Quale autonomia differenziata?

Lunedì, 6 Febbraio, 2023
Il Consiglio dei ministri ha approvato all’unanimità il disegno di legge sulla “autonomia differenziata” con l’obiettivo, a parere del presidente del Consiglio, di “puntare a costruire un’Italia più unita, più forte e più coesa”. 
Tempo addietro avevo pubblicato un post per dare qualche informazione sul tema visto che se ne parlava appena.
Ora siamo costretti invece a fare i conti con una proposta concreta anche se tutt’altro che di “prossima” attuazione e forse più legata alle prossime prospettive elettorali che ad una reale esigenza di dare ordine ad un sistema istituzionale talmente confuso e inefficace da non essere stato incapace di fare quello che avrebbe invece dovuto fare in questi anni: determinare i Livelli essenziali (Lep).
Non mi dilungo sul dettato costituzionale che prevede all’art. 116 la possibilità per le Regioni a statuto ordinario di richiedere ulteriori forme di autonomia nell’ambito di un elenco molto ampio di materie, accompagnate dalle relative risorse economiche. Va detto però che se è lecito chiedere non è detto che sia obbligatorio concedere da parte di esecutivo e legislativo i quali, fino a prova contraria rappresentano gli interessi di tutti i cittadini italiani.
E quale sarebbe l’interesse degli Italiani?
• Prima di tutto definire (e finanziare) i livelli essenziali (Lep) cosa questa che lo Stato, la cui competenza in merito, come recita la Costituzione, è esclusiva, non ha mai fatto. 
• Per far questo lo stato deve “ingegnerizzare i livelli essenziali di prestazione” cioè definire gli standard di quei servizi che si deciderà di definire come “livello essenziale” sottoposti quindi al diritto alla esigibilità, e solo successivamente valutare come trasferire il corrispettivo finanziario che non può essere calcolato solo in base alla “spesa storica”;
• Valutare la capacità amministrativa di tutte le comunità regionali di farsi carico di quelle competenze e di garantire che i finanziamenti vengano effettivamente utilizzati per i servizi definiti come “livelli Essenziali”;
• Definire un chiaro un bilanciamento dei poteri amministrativi nel rapporto tra Regioni e Comuni (periferie) e Stato (centro), in cui quest’ultimo abbia un forte potere di progettazione e coordinamento, con annesso potere sostitutivo in caso di manifesta incapacità amministrativa regionale (si chiama modello di Federalismo Cooperativo).
Solo un esempio. 
Con la riforma del Titolo V della seconda parte della Costituzione venne affidata nel 2001 competenza esclusiva alle Regioni in materia di politiche sociali in totale assenza di livelli essenziali Sociali (leps). Risultato? 20 modelli differenti di welfare e una spesa sociale provinciale per abitante dei Comuni singoli e associati al netto della compartecipazione degli utenti e del sistema sanitario nazionale (SSN) pari a 583 euro per Bolzano e a solo 6 per Vibo Valentia. 
Questo credo sia il vero interesse degli italiani e il vero percorso necessario per “costruire un’Italia più unita, più forte e più coesa”: quello di definire, standardizzare, quantificare i Livelli Essenziali; finanziarli e garantire che vengano effettivamente realizzati su tutto il territorio italiano impegnando le Regioni ad attrezzarsi in tal senso.
 
Giovanni Santarelli - Argomenti2000 Marche