Sulla liberazione di Brusca. Sono collaboratori, non pentiti

Mercoledì, 2 Giugno, 2021

La politica non può cavalcare lo stato d’animo di tutti noi per raccogliere consensi e non può distrarsi dalla lotta alla mafia.

La politica non può reagire di pancia alla scarcerazione di Brusca, non può sconfessare con atteggiamento demagogico oltre trenta anni di politica criminale e di lotta alla mafia.

La leggi le fa il Parlamento i cui componenti sono espressione della politica, la legge sui collaboratori di giustizia è stata fatta dal Parlamento (approvata all’unanimità) e applicata dai magistrati, alcuni dei quali hanno pagato con la loro vita la lotta alla mafia.

La legge non è qualcosa di misterioso che appartiene “al fato” ma è espressione diretta dello stato e, in uno stato democratico, dal popolo; tale presa d’atto, non giustifica quanti dicono che bisogna socraticamente subirla, specialmente la politica non può trovare tale giustificazione.

Il nostro ordinamento vede quotidianamente il potere giudiziario ed esecutivo interagire congiuntamente nella lotta alla mafia, il potere legislativo invece, è chiamato a fare le leggi con una attività permanente di valutazione di tale fenomeno criminale (la commissioni antimafia).

Prima del clamore della liberazione di Brusca nessuno dei poteri dello Stato, ognuno, secondo le proprie prerogative e modi previsti dalla Costituzione, ha chiesto di abolire la legge sui collaboratori di giustizia, segno che la legge non solo fosse legittima, ma particolarmente utile.

Di fronte alla scarcerazione di un uomo, che non è spregevole definire bestia, come dice Ayala, è giustificata una reazione sgomenta, di frustrazione, di ribellione contro ciò che appare la sconfitta della giustizia umana.

Io stesso, alcuni anni fa, di fronte alle carte processuali nelle quali ho letto il racconto dell’uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, mi sono chiesto se avrei più avuto il coraggio, come avvocato, di difendere gente che si macchia di tali crimini.

La risposta a tale sgomento dobbiamo trovarla nella nostra cultura giuridica, nelle norme che garantiscono a ciascuno il diritto ad avere diritti.

Ma non tutti i poteri dello Stato hanno reagito in modo scomposto, i magistrati, alcuni dei quali hanno direttamente subito e vissuto sulla loro pelle le conseguenze nefaste della mafia, hanno spiegato come allo sgomento personale, fanno prevalere le ragioni circa l’utilità che una tale legge, voluta dallo stesso Falcone, ha ancora oggi per la lotta alla mafia.

Pietro Grasso, giudice a latere del primo maxi processo, scrive:” il dolore e la rabbia delle vittime e dei loro familiari lo comprendo e lo rispetto nel profondo. Eppure non vedo scandalo nella notizia di ieri (liberazione di Brusca), peraltro nota e attesa da molti anni. Con Brusca lo Stato ha vinto …………… , con la sua liberazione ha rispettato l’impegno preso con lui e mandando un segnale potentissimo a tutti i mafiosi rinchiusi, la libertà, se non collaborano, non la vedranno mai.  L’indignazione di molti politici che di codice penale e di lotta alla mafia capiscono ben poco mi spaventa”.

Il Giudice Ayala afferma “la giustizia non può dare ascolto alla pancia, qualche politico parla di vergogna dello Stato per cavalcare il consenso.”

In questa vicenda non solo dobbiamo rispetto ai familiari delle vittime della mafia, ma dobbiamo comprendere tutto questo dolore per rendere utile una tale legge sui collaboratori di giustizia, per non rendere vano, non solo il sacrificio delle vittime ma il dolore che ancora oggi accompagna i familiari. Le parole della sorella di Giovanni Falcone non solo testimoniano l’importanza di tale legge ma ci indicano un percorso necessario, il non distrarsi “Umanamente è una notizia che mi addolora, ma questa è la legge, una legge che peraltro ha voluto mio fratello e quindi va rispettata. Mi auguro solo che magistratura e le forze dell’ordine vigilino con estrema attenzione in modo da scongiurare il pericolo che torni a delinquere, visto che stiamo parlando di un soggetto che ha avuto un percorso di collaborazione con la giustizia assai tortuoso.”

Dobbiamo avere presente che non parliamo di pentiti ma di collaboratori di giustizia, loro sono ancora mafiosi, hanno collaborato a fronte di un contratto, che a loro ha dato una possibilità di libertà e allo stato in cambio informazioni.

Forse quella politica che s’indigna che sconfessa quello stesso Stato che rappresenta, avrebbe dovuto già da tempo attivarsi per individuare leggi, strumenti che impediscano che mafiosi come Brusca tornino a fare il loro schifoso mestiere di mafiosi.

Come credenti, dovremmo fare nostre le parole che si leggono su Avvenire, in una riflessione di don. Maurizio Patricelli “Un nome mi rimbomba nella mente: è quello di Alessandro Serenelli, l’assassino di santa Maria Goretti, che si convertì e per tutta la vita tentò di riparare al male fatto.

Caro Giovanni Brusca, ti auguro di percorrere la sua stessa strada. Strada di luce e di speranza. Dopo averci trascinato con te negli orrori dell’inferno, abbi il coraggio, oggi, di volare alto, di respirare aria pura, di godere del prezioso dono della vita pur nella vita nascosta a cui sei inesorabilmente consegnato. Per quanto ti possa apparire strano, sappi che tanti cristiani pregano per te. Anche per te Gesù Cristo è morto e risorto.

Ma questa è tutta un'altra storia che sarebbe molto bella.

Giuseppe Cannella
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