Renzi e gli italiani, riformisti immaginari.

Prodi aveva definito recentemente la leadership di Renzi “esclusiva, escludente, solitaria”.

In questi tre aggettivi penso si possa riassumere la causa del risultato negativo conseguito dal Presidente del Consiglio Matteo Renzi.

In altri termini ha tentato di cambiare la nazione pensando di essere sufficiente a sé stesso, brandendo fendenti a destra e a manca. Un giorno il sindacato, un altro i compagni di partito, e poi l’alleato per le riforme, quindi i magistrati, i costituzionalisti e chi più ne ha più ne metta.

Ora, banalmente, un cambiamento autoritario non si riesce a fare nemmeno quando si è in due figuriamoci con 60 milioni di persone.

Dimenticando che l’Italia è il regno della consorteria, può piacere o no ma questa è la realtà.

Al di là della retorica “della democrazia è viva perché è andato a votare oltre il 60% degli italiani”, che certamente è un fatto positivo, la realtà vera e che di fronte ai contenuti, peraltro in questo caso anche molto complessi, rispetto alla prospettiva di riformare ha prevalso la fazione e la rivalsa.

E rispetto alla possibilità di avere un po’ più di efficienza e chiarezza si è preferito dare ragione al vecchio Prezzolini che amaramente constatava che “In Italia il governo non comanda, in genere in Italia nessuno comanda, ma tutti si impongono”.

E’ questo l’errore grave di Renzi: aver pensato che poteva connettersi direttamente con l’elettorato indipendentemente dalle appartenenze immaginando degli italiani inesistenti. E’ un errore politico grave. Gli italiani sono e restano di parte: guelfi o ghibellini, prolifici di fini dicitori che ad ogni giro ti illudono di cambiare ma alla fine ti riportano sempre al punto di partenza. Cinicamente gattopardeschi pronti a far prevalere la parte sul tutto.

Non si può governare un paese immaginario od immaginato, come se fosse qualcos’altro. Occorre fare i conti con la realtà del popolo italiano.

Era evidente che avviare un programma di riforme così massiccio, come quello di Renzi, era foriero di scontenti e malumori nel caso si realizzassero e generatore di frustrazione o peggio irritazione se non se ne vedono le conseguenze e restano solo le promesse.

I rischi sono alti, ed è apprezzabile che Renzi abbia avuto il coraggio di correrli, ma occorre un minimo di sagacia, “golpe e lione” come diceva Machiavelli, altrimenti diventano letali se si favorisce, con un comportamento altezzoso ed escludente, la saldatura tra gli avversari interni e quelli esterni unendoli tutti insieme contro, in una sola alleanza.

E’ un errore da ingenuo, pensare di condurre un cambiamento di così vasta portata con una direzione solitaria; anche la Merkel perderebbe se avesse tutti contro, non si dà nessun governo democratico in carica, autosufficiente con oltre il 50% dei consensi, non ci riuscì nemmeno la DC nel 48 che raggiunse la ragguardevole cifra del 48,51 % dei consensi.

Resta poi quel comportamento veramente da bulletto che un po’ ha accompagnato il suo cammino politico, ripetuto quando al seggio si è presentato senza documento d’identità.

Mi conoscete no?

La forma è sostanza. E anche nella forma è naufragato.

Un leader impositivo ed un popolo fazioso hanno fatto fallire un importante opportunità di riforma.

Il danno peggiore è che si è buttato a mare un’opportunità straordinaria che il PD aveva di diventare il motore del riformismo, il lavoro e l’impegno di tante oneste persone che credevano e continuano a credere in una forza riformista.

Ora il futuro si presenta complesso con sempre più evidenti rischi di deriva oclocratica.

Bisognerà trovare il bandolo della matassa per riprendere il filo delle riforme istituzionali ancora una volta drammaticamente interrotto, ma inesorabilmente indispensabili.

Per il Presidente della Repubblica è arrivata la sua sfida storica, Mattarella ha il grave compito di accompagnare questo difficile passaggio della nazione italiana, evitando disastrosi deragliamenti.

Di Fausto Del Pero, 5 dicembre 2016