Sedici e diciassette anni, come la maggior parte dei miei alunni.
Un amore che diventa ossessione. La gelosia. La fatica di troncare. E da un momento all'altro Noemi non c'è più. Rimane sepolta per giorni sotto dei massi, fin quando Lucio, il suo aguzzino, confessa e, uscendo dalla caserma, saluta la folla con aria di sfida, tra smorfie e atteggiamento di insufficienza. O almeno è quello che appare.
All'indomani dell'ennesima, triste, orrenda vicenda che ormai da qualche giorno rimbalza sulle cronache nazionali e riguardante la piccola Noemi uccisa dal suo fidanzato Lucio, trovare le parole per commentare l'accaduto non è per nulla facile. Per un educatore ancora di più. Non ci sono solo sentimenti di rabbia, ma di incredulità, tristezza e soprattutto senso di impotenza. Quest'ultima è davvero insopportabile per chi si occupa di educazione, sia un genitore, un insegnante, o qualsiasi adulto. Sì, perché ancora una volta non vince la violenza o la forza, ma la fragilità. Una fragilità mal-educata. Una dimensione affettiva che vuole tutto e lo vuole subito e lo vuole necessariamente.
È vero, non dobbiamo esprimerci per forza. Rischieremmo di fare i soliti discorsi dai toni un po' retorici che spesso vengono fuori quando si ripetono eventi del genere, soprattutto quelli che hanno come protagonisti dei giovani. Oppure rischiamo di azzardare conclusioni pseudo psicologiche e pedagogiche, non avendone le competenze.
Ma qualcosa va detta. Bisogna rischiare, perché al di là della nostra paura di esporci, forse parliamo ancora troppo poco. O meglio, parliamo troppo e agiamo poco sul campo.
La vicenda purtroppo porta con sé dei risvolti educativi molto importanti a più livelli, a cominciare dal fatto in sé fino ad arrivare ai contorni al limite della pornografia della sofferenza a cui assistiamo sulle nostre piazze socialmediatiche.
Anzitutto la vicenda, quindi. Stavolta non abbiamo un adulto calato nella parte del mostro. C’è un adolescente. Uno di quelli “a rischio”, uno violento, dicono i giornali. Un ragazzo come tanti. Sì, come tanti sono i ragazzi (basta entrare in una scuola per rendersene conto) pieni di problemi, causati per il 90% dagli adulti che li circondano. C'è una ragazza, la sua compagna, adolescente anche lei. Non sappiamo moltissimo, o almeno, non sappiamo di lei quanto i media ci fanno sapere di lui. Ma resta il fatto che sono una coppia di ragazzi che in qualche modo viveva un rapporto stretto, fatto di intimità. Insomma, una storia d'amore adolescenziale. Ma quale amore? Noemi qualche giorno prima scriveva sul suo profilo facebook "non è amore se fa male". L'aveva capito Noemi che quello non era amore. Ma dal capire una cosa al far seguire ad essa una scelta a volte c’è una galassia. Entrano in gioco meccanismi che non possiamo immaginare ma di cui troppo spesso sentiamo parlare quando arriva l'epilogo di una storia d'amore malato.
Essendo impossibile offrire ricette o soluzioni affinché episodi del genere siano scongiurati, proviamo a ragionare ad alta voce.
Personalmente ritengo che qui non ci sia da focalizzarsi sui problemi in sé che i nostri adolescenti vivono, né sulla violenza manifestata, né sulla sfacciataggine con cui Lucio esce dalla caserma dei carabinieri. Queste sono conseguenze di un qualcosa che va oltre, e che caratterizza ogni persona in ogni tempo e in ogni luogo: la fragilità, o meglio una fragilità mal vissuta, mal sopportata, mal educata. Si sente spesso parlare di fragilità ultimamente, ma anche qui, fin quando continueremo a parlarne e non agire nei luoghi opportuni, la fragilità sarà solo uno di quei temi di cui parlare fin quando fa tendenza, poi si passa ad altro. Il punto è che questa dimensione l'uomo la porta con sé da sempre, ma attorno a lui la storia, la società, i modelli cambiano di continuo.
E allora, è opportuno chiederci, cosa oggi porta la fragilità spesso a non sopportare un rifiuto? un fallimento? una delusione? un non poter permettersi l'oggetto del desiderio in modo immediato? Forse, abbiamo lasciato vuoti gli spazi della fragilità. Agevolati e viziati in larga misura dal digitale che ci permette di vedere realizzato davanti a noi quanto vogliamo in meno di dieci secondi, abbiamo riempito questi spazi della pretesa di onnipotenza. Abbiamo lasciato cadere nel vuoto le lacrime dei ragazzi, le loro attese, i loro sogni, la loro voglia di essere ascoltati. Perché forse da adulti abbiamo anche noi qualche problema con la fragilità. Ma cosa possiamo fare? Anzitutto, forse, tornare a porci seriamente una questione educativa, questione che non sarà reale fin quando non sarà totale, fin quando non ci metteremo in testa che riguarda profondamente ciascuna persona che vive in questa società. Forse, occorre ridare valore a quegli spazi di fragilità che ci caratterizzano, cercando di non lasciarli vuoti, ma riempirli. Forse abbiamo bisogno di abitare la nostra fragilità. Fare casa con essa. Accettarla. Abbracciarla. E dopo averlo fatto noi adulti, trasmetterlo agli adolescenti. Tornare a dire loro dei seri "NO" e spiegare loro che ogni “No” costruttivo è un'opportunità che sviluppa la capacità di attendere, la virtù della pazienza.
Un'altra questione che vorrei accennare riguarda ciò che sta accadendo in queste ore sui socialmedia. Anche in questa triste vicenda tutto è in favor di camera. Persino la notizia della confessione di Lucio data ai genitori di lui ancora ignari, a telecamere accese, durante un'intervista. Qualche giorno fa è accaduta la stessa cosa a proposito degli stupri di Rimini: varie testate giornalistiche descrivevano ogni dettaglio della violenza. È questa la comunicazione vera? È questo che vogliamo comunicare? "Il medium è il messaggio" scriveva McLuhan. Forse è necessaria una riflessione a tal proposito affinché possa arginarsi il fenomeno emergente della pornografia delle lacrime e del dolore, come da qualcuno è stata definita sui social ultimamente.
Oggi cosa rimane di questa vicenda? Mi viene da dire che sicuramente rimangono ferite aperte. Ma soprattutto rimangono aperti anche spazi di impegno reale!
Si interroghi ogni docente della Scuola italiana. Si interroghi ogni genitore. Si interroghi ogni realtà educativa. E iniziamo insieme, una buona volta, a parlare meno e ad ascoltare di più.
Riposa in pace piccola Noemi! I tuoi sogni non andranno persi nel cielo.