L’esortazione apostolica Dilexi te, ereditata e fatta propria da Papa Leone XIV, ha riportato in primo piano il tema della povertà. Ma da tanto, troppo tempo si susseguono analisi impietose sulle dimensioni “scandalose” della povertà (come ebbero a definirle già due anni fa il Presidente della CEI, Card. Matteo Zuppi e Papa Francesco), sull'impoverimento dei ceti medi, che scivolano sempre più verso il basso (come rilevato dalle ACLI), sul senso di abbandono da parte delle istituzioni che genera astensionismo, sfiducia, minando alla base la democrazia, mentre il rancore sociale, evidenziato dal Censis già prima della pandemia, ora esplode e degenera in violenza diffusa.
Le diseguaglianze estreme sono alla radice di molti dei problemi attuali: impediscono a milioni di sventurati il pieno sviluppo della persona e delle potenzialità; troncano per tanti ragazzi di famiglie svantaggiate il percorso di formazione e istruzione (poi le imprese faticano a trovare profili professionali adeguati); creano soggezione e sfruttamento, inducono ad accettare lavoro nero, lavoro sporco, non sicuro, malpagato, oppure non utile o addirittura dannoso (ad esempio legato ad attività inquinanti); generano bacini di voto di scambio che avvelena la democrazia, voto sovranista di ribellione e disperazione che la mette a repentaglio; rendono impossibile l’accesso a mezzi e dispositivi alimentati a energia rinnovabile e non inquinanti o con scarso impatto; a tantissimi inibiscono l’accesso alle cure. Molto numerosi sono anche gli invalidi non riconosciuti, a cui è negato ogni aiuto per fronteggiare malattie croniche, per alleviare le quali occorrono costose cure palliative.
Il meccanismo naturale indotto dal turbo capitalismo neoliberista e dalla finanziarizzazione dell’economia mondiale porta a un accumulo meccanico di denaro e beni lì dove se ne trovano già in sovrabbondanza, come denunciato da Oxfam ogni anno da svariati anni, a detrimento di persone, famiglie, territori, corpi intermedi della società e finanche gli stati, tutti più o meno pesantemente indebitati (tranne poche eccezioni, a partire da paradisi fiscali, petromonarchie e simili).
È incredibile l’ostinazione con cui si pretende che sia impossibile tassare la ricchezza eccessiva. Che non sia facile non significa che sia impossibile. Piuttosto, in un contesto come quello europeo, probabilmente è arrivato il momento di lavorare con urgenza a una maggiore integrazione, in vista di una compiuta unione fiscale in senso autenticamente progressivo, affinché la tassazione della grande ricchezza sia più efficace di quanto non sarebbe su base nazionale (su cui comunque ci sarebbe un discreto margine), e sarebbe il caso di darsi anche una politica estera e una difesa comuni, unica opzione possibile per scongiurare l’irrilevanza che stiamo toccando con mano da mesi e un riarmo a 27 che appare una follia. Importante e significativo il lavoro dell’associazione Nuova Camaldoli, per una Camaldoli Europea, per invocare una sempre maggiore integrazione e l’attuazione della vocazione solidaristica dell’Ue.
La tassazione della ricchezza plurimilionaria e plurimiliardaria può comunque essere applicata su base nazionale e rappresenta una premessa indispensabile a un meccanismo di riequilibrio finanziario, una forma di cash transfer capace di restituire liquidità monetaria alla base della piramide sociale.
Papa Francesco si era espresso a più riprese in modo favorevole a un reddito o “salario” di base, in occasione degli incontri con i Movimenti Popolari e nel volume “Ritorniamo a sognare”. Il Reddito di base avrebbe un impatto molto positivo in vari ambiti, non solo sulla lotta alla povertà, ma anche nel restituire opportunità di formazione e istruzione agli svantaggiati (uno studio afferma la possibilità di una spinta al Pil italiano da 48 miliardi dal contrasto alla povertà educativa), nel contrasto alla perdita di potere d’acquisto dei ceti medi, su fenomeni come spopolamento delle aree interne, denatalità, emigrazione giovanile, usura, criminalità, morte sul lavoro, voto di scambio, lavoro nero (che genera fatturato in nero e scorie smaltite in nero, come nella tristemente famosa terra dei fuochi), violenza domestica (da cui la donna priva di reddito non può sottrarsi), e tanto altro ancora.
Ovviamente serve anche tutto il resto: sanità, istruzione, servizi sul territorio. E serve il lavoro. Moltissimo se ne potrebbe creare, realmente utile alla società, rafforzando persone, famiglie, corpi intermedi, cooperative, le finanze degli stati, cioè tutti quei soggetti che sono resi progressivamente sempre più esangui da un sistema economico squilibrato. Tale Reddito di base dovrebbe essere soggetto a Irpef, da cui destinare otto per mille alle chiese, cinque per mille al terzo settore e due per mille alle forze politiche, facendone uno strumento di vera reinclusione sociale e partecipazione e andando a potenziare la dimensione spirituale, il non profit e la democrazia.
Inoltre è arrivato il momento di ricostruire le relazioni sociali, con la cura della persona, oltre che delle sue tasche. Se il Reddito di base venisse erogato a partire dai più deboli, poi a salire alla platea della povertà relativa e poi ai ceti medi, in più tappe, con l’unica condizione, per i beneficiari, di rendersi disponibili a colloqui periodici, con personale formato, raggiungerebbe il duplice obbiettivo di fornire accanto all’aiuto materiale anche quello morale, entrambi necessari. Probabilmente sarebbero in tanti a cogliere l’opportunità di uscire dall’isolamento e avere qualcuno a cui spiegare cosa è andato storto.
Una proposta in tal senso è stata presentata nel settembre scorso alla sala stampa di Montecitorio, da parte dell’associazione RED Reddito Europa Diritti, che per l’aggiornamento del proprio Manifesto si è ispirata anche al paradigma relazionale proposto dal laboratorio Piano B, nel paper lavoro, condividendone profondamente l’ispirazione di base: rimettere al centro l’essere umano come essere relazionale e membro vivo di una comunità.
Se come credenti desideriamo davvero essere credibili agli occhi del mondo, non possiamo lasciar cadere le esortazioni della Dilexi te e ignorare il grido, o, peggio, il silenzio rassegnato di coloro che non hanno più voce e di cui ci si accorge solo quando vengono presentare statistiche impietose (5,7 milioni in povertà assoluta, circa 198 mila nuovi nati nei primi 7 mesi del 2025, dispersione scolastica ancora vicina al 10%, tanto per citarne solo tre fra le più gravi) e in occasione di scadenze elettorali sempre meno partecipate (ormai l’astensione supera stabilmente il 50% degli aventi diritto).
Se il mondo disprezza i deboli e non si cura dei pericolosi scricchiolii che da tempo destano allarme sulla coesione sociale, la comunità dei credenti deve esigere risposte efficaci dalla politica, prima che sia troppo tardi.











