Senza testa senza popolo

Lunedì, 7 Febbraio, 2022

La prendo da lontano. Un gran politico di razza leader della sinistra sociale democristiana e per questo anticomunista come Carlo Donat Cattin non condivideva l’ipotesi del compromesso storico avanzata da Aldo Moro.

Tuttavia disse che occorreva valutare seriamente quella che Moro aveva definito come “Terza fase”.  Addirittura iniziò a pubblicare una rivista politica legata alla sua corrente, Forze Nuove che portava come testata il nome Terza Fase. Quella terza fase era determinata dalla consapevolezza in Moro che la DC non sarebbe più stata padrona del suo futuro e occorreva l’accordo con il PCI. Moro discusse molto con i diversi leader democristiani sulla sua scelta politica su cui, come detto, Donat Cattin aveva molte riserve.  I colloqui con Donat Cattin furono fra i più impegnativi, ma alla fine Donat Cattin si allineò.  Si stimavano e avevano fiducia reciproca.

Moro poco prima del suo rapimento, il 28 febbraio 1978 ai gruppi parlamentari della DC dirà: «Ho ascoltato con grande interesse le cose dette da Donat-Cattin: erano cose molto sagge, non solo, ma molto intelligenti. Egli ha sentito l’importanza di questo momento e ha fornito elementi costruttivi. Egli ci ha ricondotto ad una impostazione che collega programmi e quadro politico». Non erano delle mammole ma sapevano incontrarsi nella diversità soprattutto nei momenti critici. Quando in quel tragico mattino del 16 marzo 1978 nel baule della Renault rossa fu riconsegnato il corpo esanime di Aldo Moro , tutti furono ,nello sconforto del  dramma , consapevoli che era terminato un periodo politico .

All’indomani della morte di  Moro le strade politiche che si aprivano ripartivano proprio da li : programmi e quadro politico .  Due elementi base per costruire progettualità per il futuro di un popolo.  Due elementi inscindibili, perché senza progettualità c’è solo gestione e senza quadro politico ci sono solo sogni.

Malauguratamente il quadro politico e la conservazione del potere ebbero il sopravvento.  Semplificando, ad eccezione della riforma sanitaria con l’istituzione del servizio sanitario nazionale del dicembre 1978  e l’entrata nell’euro nel 2000 non si promossero riforme  significative se non quella nefasta   del titolo V della costituzione.

Negli anni 80 le riforme furono archiviate, il debito pubblico esplose e prevalse la gestione del potere che sfociò, dopo anni in cui la DC perdeva progressivamente potere, nel periodo del CAF ( Craxi Andreotti Forlani) .  L’immobilismo fattosi governo ben si esprimeva  nel sulfureo detto di Andreotti meglio tirare a campare che tirare le cuoia. Ne seguì  mani pulite a cui successe il primo grande esperimento del populismo antipolitico con il partito azienda di Berlusconi e l’immissione del virus del berlusconismo politico arrivato fino ai giorni nostri. Con buona pace della rivoluzione liberale e varie altre amenità della macchina pubblicitaria del cavaliere.

 

Sabato 29 gennaio 2022 alle ore20,45  nell’emiciclo di Montecitorio una rappresentanza di politici decimata dalle normative anticovid  esplode in un applauso liberatorio per la proclamazione di Mattarella 13.mo Presidente della Repubblica Italiana.

Contemporaneamente giaceva nell’aula  la salma inanimata  di questi partiti, la salma bistrattata della politica.

Ora cosa ci aspetta? Tutti contro tutti , incapaci di sintesi  perché pervasi da identità fluide, preparano vendette. Un clima infernale in cui ci si accuserà reciprocamente di fallimenti in un ring che non è eccessivo definire da matti, senza testa.

Il governo sarà  più forte dicono in coro facendo a gara, ma per fare che cosa? La legge di bilancio 2022-24 ha dimostrato i condizionamenti portati dai diversi schieramenti politici rendendo una legge inadeguata alle sfide che ci attendono.

Dimentichiamo le riforme, sarà un miracolo, se il governo porta a casa l’avvio operativo del PNRR. Dovrà superare l’ostacolo della classe burocratica autoreferenziata sia centrale che periferica, mediocre ed incistata nelle strutture pubbliche (si può dimenticare quando una manina fece uscire sulla legge finanziaria quel commento sulla governance del PNRR che il governo aveva svincolato dai cicli politici?).

Oggi come nel 1978 siamo di fronte alla scelta tra capacità di progettare un idea di futuro e di alleanze per realizzarle oppure ripiegare in cabotaggi gattopardeschi per sopravvivere.

Questa volta però il paese non reggerà perché ormai i nodi sono arrivati al pettine.

Ne elenco solo alcuni: Giustizia  disastrata, diseguaglianze crescenti tra nord e sud e tra classi sociali. Regionalismo centrifugo . I giovani avviati ad un precariato continuo e sottopagati non vanno all’estero solo per studiare ma soprattutto per lavorare perché remunerati dal 30 al 50% in più che in Italia.

Assenza  della grande industria motore dell’innovazione.

Aziende che sopravvivono solo perché esportano in  quanto la domanda interna non cresce, e non potrebbe essere cosi se i redditi sono fermi o inferiori al 1990. Necessità di sviluppare una sanità territoriale e adeguarla alle crescenti richieste di miglior servizio, ma questo impone aumento dei costi dello stato sociale.  Chi li pagherà lo stato o le assicurazioni private?

Infine si sta chiudendo un periodo economico avviato nel 2015 con il sostegno della BCE con forti politiche monetarie espansive. Il nuovo ciclo economico presumibilmente vedrà restrizioni all’immissione di denaro e contemporaneamente aumento dei tassi di interesse che peserà sulle economie maggiormente esposte in termini di debito pubblico.

Prendendo a prestito esempi dallo sport un equipaggio di una imbarcazione vince grazie a tanti fattori che però devono convergere: barca, tecnologia ed equipaggio, leadership ( che non vuol dire leaderismo) in grado di gestire la tattica e la strategia  coinvolgendo tutto l’equipaggio come un sol corpo.

Sarà in grado l’attuale classe dirigente di mettersi all’opera su questo progetto senza guardare alle prossime elezioni ed illudere i cittadini? I dubbi sono molto forti e altrettanto leciti.

Due fattori non giocano a favore , la mancanza di tempo e la qualità del personale politico.

Certo fa riflettere che  tre ruoli cardine delle istituzioni siano guidati da ultra settantenni Giuliano Amato, Presidente Corte Costituzionale 83 anni, Mario Draghi, Presidente del Consiglio 74 anni, Sergio Mattarella Presidente della Repubblica, 80 anni. Non li accomuna solo  un fatto anagrafico ma una cultura politica ed istituzionale salda e formatasi in un’atra epoca, al riparo da derive populiste ed identitarie. Non saranno per sempre tra un anno Draghi terminerà il suo mandato.

Speriamo che il loro senso delle istituzioni e di responsabilità di fronte alla situazione drammatica del paese faccia da argine a derive corsare in cerca di improbabili salvifici presidenzialismi o almeno di esempio per i disinvolti quarantenni.

Per il resto lo sguardo si posa malinconico sui protagonisti degli ultimi giorni Matteo Salvini, Giorgia Meloni, Matteo Renzi, Luigi Di Maio, Giuseppe Conte, Silvio Berlusconi, Enrico Letta e tutti i capi bastone nei diversi agglomerati (perchè di questo si tratta) politici rimasti nell’ombra ma attivissimi con i loro veti insieme agli sbandati del gruppo misto. Leaders e politici senza popolo.

Grazie presidente Mattarella , coraggio e buon lavoro, questo settennato  sarà più impegnativo del precedente.

Ancora una volta in questo tornante della storia la sfida è collegare programmi a quadro politico, politica a società. Auguri Italia!