Abituati, come siamo, ai tempi della giustizia italiana e ai rinvii di udienza per errori e difetti nelle notifiche, la notizia dell’avvio del processo ad Aleksej Navalnyi si pone all’estremo opposto della agognata semplificazione burocratica e della sempre richiesta migliore efficienza della giustizia italiana.
Da agosto in Germania, dopo il coma per avvelenamento, Navalnyi è stato arrestato al suo rientro in Russia. Arresto preannunciato, perché già “promesso” nell’assurda idiozia burocratica russa, per l’asserita mancata presentazione davanti al giudice di sorveglianza, durante il periodo di ricovero e convalescenza all’estero.
Mai nominato direttamente da Putin o dal suo portavoce, nella negazione del nome è il tentativo dell’annientamento dell’identità. Ma nel tempo del villaggio globale, in cui i social network si assumono l’onere e si autolegittimano dispensatori di libertà, bloccando l’account del presidente degli Stati Uniti, la voce del più noto oppositore al regime oligarchico russo arriva in tutto il mondo.
Non sappiamo se il rientro a Mosca sia una voluta provocazione, un atto di eroismo o una forma di assicurazione sulla vita, perché di avvelenamenti russi all’estero sono ricche le cronache passate e recenti.
Di certo un processo convocato in una stazione di polizia, con la notifica all’avvocato difensore un minuto prima dell’inizio e i giornalisti non ammessi – se non quelli filo-governativi – rappresenta a tratti, se non fosse reale, la parodia di un film, come già visto per l’aggressione violenta a Capitol Hill di pochi giorni fa.
Ma il potere che agisce disprezzando le regole e anche la propria immagine nazionale ed estera, è davvero potere reale? O il tentativo della propaganda può tornare a colpire i protagonisti come un boomerang?
L’impressione è che la risposta sia nelle parole del ministro degli esteri russo Lavrov, quando accusa i politici occidentali di difendere Navalnyi e criticare la Russia in moda da “poter distrarre in questo modo l’opinione pubblica dalle profonde crisi che il modello liberale di sviluppo sta attraversando”.
Il vero bersaglio russo non è Navalnyi, ma l’occidente. Lo stato di diritto e le libertà individuali sono i nemici degli oligarchi russi e dei tentativi di governo autocratico e nazionalista, che anche le giovani democrazie dell’est europeo stanno vivendo. Dimostrazione ampia ne è stata il dibattito sul Recovery Plan europeo nei mesi scorsi.
Nei giorni in cui gli Stati Uniti si preparano al giuramento di Biden, un presidente all’estremo opposto di chi lo ha preceduto, e la Cina continua a proporsi come dispensatrice di soluzioni, con la distribuzione di vaccini non certificati dalle autorità dell’area euroatlantica, è evidente che le tre forze a carattere imperialista stanno giocando una partita per definire i nuovi equilibri che si delineeranno una volta passata la pandemia.
Questo forse è il tempo per l’ultima chiamata per l’Unione Europea. Tra la Brexit e le pressioni interne ed esterne, si annunciano tempi decisivi per il ruolo che la regione europea potrà giocare nello scenario internazionale. Probabilmente sarà ancora la Germania, con la transizione da Merkel a Laschet, a determinare le linee guida dell’Unione, con una leadership nuova, nei contenuti e nella storia personale.