dell’infezione, da rintracciare nella manomissione fraudolenta dei meccanismi della natura da parte dell’uomo con le sue gravi e irreversibili conseguenze, mette sul banco degli imputati il coronavirus, quale responsabile della pandemia e nemico numero uno da battere. E’ come se, in caso di un’alluvione venissero additate fatalisticamente le responsabilità dei disastri alle avverse condizioni metereologiche, trascurando quanta parte di responsabilità abbia l’uomo nel dissesto idrogeologico e nel processo di degradazione del territorio e del suolo, che aggrava pesantemente l’impatto sociale di tali calamità naturali.

La pandemia da Covid_19 è con tutta evidenza collegata al salto di specie (lo spillover), a seguito di un contatto prolungato tra l'uomo e l'animale portatore dell’agente patogeno, come ha ben descritto David Quammen,  e non è un fenomeno occasionale, tantomeno  quel “Il cigno nero” di cui parla Nassim Nicholas Taleb, perciò è urgente prendere atto del fallimento di modelli e stili di vita adottati dall’uomo, acriticamente, sul nostro pianeta, arrivato ormai al limite della sopravvivenza. L’umanità ha bisogno di una seconda nascita, possibile però solo se gli uomini si dispongono a diventare terrestri, superando cioè quell’atteggiamento di superiorità verso le altre specie viventi che con essi compongono la biodiversità. E’ il modo di ricomporre quella frattura tra uomo e natura che è andata allargandosi negli anni e che ha finito per appannare tragicamente la responsabilità degli uomini verso il sistema vivente inteso come un insieme interdipendente, portando con sé distruzione dell’ambiente, della cultura e del paesaggio, disuguaglianze e ingiustizia sociale, indifferenza.

La tesi della seconda nascita,  ossia della creazione di un umanesimo di secondo grado, è proposta e approfondita da Ugo Morelli, psicologo e studioso di scienze cognitive, in un interessante volume dal titolo “Empatie Ritrovate”, pubblicato da San Paolo Edizioni, che ha il pregio di un linguaggio accessibile pur trattando questioni assai complesse. L’esistente è fallito, ma abbiamo a disposizione una grande occasione, forse la prima, per riprogettare il mondo che abitiamo - afferma in sostanza Morelli - a condizione che muoviamo da presupposti che sono incompatibili con l’idea, molto frequentata purtroppo, di una lineare e automatica ripartenza post-pandemia. L’educazione è il primo passo, ma solo se si supera la patologia che ha colpito l’educazione stessa, impoverendola, e di cui è affetta anche la scuola: l’aver separato la cura della dimensione cognitiva da quella affettiva. Per Morelli, l’edudemia si può superare con quella che definisce la terza educazione  (oltre quella ricevuta in famiglia, e quella scolastica), ossia “un percorso di ricerca e di approfondimento sull’apprendimento umano, tra emozioni, linguaggio e cognizione”. Un percorso – quello della terza educazione - che si nutre di un lavoro psicologico e culturale per attivare i diversi codici affettivi (materno per accogliere, paterno per indicare, fraterno per condividere) di cui siamo portatori e che rappresentano le vie di comunicazione con se stessi, con gli altri e con il mondo: una cura della dimensione emozionale del pensiero, avrebbe detto Franco Fornari,  un’educazione sentimentale, l’avrebbe definita Luigi Pagliarani.

La terza educazione suggerisce anche una nuova chiave metodologica circa l’apprendimento, cioè l’imparare ad imparare, superando le strettoie ideologiche e conformistiche che fanno da resistenza al cambiamento, e cercando di comprendere come impariamo e perché facciamo una scelta piuttosto che un’altra. La terza educazione è la strada che porta a maturazione la ragione poetica e che libera l’immaginazione, sulla quale – afferma Morelli – bisogna investire in eccedenza per generare novità.

Quello della pandemia allora non è possibile considerarlo un tempo sospeso, ma è il tempo delle domande per eccellenza: per comprendere ciò che si è perduto e riflettere su ciò che si può trovare e ritrovare, come la qualità delle relazioni, l’empatia con l’altro. In questo tempo, ricorda Morelli, viviamo il paradosso dell’inversione affettiva: la cura e l’affetto per l’altro passano dal mantenere la distanza. Una rinuncia dolorosa, traumatica, che tuttavia ci ricorda che siamo fisiologicamente intersoggettivi – come la scoperta dei neuroni specchio ha definitivamente evidenziato – e che tale relazionalità ci precede e ci costituisce come soggetti. Il tempo che viviamo ci fa fare esperienza del limite, che chiede la rielaborazione della ferita narcisistica dell’uomo, e perciò sollecita la nostra responsabilità ad abbandonare la centratura su noi stessi, per rigenerare il desiderio dell’altro, senza il quale siamo inconclusi, e la ricongiunzione tra mondo interno e mondo intero, per non infliggere il colpo mortale alla biodiversità e al pianeta . “Diventare signori del limite, adottare il limite come compagno sodale di ogni scelta, individuale e collettiva”,  propone Morelli, sottolineando che non saranno ne il moralismo, né i buoni propositi a cambiare le cose. Dipende da noi, dalla nostra responsabilità che va curata con l’educazione sentimentale e agita attraverso la ragione poetica per produrre una “ecologia dei comportamenti umani, affinchè divengano capaci di accogliere la vulnerabilità, la fragilità, il limite, la cura, come fattori da porre in conflitto generativo e costruttivo con la presunzione di immunità, con l’arroganza, l’aggressività, l’indifferenza”.