L’articolo 11 della Costituzione colloca l’Italia tra i Paesi che “ripudiano” la guerra come strumento per risolvere le contese internazionali. È un articolo di grande valore umano e civile a cui soltanto in parte ha corrisposto la politica internazionale della Repubblica. L’esercito italiano è stato ed è presente, seppure con uno stile distinto da altri eserciti nazionali, in molti scenari di guerra e ha prestato supporto logistico e di intelligence in numerosi casi di conflitto armato, come durante il bombardamento di Belgrado nel 1999 o quello della Libia nel 2011. Risulta, inoltre, sulla base dei dati pubblicati da istituti di ricerca internazionali come il SIPRI, che l’Italia è uno dei primi Paesi al mondo nella produzione e nella vendita delle armi leggere e partecipa, con industrie private o di stato, alla costruzione degli ordigni bellici più avanzati, come gli F35. Non c’è traccia, anche osservando l’azione dei governi dell’ultima legislatura, di un disimpegno, seppure graduale, da parte dell’Italia nelle spese militari a favore di politiche attive per la risoluzione pacifica dei conflitti. Il disegno di legge di iniziativa popolare denominato “Istituzione e modalità di finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta”, promosso dalla campagna “Un’altra difesa è possibile” - depositato in Parlamento il 10 dicembre 2015 e successivamente assegnato alle Commissioni riunite “I Affari Costituzionali” e “IV Difesa”, non ha trovato un adeguato supporto da parte delle principali forze politiche. Eppure è del tutto evidente che soltanto un investimento politico e quindi finanziario forte, deciso e credibile nei confronti della nonviolenza può portare frutti duraturi di Pace e di rispetto dei diritti umani nelle zone di conflitto del pianeta. L’Italia, in forza della propria Costituzione e della diffusa cultura di pace, dovrebbe essere uno dei primi Paesi in Europa e nel mondo capace di promuovere un nuovo approccio alla politica internazionale, basato sull’elaborazione di strumenti innovativi e partecipativi per combattere le principali ingiustizie dalle quali nascono i conflitti: la povertà, la criminalità organizzata, le guerre, i cambiamenti climatici, la corruzione, l’iniqua distribuzione delle ricchezze, la discriminazione per motivi religiosi o politici, la discriminazione di genere. L’istituzione di un Dipartimento della Difesa Civile non armata e nonviolenta e il suo adeguato finanziamento può essere un passo decisivo per compiere questa svolta. È opportuno, infatti, passare a politiche organiche di Pace, affidando questo compito non soltanto alle forze armate, ma anche a nuove forze civili di Stato, come in parte già lo sono i Corpi civili di pace. Il Dipartimento dovrebbe promuovere, organizzare e gestire questo tipo di politica, coinvolgendo in modo organico le migliori energie intellettuali del paese, facendo leva sulle Università e sugli Enti di Ricerca e su tutte le reti di volontariato sociale e civile presenti nel territorio. Per secoli i Paesi hanno esercitato i loro giovani a prepararsi in caso di guerra a difendere con le armi il territorio nazionale dall’attacco di un nemico, costruendo ordigni sempre più sofisticati, edificando caserme, diffondendo il senso di appartenenza ad una bandiera ed educando ad obbedire agli ordini. Bisogna cominciare a cambiare questo paradigma. È necessario un progressivo ma costante disimpegno delle forze armate negli scenari di guerra a favore di un parallelo impegno di nuove forze disarmate e nonviolente. Da caserme militari a scuole in cui ci si prepara alla gestione nonviolenta dei conflitti. Da spese per sofisticati ordigni militari a spese per missioni civili all’estero per costruire scuole, ospedali, acquedotti, progetti di agricoltura sostenibile.