Step dopo step potremmo forse arrivare ad un punto cruciale per l’Europa per “fare la sua parte” in questo conflitto.
E il punto è: fino a quando possiamo continuare a importare gas e petrolio dalla Russia, inviando a Mosca miliardi di euro che in questo momento finanziano anche le azioni belliche? Forse è arrivato il momento di porci questa domanda in modo realistico, ma anche onesto e coraggioso.
Fino ad oggi Germania e Italia hanno resistito all'idea di allargare le sanzioni al settore energia per ragioni che si possono comprendere perché sono le economie più dipendenti dalle importazioni di gas russo. Tuttavia l’escalation bellica, gli appelli dei Paesi dell'Est che hanno vissuto sopra la propria pelle la dittatura sovietica e quelli dell'opinione pubblica mondiale sono destinati ad aumentare finché continuerà l’aggressione militare della Russia in Ucraina con il bombardamento delle città e la strage indiscriminata di uomini, donne e bambini. Se riavvolgiamo il film degli ultimi giorni di negoziati frenetici e dell'attacco di Putin del 24 febbraio emerge una certa lentezza di alcuni governi europei nel comprendere la gravità della situazione e la necessità dei sacrifici richiesti, ma anche poi il coraggio di scelte forti. La Germania è passata dal rifiuto di far attraversare i rifornimenti di armi all'Ucraina sul proprio territorio allo stanziamento di ingenti finanziamenti per dare armi tedesche all'Ucraina, dal rifiuto anche solo di nominare il progetto North Stream 2, durante la conferenza stampa congiunta a Washington con il presidente Biden, all'annuncio del congelamento del progetto, dal rifiuto dell'utilizzo dell'esclusione delle banche russe dal sistema Swift all'accettazione di un uso selettivo di questo tipo di sanzione. Si tratta di cambi di linea inevitabili che in parte sono simili a quelli avvenuti nella politica italiana.
Il mantenimento delle importazioni di gas dalla Russia è l'ultimo baluardo, ma fino a quando può reggere?
Forse è bene porci il problema e cominciare a preparare le soluzioni difficili, ma necessarie.
Secondo molti analisti il 24 febbraio è una data che segna l'inizio di una nuova era geopolitica, quella dello scontro aperto tra democrazie e autocrazie. Se questo è vero, il confronto, quantomeno politico ed economico, non è solo con la Russia ma anche con la Cina e altri. E se questo è vero ci aspettano anni di sacrifici molto più duri della rinuncia a qualche punto di Pil. Ci aspettano scelte che non possono essere eluse per il mantenimento delle nostre “abitudini e comodità”.
L’economista Jean-Paul Fitoussi e il giornalista inglese Bill Emmott hanno pubblicato articoli e interviste sui giornali italiani ipotizzando la “chiusura” dei rubinetti del gas con la Russia per arrivare alle sanzioni totali. Una folla di pacifisti è scesa nelle strade italiane per dire, giustamente, "No alla guerra". Ma se escludiamo l'intervento armato a difesa degli ucraini, possiamo escludere le altre misure economiche per cercare di fermare Putin e salvare vite umane? Possiamo avere allo stesso tempo la pace e la casa riscaldata? Possiamo applaudire gli ucraini che resistono in condizioni disperate e rifiutare di abbassare il termostato di qualche grado?
Quando si parla di sanzioni sull'energia c'è sempre qualcuno che parla di “interessi nazionali”. Giusto.
Ma l’interesse nazionale implica tanti altri aspetti: forse dobbiamo fare una riflessione su quali siano veramente gli “interessi nazionali”, perché è con questi ragionamenti che abbiamo chiuso gli occhi tutti questi anni e ci troviamo oggi in Italia e in Europa con le spalle al muro per il ricatto russo sul gas e un'economia fragile che mette a rischio migliaia di posti di lavoro.
In realtà alcune stime, come quella pubblicata dal think tank Bruegel, ci mostrano che se dovessimo chiudere totalmente i rubinetti del gas oggi potremmo comunque superare l'inverno senza troppi drammi: ma poi rimane da affrontare il futuro. Questo scenario implicherebbe un grande piano nazionale ed europeo per mettere in campo tutte le opzioni necessarie.
Per il futuro prossimo è comunque indispensabile un piano europeo straordinario: riduzione della domanda, investimenti nell'efficienza e nelle rinnovabili, accompagnati a una politica di diversificazione delle importazioni di gas che, paradossalmente, potrebbero essere un'occasione di crescita economica. Forse gli “interessi nazionali”, e anche quelli delle grandi aziende energetiche e del sistema industriale italiano, sono più nella capacità di prepararsi e anticipare il cambiamento, avvicinandoci agli obiettivi della transizione ambientale che comunque ci sarà e sarà inevitabile.
Nella risoluzione sull'Ucraina approvata martedì dal Parlamento europeo abbiamo chiesto “che siano limitate le importazioni delle più importanti merci di esportazione russe, tra cui petrolio e gas”. Ora l'Ue deve saper reagire unita come ha fatto con la pandemia. Serve un piano straordinario sull'energia e una roadmap puntale e rapida per liberarci dalla dipendenza russa sul gas.
Serve una cabina di regia molto autorevole per gestire questo shock energetico, prevenendo gli eventi e non solo correndo ai ripari. Serve, insomma, una vera un’Unione europea dell’energia.
Difendere la democrazia ha un prezzo
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Giovedì, 3 Marzo, 2022