Il bisogno di un patto politico nel paese
L’esercizio dell’arte della politica richiede il combinato di due elementi: una cultura politica, ossia un insieme di concetti e principi maturati attraverso l’intelligenza delle cose, che permetta di leggere la realtà e darle un indirizzo possibile; una coscienza acuta della storia di cui si è non solo oggetto ma soggetto attivo e che determina la responsabilità etica e politica delle scelte da compiere. Il ricorso a queste due risorse è essenziale all’interno di ogni regime democratico e ancor più si rivela essenziale allorché ci si trova ad affrontare i passaggi istituzionali e politici più delicati. Ed è questo genere di momento che il nostro paese vive in questo agosto nel quale la memoria dei “governi balneari” viene soppiantata dal presente della “crisi balneare” che segna la fine di un’esperienza di governo controversa e su cui occorrerà tornare nel prossimo futuro per misurare la profondità delle lacerazioni sociali e culturali che la politica emergenziale imposta dalla Lega di Salvini lascia in eredità al paese.
La consapevolezza di questo stato di cose accompagna inevitabilmente non solo la formalizzazione istituzionale della crisi, ma incide anche sui suoi possibili esiti. Vi è la comprensibile possibilità che diffidenze reciproche e valutazioni concernenti l’opportunità elettorale giochino un ruolo nelle discussioni interne alle forze politiche. Questo è vero soprattutto per quei partiti di opposizione, primo fra tutti il Partito Democratico, che hanno attraversato questo anno rivestendo il ruolo di opposizione con evidenti fatiche e contrasti interni che l’avvio di una nuova direzione politica non riesce ancora a sanare. Eppure, il determinarsi di una crisi di governo nel quadro costituzionale della nostra Repubblica parlamentare confermato dai cittadini col referendum del dicembre 2016, se investe il Presidente della Repubblica di una responsabilità istituzionale, affida però alle forze che siedono in Parlamento la responsabilità politica di verificare le condizioni per il costituirsi di una maggioranza capace di dare la fiducia ad un governo e successivamente di sviluppare un confronto capace di fissare priorità, contenuti e metodo dell’agenda politica dell’esecutivo.
Rispetto alle molteplici indiscrezioni e alle ipotesi che in questi giorni circolano, serve ricordare che questi sono i confini del perimetro nel quale i partiti sono chiamati ad esercitare la loro funzione politica e che proprio le caratteristiche di questo processo riportano al centro quella duplice esigenza di cultura politica e coscienza storica richiamate in precedenza. Questo significa che occorre certamente aprire un confronto fra il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico, ma che questo non può limitarsi a vagliare una semplice lista di provvedimenti condivisi e condivisibili o di nomi per la composizione di un esecutivo accettabile da entrambe le forze politiche. L’esigenza è piuttosto quella di definire una strategia politica, di individuare quei criteri che non solo permettono di concordare l’agenda dell’esecutivo ma danno alla maggioranza parlamentare che si forma la capacità di sviluppare un rapporto col paese.
La formula, pur efficace, della cosiddetta “coalizione Ursula” può allora esprimere un percorso possibile se viene sostanziata da contenuti e ancora più da una qualità profondamente democratica della proposta di governo. Questo vale ancor più all’interno del quadro europeo che rapidamente si viene delineando. Le intenzioni espresse dalla nuova presidente della Commissione europea, di articolare una politica più attenta alle conseguenze sociali e ambientali della politica economica, trovano una conferma non solo nella prosecuzione delle politiche monetarie della Banca Centrale Europea ma, fatto politicamente più rilevante, nell’annuncio di un consistente investimento del governo federale tedesco in funzione anticiclica da dispiegare nei prossimi mesi. Un simile scenario europeo impone la discussione su questioni come il salario minimo e più in generale le politiche salariali, gli investimenti pubblici e privati e la loro qualità in termini di stimolo allo sviluppo. Tutte questioni a cui occorre guardare con la chiave di lettura dell’ambiente, inteso certo come sostenibilità ecologica ma in quella chiave “integrale” che dà alla politica la consapevolezza del fatto che utilizzo delle risorse, sviluppo economico, sostenibilità ecologica e sociale, investimenti sono parte di un unico processo a cui occorre dare non un semplice indirizzo ma la capacità di adattarsi alle esigenze e alle qualità delle diverse regioni del paese.
È questa una prospettiva che può essere il fondamento di una effettiva proposta di governo, capace non solo di affrontare i nodi della realtà italiana, ma di aprire all’Italia spazi politici rilevanti all’interno dell’Unione Europea e sul piano della politica estera. Se da un lato questo indirizzo si associa a quello dei maggiori paesi dell’Unione e delle stesse istituzioni politiche europee, dall’altro apre la strada ad una rinnovata politica estera di esercizio attivo della pace nell’area mediterranea e nel continente africano e fissa criteri con cui sviluppare i rapporti con i grandi attori globali come gli U.S.A., la Russia, la Cina e con le realtà emergenti quali Brasile, India e Sud Africa.
Un ultimo aspetto appare essenziale ed è quello sul quale soprattutto il Partito Democratico, per la sua natura e le sue origini, è chiamato a misurare la propria capacità politica. La costruzione di una simile agenda di governo richiede un di più di responsabilità democratica, che vada al di là dei numeri parlamentari per ricadere sui gangli vitali del paese. In un tempo nel quale la disintermediazione rende assai raro l’esercizio pieno e compiuto della rappresentanza politica, serve che l’agenda del possibile governo passi attraverso un patto per lo sviluppo. Dai sindacati alle associazioni di categoria, dai soggetti economici e finanziari alle molteplici realtà del terzo settore, da chi fa educazione, ricerca e istruzione alle comunità religiose e culturali che cementano il nostro essere paese, tutte le componenti dell’ambiente Italia devono essere chiamate a farsi carico della partecipazione alla costruzione dell’Italia e dell’Europa di domani. Se interpellato, il paese non si tirerà indietro.