Per l’Europa che verrà

Lunedì, 9 Maggio, 2022

Il 9 maggio sarà la Festa dell'Europa e pochi giorni fa si è conclusa la Conferenza sul futuro dell'Europa. Presentata come momento di consultazione dei cittadini, almeno in Italia la Conferenza non è uscita dal circolo degli addetti ai lavori e non ha avuto praticamente nessuna rilevanza mediatica. Nel contesto italiano quello che è prevalso è stato un processo di consultazione di interlocutori selezionati.

Rispetto a questo momento che era dedicato a raccogliere istanze “dal basso” circa l’Unione, il suo attuale assetto e le sue criticità e dunque le sue prospettive possibili, in termini sia politici che istituzionali, il dato interessante è che la Conferenza avrebbe chiesto una revisione dei Trattati. Si tratta, occorre ribadirlo, di una semplice richiesta, dal momento che la Conferenza non ha autorità deliberativa e il processo di revisione dei trattati investe invece il piano della negoziazione fra gli stati membri dell’Unione. Tuttavia, data la natura della Conferenza, l’emergere di questa chiara indicazione rappresenta una interessante indicazione politica, nella misura in cui rende esplicita una consapevolezza diffusa della inadeguatezza dell’attuale assetto delle istituzioni dell’Unione rispetto al quadro storico, politico, sociale ed economico nel quale esse sono chiamate ad operare.

Il Presidente del Consiglio italiano Draghi, che come noto ha un illustre passato nell’istituzione europea che ad oggi ha più capacità decisionale – la Banca Centrale Europea – ha ripreso il tema della revisione dei trattati nel suo intervento nella sessione plenaria del Parlamento Europeo. Un invito a farsi carico di questa esigenza, che Draghi ha voluto estendere ad altri importanti interlocutori europei, come il Presidente Francese e il Cancelliere della Repubblica Federale Tedesca.

L'attuale crisi in Ucraina ha dato risalto alla debolezza del ruolo politico dell’Unione. La gestione dei rapporti con la Federazione Russia si è rivelata come giocata troppo spesso sul piano di relazioni di singoli stati membri con Mosca. Una dinamica che da un lato ha reso le istituzioni europee deboli nella interlocuzione e nel confronto diplomatico di fronte alla invasione dell’Ucraina, e al tempo stesso ha lasciato spazio in seno all’Europa a una prevalenza di interessi nazionali. Il tutto su questioni, come l’approvigionamento di materie prime nel settore energetico, che storicamente era stato uno degli elementi fondanti la costruzione del processo di unificazione europea (si pensi alla istituzione dell’EURATOM). Più in generale, l’orizzonte storico nel quale siamo entrati e che ha una portata planetaria rende chiaramente inadeguato il singolo stato nazionale, come soggetto capace di una interlocuzione efficace. La portata delle questioni che sono all’origine di tensioni, contrasti e competizioni, proietta le decisioni su una scala più estese, nella quale sono in grado di operare solo realtà continentali. Del resto, tali sono attori come Stati Uniti e Cina, e anche la stessa Russia, per le sue caratteristiche geografiche, culturali e storiche, non è assimilabile allo stato nazionale.

Queste valutazioni acquistano uno spessore politico più specifico allorché si parla della istituzione di un sistema di Difesa europeo, che sia il completamento di una politica estera europea. Un progetto ambizioso, che risale anch’esso alle idee che hanno dato origine al processo di unificazione europea dopo la Seconda Guerra Mondiale. Costruire una Difesa comune richiede infatti di mettere a tema alcune questioni prettamente politiche: in che rapporto deve essere l’esercito europeo con il sistema politico-militare della NATO? Comporta un progressivo passaggio di competenze su difesa e politica estera dai governi nazionali alle istituzioni comunitarie? Se sì quali sono queste istituzioni e come definiscono le proprie politiche? Si tratta di un passaggio verso la costruzione di una federazione europea di stati, dotta di una specifica autorità politica su determinati ambiti di competenza? E quali sono i principi orientativi della politica estera e di difesa europea rispetto alle aree limitrofe come Russia e Mediterraneo e rispetto al quadro planetario? E come si porrebbe una Unione Europea così rimodellata rispetto a consessi più ampi, ad esempio le Nazioni Unite?

Di certo ONU e NATO, così come ancora oggi sono configurate, sono istituzioni figlie degli Accordi di Yalta, della spartizione delle Guerra Fredda. Tuttavia l’Unione Europea, colosso economico e nano politico, appare di fatto ancora oggi aggrappata all’Alleanza Atlantica, che rappresenta l’unico dispositivo di difesa capace di garantire una “deterrenza” di fronte alle politiche aggressive, ad esempio, dell’attuale governo russo. Una configurazione che di fatto subordina le scelte di politica estera delle cancellerie europee ad un accordo con Washington piuttosto che ordinarla ad una forma di rapporto paritario. Uno spazio politico e di difesa europea capace di propria personalità e di una autonomia servirebbe certamente a bilanciare un certo atlantismo che sembra riproporre logiche da Guerra Fredda e a liberare le potenzialità di una mediazione politica dell'Europa.

La visita a Kiev di Metsola, Michel e Von der Leyen ha dato certamente un importante contribuito di immagine all’Unione, soprattutto se si pensa al fatto che il Segretario delle Nazioni Unite, Guterrres ha atteso oltre due mesi per andare in visita prima a Mosca e poi a Kiev. Tuttavia, questa guerra, con i suoi inquietanti e deprecabili crimini di guerra, violazioni dei diritti e crisi energetica, costituisce un acceleratore di una integrazione europea che deve, necessariamente, dare risposte efficaci.

L'integrazione europea è sempre stata preceduta da crisi e per certi aspetti è stata indirizzata da quelle crisi. Da quella attuale potrebbero davvero nascere gli Stati Uniti d'Europa, come pure potrebbe verificarsi un processo inverso, con l’implosione di una Unione che vede acuirsi la distanza fra Est e Ovest a motivo di uno spostamento su posizioni ancor più sovraniste da parte di paesi come l’Ungheria e la Polonia. In gioco vi è dunque il futuro dell’Unione che si misura anche sulla sua capacità di procedere rapidamente ad adeguati processi di integrazione riguardo a paesi essenziali per evitare il divampare di nuovi focolai di conflitto. Sono in particolare i Balcani, con Bosnia e Serbia già ammaliate dal sovranismo di Putin, a rappresentare l’orizzonte strategico dell’Europa dei prossimi anni. Una parte del Vecchio Continente rispetto alla quale l’Unione deve spendere la sua capacità di combinare sviluppo sociale, crescita equa e diffusione della democrazia, in modo da lenire e ricomporre le lacerazioni di un nazionalismo che nel recente passato ha causato lutti e seminato odio. Tutto questo non è altro dalla realizzazione di una politica estera e di difesa europea: si tratta in entrambi i casi di delineare il profilo della personalità politica dell’Europa dei prossimi decenni.