Nodi tematici per una nuova Europa

 

1.      L’Europa: alle radici di un progetto di società e di uno spazio di civiltà avanzata.

Come riprendere e sviluppare nell’attuale contesto globalizzato le idee e soprattutto la progettazione politica che ha dato origine alla CE nel lacerato dopoguerra? È un progetto ancora possibile o il realismo della politica deve lasciare spazio a più concrete prospettive? L’analisi storica e la riflessione culturale, filosofica e teologica, giocano un ruolo decisivo nel rimotivare il valore ideale del progetto iniziale di un’istituzione europea comunitaria.

Una questione, all’apparenza scontata, si impone e si nasconde dietro ogni discorso sull’Europa: cosa è Europa? L’Europa infatti a ben vedere non è una categoria geografica. Non esiste propriamente un continente europeo. Non è nemmeno immediatamente categoria geopolitica, se è vero che non è cosa semplice definirne i confini. Dove finisce l’Europa a est? sugli Urali? sul Danubio? E ad ovest, l’Europa legata economicamente e politicamente agli USA non si va perdendo nella più vasta figura dell’Occidente? Cosa è dunque veramente Europa?

Processi come la complessa vicenda dell’adesione della Turchia alla CEE mostrano con sufficiente evidenza come il luogo fondante dell’identità europea non stia semplicemente nella dimensione geografica e nemmeno soltanto in quella storica, politica od economica. La realtà dell’Europa affonda in verità le sue radici nel valore simbolico di un’idea dalle forme culturali ben definite, coraggiosa e profetica visione culturale capace di coniugare in modo creativo l’impulso della democrazia delle regole con l’affermazione della dignità sostanziale della persona umana, la razionalità laica dell’illuminismo e l’apertura alla trascendenza della coscienza religiosa cristiana. L’Europa insomma come continente dello spirito. È così che è nata l’originale sintesi politica europea, che ha assicurato pace e benessere a popoli che si erano odiati e aggrediti per secoli.

Se questa ora è la condizione europea, se l’Europa è nata ed è stata formata a partire da un’intuizione simbolica e ideale che ha preso forma politica, non è affatto fuori luogo chiedersi se non sia esattamente il venir meno della spinta ideale originaria a costituire se non proprio il fattore primario, almeno il moltiplicatore della crisi in cui oggi versa la Comunità europea. Non meraviglia perciò l’affanno delle strategie politiche messe in campo, incapaci di fronteggiare i differenti nodi di politica estera, economica, interna, che travagliano attualmente il panorama politico. Come ha detto papa Francesco, parlando proprio ai parlamentari europei il 25 novembre 2014, «a un’Unione più estesa, più influente, sembra però affiancarsi l’immagine di un’Europa un po’ invecchiata e compressa, che tende a sentirsi meno protagonista in un contesto che la guarda spesso con distacco, diffidenza e talvolta con sospetto.» Tornare perciò a sostenere nuovamente i motivi ispiratori il progetto europeo dei padri fondatori dell’Unione europea non è perciò mero esercizio intellettuale che distrae dai veri problemi, come molti tecnocrati dall’anima persa ritengono, ma una grande ed essenziale opportunità di rialzare lo sguardo e recuperare l’afflato ispiratore originario.

Dopo la Brexit non è più possibile nascondere la debolezza, non solo politica, di un modello puramente funzionalistico di Europa, come quello sostenuto da diverse prospettive, un modello a “geometria variabile” a seconda del livello di interazione (l’Unione Europea a 28 - o dopo la Brexit a 27, l’Europa a 22 di Schengen, l’Europa a 18 dell’euro), dove la ricaduta funzionale sugli interessi nazionali delle decisioni comunitarie costituisce il vero criterio di appartenenza (e della speculare volontà di dissociazione) europea. Non sarà certo la sommatoria di egoismi nazionali(stici) a dare all’Europa la possibilità di tornare a giocare un ruolo importante su una scena politica che la globalizzazione ha dilatato fino a comprendere il mondo intero. Recuperare l’anima d’Europa perciò non è solo una nobile esigenza etica o una essenziale virtù politica; in verità è una necessità storica, quella che ha consentito all’Europa di proporsi come laboratorio politico di libertà e democrazia capace di valere nel corso dei secoli, pur tra incertezze tradimenti e violente negazioni del percorso, come riferimento per tutte le popolazioni del mondo. L’Unione Europea perciò è solo l’ultima forma di un’Europa dello spirito che ha avuto la forza e la determinazione nel corso di secoli di costruire spazi di esistenza comunitaria dove le capacità individuali potessero espandersi liberamente in modo pacifico e costruttivamente solidale. Questo ruolo storico – o forse meglio - questa missione storica di realizzare e difendere la dignità dell’uomo è irrinunciabile e inseparabile dall’identità europea; ma è al tempo stesso il contributo più elevato che l’Europa può ancora oggi offrire a un mondo lacerato e privo di prospettive. L’umanesimo è così il tratto caratteristico della tradizione culturale europea. Esso dice il valore infinito di un uomo che è in relazione originaria con l’altro, anzitutto l’altro umano, ma poi naturale ed anche divino. Un uomo che è originariamente compartecipe e solidale con l’altro uomo, anzi con l’altro nella sua più immediata differenza, la donna. Un io che è io solo insieme a un tu: relazione originaria che lo qualifica soggetto libero e responsabile. Questo è il fondamento indiscusso che ha consentito alla società europea di sviluppare, pur tra mille contraddizioni e difficoltà, istituti sociali ed anche politici di cui andare giustamente orgogliosi e da proporre all’interazione fra le culture.

2.      L’Europa politica: un’Europa dei popoli o un’Europa degli Stati? 

La prima decisione che attende è quella tra un’Europa dei popoli, comunità di persone che vogliono incontrarsi per condividere le differenti ricchezze e povertà in un’ottica di pacificazione, e un’Europa degli Stati, naturalmente preoccupati di curare la ricaduta in termini di interessi nazionali del plusvalore europeo. Ma i popoli si incontrano, gli Stati si fanno guerra. Quale dunque la forma di democrazia da realizzare in Europa? Quale governance? Entro questo nodo si intersecano vari fili: quello del rapporto centro-periferia; quello del rapporto alto-basso, governo-cittadini, con la conseguente questione della responsabilità politica degli organismi decisionali comunitari (a chi rispondono le istituzioni europee? Come la voce dei cittadini diventa impegnativa per le istituzioni comunitarie?). Dove trovare il punto di equilibrio tra queste differenti e divergenti prospettive, tutte necessarie e nessuna sufficiente?

Se ora dal piano dei valori che danno ragione e forza culturale ad una costruzione politica come quella europea ci spostiamo su quello più diretto della concreta prassi politica, la schizofrenia – ma anche la miopia -  dell’Europa appare sorprendente ed insieme preoccupante. “Quando tutto nella nuova configurazione che va assumendo il mondo, inviterebbe a costituire una forte polarità europea, essa appare priva oltre che di un corpo riconoscibile anche dell’anima. In questo senso si può ben dire che, prima che al suo interno, l’Europa sia separata da se stessa,  - da quanto dovrebbe significare. Gli interessi per non dire i valori, di cui i suoi membri sono portatori non sembrano trovare alcun luogo di composizione, ma neanche un fronte chiaro su cui dividersi”. Sono parole tratte dall’introduzione dell’ultimo libro del filosofo Roberto Esposito Da fuori: una filosofia per l’Europa, un tentativo non isolato ma certamente qualificato di andare in profondità circa le ansie, le incertezze, le motivazioni vere dello stallo in cui sembra essere piombata l’Europa.

Se l’Europa è davvero “separata da se stessa”, allora riconoscersi nell’Europa di oggi significa riconoscere una dissociazione. Stati e popoli che non sono più e non potranno più essere quello che sono stati in passato ma che non sono ancora quello che potrebbero essere in futuro. Una condizione incerta dunque, precaria, tanto più ambigua quanto più indeterminata, indefinita, infinita. La condizione degli europei infatti non è quella del “già e non ancora” caratteristica di una solida antropologia cristiana, ma quella del “non più e non ancora”.  Non c’è più la sovranità degli stati ma non c’è ancora la sovranità dell’Unione Europea. C’è un limbo nebbioso, dove valori e interessi vengono coperti, nascosti da una cortina tecnocratica che recita costantemente il mantra della concorrenza, applicandolo poi con discrezionalità a seconda della forza economica dello stato da sanzionare. Avviene così che proprio l’“Europa degli stati” quella esemplificata nel consiglio europeo e nella commissione si pronunci sempre in modo netto e incontrovertibile contro gli “aiuti di stato”. Chiaro esempio di dissociazione linguistica e politica.

Ma anche l’”Europa dei popoli” appare un concetto da utilizzare con cura. Non è vero in assoluto che sono gli stati a farsi le guerre mentre i popoli sono pacifici. Basti pensare alle vicende della Prima Guerra Mondiale, per non pensare alle piazze piene di popolo che hanno preceduto e accompagnato la Seconda. Ora come ora l’Europa dei popoli rischia di diventare l’Europa dei populismi, del risentimento, del rancore, della ricerca del capro espiatorio, ma senza costrutto e progetto. Esemplare il caso spagnolo. L’Europa che con la democrazia ateniense e la repubblica romana è nata nel segno del politico, ovvero della superiore conciliazione del conflitto, appare oggi un’espressione geografica “depoliticizzata” dove l’unica dialettica apparente è quella tra populismi e tecnocrazia ma che non ha una vera arena di confronto e composizione. Ha ragione Esposito: non c’è “composizione” anche perché non c’è un’anima in cui riconoscersi; abbiamo da una parte gli stati che hanno abdicato alle proprie funzioni in favore della tecnocrazia e dall’altra i popoli che, comprensibilmente, sono tentati di rinunciare alla democrazia per abbandonarsi al populismo. In questo quadro manca un elemento, pure presente ed evocato nel titolo. Manca la politica.

Manca la politica nel senso più alto dell’agire per la conciliazione di interessi divergenti, che solo  attraverso questa mediazione vengono ricondotti entro un orizzonte comune condiviso. Manca la politica come capacità di proposta e di rappresentanza di istanze progettuali che vengono legittimate dai cittadini europei nelle forme della democrazia. Nell’assenza della politica, lo spazio del potere non resta vuoto ma viene occupato da soggetti istituzionali, o a volte paraistituzionali, che però soffrono di adeguata legittimazione; o meglio, che ottengono una diversa legittimazione - quella dei cittadini dei singoli Stati nazionali, quella dei governi dei singoli Stati nazionali – che però non è adeguata allo sforzo e alle sfide che l’Europa è chiamata ad affrontare. Non è perciò un caso se le istituzioni europee sono tutte, dal Consiglio alla Commissione al Parlamento, massimamente inclusive e pertanto a-conflittuali; o meglio se i conflitti, che pure esistono, non devono essere rappresentati troppo. Sicché ogni decisione o deliberazione che esce da quelle istituzioni ha difficilmente il carattere di una decisione frutto di confronto tra una maggioranza e una opposizione, risultando piuttosto il risultato di un gioco sotterraneo dove la decisione si impone in virtù di una forza che i singoli stakeholder possiedono in proprio.

Solo una Europa politica allora, una Europa dei cittadini ma che siano tali per la titolarità di effettivi diritti politici, non quelli apparenti di ora, solo una Europa di cittadini che si dividono tra loro su diverse idee dell’Unione, solo un’Europa in cui ci sia la possibilità democratica di far trionfare le opinioni e visioni politiche, solo questa Europa può pensare di rappresentare quella “polarità europea”  di cui noi tutti, insieme a Roberto Esposito, sentiamo una enorme mancanza.

3.      La sfida del nostro tempo: unire l’Europa nell’era delle crisi multiple

Fare un’Europa unita richiede perciò di sciogliere il nodo centrale della cessione di sovranità degli Stati nazionali verso la CE. Una politica economica comunitaria, dotata di un bilancio federale e in grado di strutturare una politica fiscale comune, una politica estera comune che rappresenti l’Europa intera di fronte agli altri Stati, una politica difensiva comune non sembrano più rinviabili, se si vuole dar reale consistenza al progetto europeo. Ma anche, seppure gestite a livello dei singoli Stati membri (o di aree macroregionali?), una politica sociale di integrazione e di promozione del lavoro.

Nel corso di questanno l'Unione europea e, in essa, alcuni Stati membri hanno affrontato o stanno per affrontare appuntamenti impegnativi e forse persino decisivi: 1) il referendum che ha deciso l’uscita del Regno unito dalla UE; 2) le nuove elezioni spagnole dello scorso 26 giugno dall’esito problematico, che fanno seguito all'indisponibilità dei principali partiti a dar vita ad un governo di coalizione; 3) l'esame da parte del Consiglio europeo delle proposte della Commissione in materia di immigrazione, diritto di asilo, libera circolazione prevista dagli accordi di Schengen; 4) la conclusione degli accordi per il terzo salvataggio della Grecia; 5) il referendum italiano sulla riforma della Costituzione. Alla radice politica di questo groviglio di problemi nazionali ed europei, con forti ricadute internazionali soprattutto sulle aree più vicine, è l'inadeguatezza delle istituzioni europee ad affrontare le sfide sempre più gravi poste da un mondo in rapida evoluzione. Proprio l’assenza di un governo federale europeo e il permanere della divisione politica hanno impedito di affrontare in modo efficace prima la crisi economico-finanziaria ed ora l'emergenza dei profughi. In questo modo le divisioni tra gli Stati si sono ulteriormente aggravate, arrivando a mettere in discussione lo stesso progetto di unificazione europea.

All’Unione serve dunque una nuova architettura istituzionale per superare il deficit di democrazia, efficienza e responsabilità. Innanzitutto è ormai riconosciuto da tutti, al punto da essere espressamente riconosciuto nell’accordo con il Regno Unito, che il progetto dell’unione politica non è condiviso da tutti gli Stati membri, e che quindi è indispensabile formalizzare la convivenza, all’interno dell’UE, di diversi livelli di integrazione. In secondo luogo è necessario che gli Stati che condividono l’euro, o almeno un primo nucleo tra essi, accettino di condividere parte della sovranità politica a livello europeo, creando un’unione politica di natura federale, aperta a tutti i paesi che vorranno parteciparvi. Questo implica che la Commissione diventi un vero governo europeo responsabile di fronte al Parlamento europeo ed al Consiglio dei ministri, trasformato a sua volta in una Camera degli Stati. La nomina di un ministro del tesoro della zona euro, purché responsabile verso il Parlamento ed il Consiglio e dotato di un bilancio autonomo finanziato con risorse proprie, potrebbe rappresentare un primo importante passo in questa direzione.

Queste riforme possono essere attuate o attraverso la revisione degli attuali Trattati, o attraverso un nuovo trattato, oppure tramite un protocollo tra gli Stati membri disponibili a realizzare un'unione di tipo federale. In ogni caso non vi è bisogno di nuove istituzioni, ma solo di adeguamento dei ruoli e delle funzioni di quelle esistenti, con modalità flessibili di partecipazione al processo decisionale. Tenendo conto sia dell'urgenza di alcuni problemi, sia dei tempi non brevi richiesti dalle riforme istituzionali, è opportuno al tempo stesso cercare di sfruttare nell’immediato tutte le opportunità offerte dal Trattato di Lisbona per rafforzare l'UE e per attuare politiche mirate a recuperare il consenso e la fiducia dei cittadini, condizione indispensabile sia per garantire il sostegno alle stesse riforme costituzionali, sia per fermare l’avanzata delle forze nazionaliste, populiste ed euroscettiche.

In campo economico-finanziario, oltre a completare l'unione bancaria e creare un mercato unico dei capitali, bisogna promuovere lo sviluppo e l'occupazione. Il Piano Juncker è sicuramente un passo in questa direzione, ma è del tutto insufficiente per colmare quella grave carenza di investimenti che caratterizza l'economia europea. Solo un bilancio della zona euro può fornire le risorse per affrontare gli squilibri macroeconomici e gli shock asimmetrici, favorendo in tal modo anche l'attuazione delle riforme strutturali da parte degli Stati.

L'Unione europea deve dotarsi anche degli strumenti per progredire nel settore della giustizia, della libertà e della sicurezza, rispondendo ad esigenze sempre più sentite dai cittadini. In primo luogo, va nettamente contrastata ogni ipotesi di limitare l'acquis communautaire, ovvero quell'insieme di diritti, di obblighi giuridici e obiettivi politici che accomunano e vincolano gli stati membri dell'Unione europea e che devono essere accolti senza riserve dai paesi che vogliano entrare a farne parte, e di reintrodurre le frontiere interne. Vanno quindi accolte le proposte della Commissione per ripristinare e rafforzare il sistema di Schengen nonché per istituire “una guardia europea di frontiera che abbia il potere di agire negli Stati membri anche senza bisogno del loro consenso” e per sviluppare un'efficace forza di intelligence europea. L'UE ha bisogno anche di creare un unico sistema d'asilo europeo e una gestione comune dei flussi migratori governata e controllata direttamente a livello europeo.

Infine, l'Unione europea non diventerà l'attore globale che aspira ad essere se non si doterà anche di una politica estera e della sicurezza in grado di contribuire alla stabilizzazione delle aree del Mediterraneo e del Medio Oriente. Ciò implica la rinuncia alle velleitarie e fallimentari iniziative dei singoli Stati ed invece l'adozione di una road map per giungere alla creazione di un esercito europeo. L’Italia può e deve contribuire a perseguire questi obiettivi nel solco della tradizione federalista del Manifesto di Ventotene, per sconfiggere nei fatti chi si illude e vorrebbe illudere l’opinione pubblica di poter affrontare l’era della globalizzazione e della crescente integrazione dell’umanità con i vecchi strumenti del nazionalismo e degli staterelli europei divisi. Costruire una sovranità europea federale capace di affrontare le sfide del nostro tempo è il solo modo per contribuire ad instaurare un governo più giusto e sicuro dei problemi del mondo.

4.      Dei diritti umani

La democrazia, nel senso in cui è venuta affermandosi in Europa, in verità non si riduce al solo aspetto procedurale (la democrazia delle regole); essa contiene in maniera altrettanto essenziale il rimando alla dimensione etica e politica di tipo umanistico. La persona umana, nella sua insopprimibile della dignità, costituisce il centro datore di senso dell’agire politico. In questo contesto, una questione in particolare va ponendosi sempre di più al centro della scena, provocata dalle migrazioni di persone e popoli che cercano rifugio dalla guerra e dalla fame: è pensabile e sostenibile un’Europa che, abdicando al suo ruolo storico di patria del diritto e dei diritti umani, segua al contrario una linea politica ispirata al più gretto egoismo nazionalistico? un'Europa che accetti con cinismo indifferente di vedere morire persone inermi alle sue frontiere? un’Europa che faccia passare le merci ma non le persone?

Ora non c’è dubbio che il mondo sia diventato, in questo inizio di millennio, più ingiusto e instabile. La ormai famosa dichiarazione di Papa Francesco: "Siamo entrati nella terza guerra mondiale … solo che si combatte a pezzetti, a capitoli" si mostra ogni giorno di più di drammatica attualità. In questo nuovo e inaspettato contesto l’Europa può e deve giocare la sua partita. È la sua storia a richiederlo, è la fedeltà alla sua natura e destinazione storica. Perché non si dà prospettiva di futuro a prescindere dalla storia. Se infatti l’Europa è stata lo spazio politico umano dove si è progettata e poi infine realizzata, per quanto in modo non pieno, una modalità di coesistenza regolata non dalla forza ma dal diritto; se la stessa idea della persona umana come portatrice di diritti inalienabili, tali che – ricordiamolo, non è superfluo – la sua esistenza non può essere considerata autentica ove quei diritti vengano negati, ebbene allora l’Europa dei nostri giorni non può disattendere al compito di continuare a proclamare i diritti dell’uomo, di ogni uomo di tutti gli uomini, e difenderli ovunque essi siano violati. Qui, e non nelle mere convenienze economiche, sta la vera e profonda ragion d’essere dell’Europa.

Lo sguardo triste sulle ricorrenti violazioni di quei diritti, il diffondersi generalizzato di un atteggiamento di paura e di difesa, fa chiaro che quella piattaforma sta vacillando, erosa da pressioni esterne e pavidità interne. Eppure, se l’Europa vuole ancora avere un futuro, è a questa piattaforma che ci dobbiamo saldamente ancorare. Ricordando che l’affermazione dell’universalità dei diritti e dell’intangibile dignità della persona umana ha costituito il fattore che ha fatto guardare da ogni parte del mondo all’Europa come a un faro capace di illuminare la via dell’emancipazione e dello sviluppo dei popoli; che è stata la forza di quell’idea a far vivere settant’anni di pace ad un’Europa fino allora dilaniata da conflitti militari una generazione sì e una no, superando radicate diffidenze e ostilità reciproche; che in un mondo multipolare disinnescare le micce della violenza sempre in agguato e operare fattivamente per la coesistenza pacifica e la mutua collaborazione tra i popoli e gli Stati non è un’illusione da idealisti ma l’unica possibilità di allontanare la catastrofe che gli egoismi nazionalistici inesorabilmente generano, dunque l’unica possibilità di una politica capace di generare futuro. 

Dobbiamo allora chiedere con forza che le istituzioni europee mantengano fedeltà alla visione originaria e originale che ha dato loro vita. Che la politica europea sappia con lungimiranza guardare avanti, oltre gli steccati che i miopi e i pavidi non cessano di innalzare. È l’Europa dei diritti quella che vogliamo, e non un’Europa qualunque, senz’anima, che non reggerebbe alle spallare della storia.

 

Data: 
Sabato, 1 Ottobre, 2016