L’Unione Europea si trova oggi a dover affrontare sfide sociali senza precedenti. La crisi dell’ultimo decennio ha provocato effetti rilevanti: dalla disoccupazione giovanile alla creazione di situazioni di disagio e rischio povertà in molte parti d’Europa, fino alle difficoltà di gran parte dei lavoratori over 50, i quali – di fronte ai cambiamenti tecnologici degli ultimi anni – rischiano di essere espulsi dal mondo del lavoro.
Le nuove opportunità e le nuove sfide emerse dalla globalizzazione – in particolare con la rivoluzione tecnologica e digitale – hanno inciso sia sull’organizzazione del lavoro che sul tessuto sociale e demografico della società.
Di fatto, è in corso una trasformazione che tocca tutti i Paesi europei e, di conseguenza, risulta necessario prevedere politiche che siano orientate alle tematiche del welfare e della protezione sociale: penso innanzitutto alla necessità di garantire una buona assistenza sanitaria, ma anche all’urgenza di offrire un lavoro sicuro a tutti i cittadini europei.
Riguardo quest’ultimo punto, in particolare, non si può parlare di lavoro sicuro senza parlare di formazione: un diritto europeo all’occupazione – affinché ogni cittadino europeo abbia un lavoro dignitoso – non può prescindere da un diritto europeo alla formazione.
Lavoro e formazione devono essere inseparabili e, in qualità di attori politici e istituzionali, abbiamo la responsabilità di fare in modo che le trasformazioni a cui stiamo assistendo non portino a un disallineamento tra mercato del lavoro e sistemi di istruzione e formazione.
In particolare, sarebbe necessario prevedere un modello che metta al centro l’individuo, sia come cittadino che come lavoratore, e che passi dalla concezione statica e tradizionale del lavoro basata sulla mansione a quella innovativa basata sul concetto di competenza, all’interno della quale al lavoratore-cittadino viene richiesto un ruolo attivo e non di mero spettatore passivo.
Un sistema dunque che declini il concetto di apprendimento secondo le direttrici del lifelong (lungo tutto l’arco della vita) e del lifewide (in ogni luogo) learning e che sia basato sul riconoscimento, la promozione e l’accrescimento delle competenze del capitale umano acquisite in tutti i contesti.
Per fare ciò è necessario un cambiamento culturale in grado di valorizzare il lavoro, riconoscendo che il sapere prodotto nelle esperienze lavorative ha lo stesso valore rispetto a quello trasmesso dai sistemi di istruzione formale.
In quest’ottica, e in continuità con l’obiettivo che l’Europa si è data da tempo – cioè quello di essere un’economia basata sulla conoscenza – risulta fondamentale garantire l’accesso ai percorsi formativi sia per chi un lavoro non ce l’ha, sia per chi, pur essendo occupato, abbia necessità di aggiornare le proprie competenze in un mondo del lavoro in rapida evoluzione.
Infatti, in un panorama economico sempre più basato sull’innovazione e sull’utilizzo di nuove tecnologie digitali le conoscenze e le competenze possedute dai cittadini rappresentano uno dei principali fattori su cui un Paese può fondare il proprio sviluppo economico.
Per tale ragione, l’obiettivo deve essere quello di agire per individuare tutti quegli strumenti necessari per facilitare l’accesso ai percorsi formativi, in particolare a quelli orientati alla riqualificazione dei lavoratori.
Ad esempio, sarebbe necessario ripensare la normativa sugli Aiuti di Stato – come recentemente sostenuto dal Presidente di Fondimpresa Bruno Scuotto – in particolare per ciò che concerne la sua applicazione ai percorsi formativi degli occupati. Come noto, si considera Aiuto di stato qualsiasi intervento effettuato tramite risorse pubbliche, per sostenere alcune imprese o attività produttive, le quali – beneficiando di tale intervento – ne risultano avvantaggiate rispetto ai concorrenti.
Dato questo presupposto, non è del tutto corretto ritenere che la formazione crei un vantaggio per alcune (imprese) e svantaggio per altre, quanto piuttosto è da considerarsi quale strumento di crescita “universale” che garantisce ricadute per il sistema economico nel suo complesso.
Avere lavoratori formati – istruiti, aggiornati, competenti – è presupposto fondamentale per il progresso dell’intero sistema.
In conseguenza di ciò, un intervento sulla normativa degli Aiuti di stato, e in questo mi sento di sostenere la posizione del Presidente Scuotto, garantirebbe una semplificazione nelle procedure di accesso ai percorsi formativi per i lavoratori e di conseguenza darebbe – da una parte – ulteriore slancio alla capacità del sistema di aggiornare le competenze del capitale umano occupato e sarebbe – dall’altra – strumento di welfare, a tutela della categorie di lavoratori maggiormente a rischio in una fase di rapida trasformazione dei processi produttivi.