Sono già vecchie di qualche giorno le dichiarazioni della ministra Fedeli sull’obbligo, per i genitori, di accompagnare e ritirare i figli a scuola, non solo alle primarie ma anche alle medie. Una questione di sicurezza e di responsabilità che l’orientamento giurisprudenziale, negli ultimi anni, ha reso sempre più stringente. Non si tratta di una questione banale ma, al contrario, di una partita fondamentale nella quale si gioca il senso dell’autonomia e della libertà, il ruolo degli adulti nei confronti delle giovani generazioni e, non da ultimo, i rapporti tra Stato e cittadini. Il casus belli è noto: in un intervento pubblico la ministra ha ricordato che responsabile di un minore di 14 anni è l’ultimo adulto che l’ha preso in carico. Se al bambino o al ragazzo succede qualcosa, l’adulto che l’ha in carico è tenuto a rispondere personalmente. La scuola non può quindi permettere che gli studenti tornino a casa da soli poiché, in caso di incidenti, gli insegnanti sarebbero colpevoli di mancata vigilanza. Per sollevare la scuola da ogni responsabilità i genitori devono quindi andare a riprendersi i propri figli di persona (o delegare qualcuno). In questa catena del controllo il passaggio di testimone tra adulto e adulto deve avvenire “a vista” (non basta, ad esempio, una dichiarazione firmata dai genitori che sollevi gli insegnanti da quanto potrebbe accadere, finite le lezioni, fuori dal perimetro della scuola); e sempre “a vista” deve essere esercitato il controllo, pena l’accusa di abbandono di minore. Stando a questa interpretazione - folle! - delle norme, sembrerebbe configurarsi come abbandono di minore anche lasciare un bambino solo a casa, mandarlo a fare piccole commissioni, forse anche permettergli di giocare in strada con gli amici lontano dallo sguardo di un adulto. Come sia possibile, all’interno di simili camicie di forza, educare all’autonomia e all’uso responsabile della propria libertà resta un mistero. Questo, si obietta, viene fatto per il bene dei più piccoli: per metterli al riparo dei pericoli e dal rischio di incidenti. Tuttavia è il caso di ricordarci gli uni gli altri che il compito degli adulti (in primis dei genitori) è quello di addestrare le nuove generazioni alla vita; esperienza bellissima ma, inevitabilmente, rischiosa. Il nuovo, l’inatteso, l’imprevisto è ciò che rende interessanti le nostre esistenze, ma non porta in dote solo piacevoli sorprese. La vita può essere anche dolorosa, pericolosa, triste e in molti casi non ha senso ricercare un colpevole a cui chiedere un risarcimento. Imparare a vivere significa quindi fare esperienze che aiutino a maturare il senso dell’autonomia e della responsabilità, affrontando (e non evitando) le situazioni rischiose. Ovviamente parliamo di rischi ragionevoli rispetto all’età dei bambini e dei ragazzi, ma andare a scuola da soli se i genitori ritengono la cosa possibile appartiene sicuramente alle cose che possono essere affrontate già da un bambino delle elementari, figuriamoci delle medie. L’intervento della Fedeli, va detto, rappresenta l’ultimo capitolo di un processo che ha radici lontane, figlio della bulimia burocratica di cui siamo vittime e della pretesa di poter individuare sempre un colpevole che ci risarcisca per ogni minimo incidente. Se è folle che un genitore non possa decidere liberamente se e cosa far fare in autonomia ai propri figli, è vero anche che noi genitori dovremmo fare un piccolo esame di coscienza: sempre pronti a “dialogare” con la scuola attraverso la mediazioni degli avvocati e a pretendere un risarcimento per ogni piccolo incidente, non abbiamo certo favorito una sana alleanza scuola-famiglia. Se affidiamo la relazione scuola-famiglia ad assicurazioni e tribunali chi ne pagheràà il prezzo saranno quei figli che ci illudiamo di proteggere. Il vero problema, in fondo, non è la sicurezza dei più piccoli, dato che il mondo di oggi non è affatto più pericoloso di quello che ci ha visti fanciulli e ragazzi (tempo in cui noi abbiamo goduto di quella libertà e di quella autonomia che oggi neghiamo ai nostri figli). Il vero problema è l’inadeguatezza di noi adulti, incapaci di reggere l’ansia e le preoccupazioni che inevitabilmente accompagnano l’apprendistato alla libertà e ammorbati dal falso mito del “rischio zero” e dalla pervasiva smania del “controllo totale”. Una vita priva di rischi non è vita; illudersi di rimuovere ogni pericolo in nome di una mal compresa cultura della sicurezza significa rendere impossibili esperienze formative preziosissime. Dobbiamo educare alla fiducia e alla speranza, non alla paura e alla diffidenza. Se, anziché spendere tante energie nel ricercare sempre e comunque il colpevole, ci sforzassimo di collaborare per educare le nuove generazioni a guardare con fiducia e coraggio alle sfide della vita, sono certo che i nostri figli ce ne saranno grati.