Una riflessione sul 25 aprile

Venerdì, 23 Aprile, 2021

La Festa nazionale della Liberazione che si celebra ancora oggi viene ufficialmente istituita con la legge n. 260 del 27 maggio 1949, presentata dal governo De Gasperi nel 1948, per commemorare e festeggiare il 25 aprile come «Anniversario della Liberazione».

Un richiamo alle parole e al loro valore semantico … abbiamo un sostantivo con un predicato: “Festa della liberazione”; poi il verbo “commemorare”

Fin dall’antichità le feste avevano il senso della liberazione (ad esempio i Saturnalia romani, durante i quali il padrone serviva il suo schiavo), unito al senso del godimento e del riposo (con l'abbondanza del vino e del cibo). Nell’era cristiana (ma non solo) le feste religiose hanno il senso dell’incontro con il totalmente altro, con il trascendente. L'incontro con l'Altro, a cui ci si affida, toglie anche dalla confusione e dalla solitudine nella quale ci si trova senza un preciso riferimento esistenziale. Le feste civili (tipiche della modernità) sono rievocazioni dell'appartenenza sociale, appuntamenti con la storia. Hanno il senso di non cedere all'oblio della superficialità. La festa civile ci ricorda ciò che gli Altri hanno fatto per noi. Le feste civili hanno il senso della “memoria” e della “moralità”, caratteristiche - tra le altre - indispensabili per sentirsi parte della vita e del mondo.

Tutte le feste hanno un carattere inclusivo, unitivo. Rispondono al bisogno di sentirsi strutturati, esistenti e consistenti rispetto al vuoto, al caos, e in ragione del bisogno di identità e di ordine.

E poi, seguendo il significato etimologico: festa deriva dal latino “festum” che significa gioia, giubilo… anche baldoria.

La nostra comprensione della realtà condiziona sempre il nostro modo di vedere e di raccontare la storia.

Faccio un esempio estemporaneo, per comprendere le difficoltà che noi viviamo quando studiamo e insegniamo la storia. Un esempio che prendo dal film di Steven Spielberg “Indiana Jones”, l’archeologo che nel tempo libero va a scavare tombe nelle foreste o nei deserti, ma che di lavoro fa il professore universitario.

In una scena, scrive alla lavagna una frase: «L’archeologia studia i fatti, non trova la verità. Per la verità, rivolgetevi al professore di filosofia». Questa frase esprime la corretta metodologia non solo dell’archeologo, ma anche dello storico.

Il binomio storia-senso è molto forte, perché permette di dare fondamento alle nostre convinzioni ideali, e anche al nostro credo politico, al nostro assetto istituzionale, alle rivendicazioni di gruppo.

Si rischia spesso di legare la domanda: “Perché dobbiamo studiare storia?”, con la risposta: “Studiando la storia, capisci il senso delle cose”.

E questa risposta, se non affrontata e meditata seriamente e onestamente, nasconde molti pericoli!

Il legame fra storia e senso è sempre “a rischio”, e ha sempre bisogno di essere messo in discussione, in primis dagli storici.

Di qui si capisce l’affermazione del grande storico Fernand  Braudel: “La storia nasce dalle domande che le si pongono, sempre diverse col procedere del tempo …”

Ogni Paese ha i propri “fatti costitutivi”…

Il 25 Aprile è la data fondativa della Repubblica democratica (anche se la scelta sarebbe venuta dopo). Il 25 aprile è la radice dell'Italia repubblicana e democratica. E' una radice popolare, di uguaglianza e di riscatto civile. La Resistenza unificò in una esperienza unica classi sociali diverse: militanti politici di varie scuole e di varie forze; militari dell'esercito regio, che potevano scegliere, e non si sono arresi (a cominciare dai fatti di Cefalonia, e poi alla vicenda degli IMI); Nord e Sud del Paese; uomini e, per la prima volta in modo consistente, donne (ricordiamo che è dal 25 aprile che nasce il voto alle donne: avevano partecipato alla lotta di Liberazione e ne fecero un giusto trampolino per l'emancipazione femminile).

La Resistenza fu anche un fenomeno europeo (e quindi alla base dell’idea di Europa unita, dopo l’epoca tragica del trionfo dei nazionalismi), partendo dalla vicenda degli intellettuali antifascisti (dai Rosselli a don Sturzo) esiliati in vari paesi d’Europa nel corso degli anni ’30, che prepararono la rinascita morale e democratica del paese.

E poi … tutto il capitolo della lotta non armata, della resistenza morale, “senza fucile”: il fenomeno degli scioperi operai nelle grandi fabbriche del nord; la “via dei conventi e delle canoniche”, con i preti, i religiosi e i laici impegnati a nascondere e ad aiutare; tutti coloro che dopo la guerra non chiesero il riconoscimento di partigiano (es. Maria Romana De Gasperi, alla quale il padre proibì espressamente di fare domanda …), ma senza i quali i partigiani combattenti non avrebbero potuto svolgere la propria battaglia …

E infine, riprendendo una tesi di Norberto Bobbio sul valore della Resistenza (una tesi che permette di evitare qualunque retorica “imbalsamante”), poniamo l'accento sul fatto che la Resistenza sia stata anche un “momento imperfetto”, che può e deve cercare la sua compiutezza nella democrazia e attraverso la Costituzione.

La Resistenza fu un'esperienza collettiva fatta da tante persone di origine diversa, di storia diversa, di formazione politica diversa o a volte assente. Gli obiettivi erano due: liberare l'Italia dall'occupante tedesco e dal regime fascista, e creare un paese libero e democratico dopo 20 anni di dittatura. E dall'impegno di quei tanti - di quel mosaico di esperienze e provenienze, unite in un “idem sentire” - è maturata la consapevolezza che poi ci ha dato la Costituzione.

Dunque, quello che conta del 25 aprile è il valore politico e sociale.

Un’altra problematica è legata a come raccontare il 25 Aprile. 

L’errore più grande che possiamo fare sia parlare della Resistenza senza dire la verità … ad esempio che ci fu anche una guerra civile, che vi furono anche errori militari e politici, o che dopo la Liberazione si verificarono vendette terribili …

 

Ma tenendo fermo il punto: questa data ci assegna una identità nazionale, il recupero di una coscienza civile che la società italiana aveva smarrito.

Anche per questo dobbiamo essere contrari ad ogni rivendicazione “proprietaria” del 25 aprile, da parte di qualsiasi parte politica. Perché – ricordiamolo ancora - il 25 aprile deve essere prima di tutto una festa, e la festa è di tutti!

Tra i fatti che segnarono un mutamento di rotta nella lettura della Resistenza ci fu certamente il discorso di Luciano Violante da presidente della Camera, il 10 maggio 1996. Quando chiese una riflessione sulle ragioni che, dopo l’8 settembre, portarono molti giovani a scegliere la Repubblica di Salò. Ma lo fece proprio per non proporre nessuna parificazione fra chi combatteva dalla parte della libertà e chi stava dalla parte dei vagoni piombati. Solo con la lettura globale e libera si escludono i “revisionismi falsificanti” e le letture parziali. Come in ogni fenomeno umano, anche nella Resistenza ci furono le luci e le ombre. Ma quello che conta è soprattutto il complesso di quell'esperienza.

Un altro esempio … oggi si accetta senza ipocrisie che in Italia ci fu una guerra civile, fra italiani. Quando Claudio Pavone pubblicò il suo libro su questo tema, nel 1991 (Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza), fu subissato da critiche e anche da insulti. Ma ora è una acquisizione comune. Senza equiparazioni – ripeto - tra partigiani e ragazzi di Salò, ma con una lettura più matura. Chi militò con Salò sbagliò non perché perse, ma perché difendeva la dittatura nazista. E con lo stesso spirito dobbiamo avere il coraggio di investigare su altri fatti, che possono essere giudicati come tragedie o errori politici: pensiamo a via Rasella in rapporto alle Fosse Ardeatine; alla strage di Porzûs o al cosiddetto Triangolo della morte; o a tutte le vendette private.

Oppure riscoprire altri fatti e attori della Resistenza (pensiamo agli IMI, ai carabinieri, ai ferrovieri, agli operai, alla brigata ebraica, ai tanti “eroi feriali”…).

Però facciamolo con l’intento di cercare la verità e non di mistificarla, o di estrarre i fatti dai contesti. O, peggio, per rinfocolare tante polemiche divisive fatte ex post, tra le varie componenti del movimento resistenziale.

Ciascuno dette alla causa della democrazia il proprio contributo, sia pure con idee diverse sul futuro. Tutti seppero collaborare per dare vita al patto repubblicano che fece rinascere l’Italia.

Senza la lettura diversa dei fatti forse non ci sarebbero nemmeno diverse opzioni politiche.

Per questo possiamo affermare che nella Liberazione ci sono le radici della Repubblica e della Costituzione.

De Gasperi a Parigi, nell’agosto 1946, riuscì ad ottenere condizioni più favorevoli da parte dei vincitori proprio rivendicando il valore della lotta degli italiani contro nazismo e fascismo.

Dobbiamo mettere la verità al riparo della ragione piuttosto che dell'odio, dell'ideologia o dell'indifferenza, che sono componenti volatili e tossiche della storia.

Nel 2015, in occasione del 70.mo anniversario del 25 aprile, il Presidente della Repubblica Mattarella ricordava come «la Resistenza, prima ancora che fatto politico, fu soprattutto rivolta morale. Questo sentimento, tramandato da padre in figlio, costituisce un patrimonio immateriale che deve permanere nella memoria collettiva del Paese».

Una possibile risposta ce la fornisce ancora Norberto Bobbio, già nel 1955, col suo libro «Eravamo ridiventati uomini» (Einaudi 1955). Bobbio afferma come non ci sia che un modo per realizzare la Resistenza: «Continuare a resistere. Resistere, ogni giorno, agli allettamenti che ci vengono dagli sbandieratori di facili miti o dagli amanti della confusione mentale. Resistere alle passioni incontrollate che ci spingono ora a destra ora a sinistra a seconda degli umori e degli eventi. Resistere alla seduzione della pigrizia che ci getta in braccio allo sconforto e ci rende inattivi e indifferenti».

 

Maurizio Gentilini, 
Segretario Associazione Nazionale Partigiani Cristiani
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