In poche righe è difficile condensare una riflessione su quanto stiamo vivendo ormai da molti mesi e che certo dovremo affrontare almeno per un altro anno.
La preoccupazione per il contagio, ritornata con forza, rischia infatti di non farci alzare lo sguardo e di lasciarci semplicemente nella paura o, peggio, nella rabbia. Paura e rabbia che purtroppo alcuni alimentano ad arte, prima snobbando i provvedimenti restrittivi e le norme di precauzione, poi facendo immaginare una prossima catastrofe o vedendo solo i dati negativi e le fragilità. L’ansia, più che comprensibile, cresce anche a motivo di un bombardamento di notizie che fatichiamo a governare, smarrendo a volte le poche informazioni essenziali e utili, annegate in un mare di dati, discussioni e polemiche, talora assai poco costruttive. Il senso di responsabilità e di collaborazione, sempre necessari ed oggi indispensabili, rischiano così di lasciare il campo alla chiusura e alla divisione (ossia l’esatto contrario di quello di cui abbiamo bisogno). Ed allora una prima domanda: a chi diamo la nostra fiducia quando ci informiamo? Riusciamo a selezionare e a dosare quanto ci arriva?
Proviamo allora a riassumere alcune delle questioni principali, attraverso qualche parola-chiave.
NORMALITA’/DISEGUAGLIANZE. Viviamo una situazione del tutto nuova, che sarebbe imprudente archiviare, sperando in un rapido ritorno alla “normalità”. Perché molte delle difficoltà legate alla diffusione del virus sono proprio dovute alla “normalità” in cui abbiamo vissuto fino a pochi mesi fa; ossia al sistema economico e sociale che ha privilegiato interessi particolari rispetto al bene comune (il caso della sanità è il più evidente e non l’unico, basti pensare all’ambiente o all’impiego dei mezzi finanziari). Il che, ovviamente, pesa di più per le famiglie e i popoli che vivono una condizione economica e culturale povera. Anzi, proprio davanti a questo passaggio difficile, le diseguaglianze e le ingiustizie tendono a crescere. Si dice “siamo tutti sulla stessa barca!”. Vero, però non tutti siamo nella stessa posizione della barca! C’è chi è gasrantito e chi lo è meno, e chi non lo è affatto. Eppure siamo tutti legati. Domanda: l’aumento delle diseguaglianze entra nella nostra riflessione spirituale (personale e di comunità cristiana) e nella nostra coscienza civile e politica?
ITALIA/EUROPA. Abbiamo vissuto difficoltà, disagi, molti anche sofferenze e perdita di persone care. Altre difficoltà ci attendono, che si sovrappongono a ritardi di oggi e debolezze/sbagli del passato. Se però guardiamo a come si è reagito a questa pandemia nei vari paesi del mondo, possiamo cogliere anche tanti aspetti positivi della risposta italiana, sia da parte delle istituzioni che da parte dei cittadini. Stiamo anche registrando un impegno molto importante dell’Unione Europea a favore del nostro paese e della cooperazione internazionale. Insomma possiamo apprezzare il valore delle istituzioni politiche, del sistema sanitario pubblico, degli ammortizzatori sociali (come la cassa integrazione, …),. Domanda: ci rendiamo conto del valore dello stato e di quello che abbiamo in termini di istituzioni, diritti/doveri, sostegni pubblici?
PERSONA/COMUNITA’. Siamo messi alla prova personalmente, nella salute, nel senso di sicurezza, perfino nelle nostre abitudini più semplici e nella manifestazione dei nostri affetti. Anche per i problemi del distanziamento e dell’isolamento, tocchiamo con mano quanto sia determinante la responsabilità personale nella vita di tutti i giorni, nel lavoro come nei rapporti comunitari; proprio di fronte ai rischi per la salute cogliamo il valore della comunità: “nessuno si salva da solo”. E proprio la cura reciproca (“io proteggo te e tu proteggi me”) ci fa sperimentare anche la bellezza di essere comunità e quanto sia preziosa la solidarietà sociale. Domanda: quale esperienza di comunità ho fatto in questo periodo? Mi sono reso conto di quanto l’idea di bastare a noi stessi sia una illusione pericolosa?
PAURA/FRATERNITA’. Alzi la mano che non si è spaventato o non è preoccupato! Dobbiamo fare i conti con le nostre paure e rabbie, dare ad esse lo spazio necessario, lavorarci sopra con pazienza, evitando che prendano il controllo della nostra mente e del nostro cuore. Senza timore di farci aiutare: non siamo Dio, abbiamo limiti. L’esperienza della vicinanza “a distanza”, dell’amicizia, del dialogo, dell’aiuto sono espressioni concrete della fraternità, che si nutre della fiducia nel Signore. Proprio la consapevolezza delle nostre fragilità può aiutarci a riscoprire una vita spirituale più profonda ed una apertura più serena verso i nostri fratelli. Domanda: in questi mesi di pandemia la fede e l’appartenenza alla comunità ci hanno aiutato ad una miglior coscienza di noi stessi e ad una più fraterna relazione con gli altri e con la natura?
RISCOPRIRE IL DONO, NEL RAPPORTO TRA GENERAZIONI
In conclusione. Dentro il dramma che stiamo vivendo ci sono margini e possibilità per trarre una lezione per l’oggi e per il futuro prossimo, da raccontare ai nostri figli e nipoti, o ai nostri genitori e nonni. Infatti la prima solidarietà che possiamo riscoprire è quella tra le generazioni, la cura reciproca, il sostegno e la condivisione, per dirci che le uniche parole non sono quelle della depressione, del lamento o della fuga. Afferma il vescovo Castellucci “Se c’è una cosa che tutti stiamo cercando di imparare dall’esperienza della pandemia è la riscoperta dell’essenziale; e l’essenziale ha a che fare con le relazioni. Ne abbiamo patito l’assenza e le restrizioni, ci sono mancati gli incontri «in presenza»; i collegamenti «da remoto», per quanto utili, non sopperiscono all’assenza del corpo. Abbiamo compreso una volta di più che tutto è dono e non è diritto acquisito: la salute, la passeggiata, il caffè al bar, la visita ai propri cari, lo sport, la scuola e persino la Messa. Sarebbe un peccato se ora dimenticassimo che tutto è dono e ricominciassimo semplicemente come se dovessimo chiudere una parentesi. Le crisi servono anche per crescere e cambiare”.