NOI AI REFERENDUM PARTECIPIAMO

Sabato, 31 Maggio, 2025

PARTECIPARE NON È SOLO UN DOVERE ..È IL MINIMO CHE POSSIAMO FARE PER DARE UN SEGNALE IN CONTROTENDENZA AD UNA  CRISI DELLA DEMOCRAZIA DAI CONTORNI SEMPRE PIU PREOCCUPANTI.

 
I referendum sono un momento importante di democrazia diretta. Stiamo parlando del Refendum abrogativo previsto dalla Costituzione all’art 75. Il Risultato è valido se partecipa almeno il50% +1 degli aventi diritto al voto.
L’8 e il 9 giugno gli italiani sono chiamati ad esprimersi su 5 referendum: 4 relativi alle tematiche del lavoro e 1 sulla cittadinanza degli stranieri.
E’ importante andare a votare al di là di come ognuno possa pensare in merito ai temi trattati.
E’ importante perché è una opportunità per contare. Se molti andranno a votare sarà un segno di fiducia nel sistema democratico. Invitare a non votare è solleticare l’ignavia e la pigrizia o il disinteresse dei cittadini.
Partecipare è un diritto e – anche se non sanzionato – un obbligo morale. È un dovere da assolvere per essere cittadini attivi e partecipi di una società italiana ammalata di populismo e di sfiducia nel mondo politico. Argomenti 2000 invita dunque a prendere parte a questa esperienza del processo democratico che regge la nostra vita pubblica e che chiama alla responsabilità compiuta di una cittadinanza attiva. Lo facciamo in coerenza ad un impegno che per noi è passato attraverso lo sforzo di elaborare e presentare, insieme agli amici delle Acli, due proposte di legge di iniziativa popolare sull’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione per democratizzare la vita dei partiti e sulle forme di organizzazione della democrazia partecipativa.
I referendum inoltre ci interpellano tutti singolarmente sono un’occasione per andare al di là delle posizioni dei partiti per esprimere e influenzare direttamente il sistema legislativo che riguarda ognuno di noi.
I temi trattati soprattutto quelli sul lavoro, sono complessi e densi di tecnicismi e non sempre semplificabili, anche perché la legislazione si è modificata più volte nel tempo, qui di seguito, utilizzando in parte le schede predisposte dalle Acli, si cerca  di sintetizzare gli argomenti in questione in modo da favorire una scelta .
 
 
  • 1° QUESITO 

Contratto di lavoro a tutele crescenti - Disciplina dei licenziamenti illegittimi: Abrogazione del decreto legislativo 23/2015

 

  • Il quesito riguarda il cosiddetto Jobs Act. E propone l’abrogazione della disciplina sui licenziamenti.

Il licenziamento intimato dal datore di lavoro nei confronti di un lavoratore subordinato, qualora risulti privo di giusta causa o di giustificato motivo – sia esso oggettivo o soggettivo – produce specifiche conseguenze giuridiche. In tali circostanze, il licenziamento è qualificato come illegittimo, con la conseguente applicazione delle tutele previste dall’ordinamento a favore del lavoratore, le quali possono consistere nella reintegrazione nel posto di lavoro o nel riconoscimento di un'indennità risarcitoria, a seconda della disciplina applicabile e delle peculiarità del caso concreto.

 

La Riforma Fornero (Legge n. 92/2012) aveva introdotto una disciplina differenziata delle tutele contro i licenziamenti illegittimi, modulata in relazione alla tipologia di vizio riscontrato. Con quattro diversi regimi: 

• Tutela reale piena, applicabile nei casi di licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in violazione di disposizioni di legge imperative (ad esempio, licenziamento ritorsivo o in 

violazione delle tutele per maternità). Tale tutela comportava la reintegrazione nel posto di lavoro e il risarcimento integrale del danno subito. 

• Tutela reale attenuata, prevista nei casi di insussistenza del fatto materiale posto a base del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo soggettivo. In tali circostanze, il giudice disponeva la reintegrazione del lavoratore con un limite massimo all’indennità risarcitoria, pari a 12 mensilità. 

• Tutela risarcitoria forte, applicabile nei casi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo privo di ragione economica, organizzativa o produttiva. In tale ipotesi, il lavoratore non aveva diritto alla reintegrazione, ma a un’indennità compresa tra 12 e 24 mensilità. 

• Tutela risarcitoria debole, riservata ai casi di vizi formali e procedurali, prevedeva un’indennità compresa tra 6 e 12 mensilità.

Nel 2015 il governo Renzi introdusse il Jobs Act e il decreto, oggetto del Referendum, che prevede un differente regime tra coloro che sono stati assunti prima del 7 marzo 2015 e quelli successi a tale data. 

 

  1.   Lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 

• Licenziamento nullo o inefficace: in caso di licenziamento discriminatorio, comminato in costanza di matrimonio, in violazione delle tutele in materia di maternità o paternità, o intimato in forma orale, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro e a un'indennità risarcitoria pari alle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino alla reintegrazione effettiva. Tale tutela si applica indipendentemente dal numero di dipendenti del datore di lavoro. 

• Altre ipotesi di licenziamento illegittimo: le tutele variano in base alle dimensioni dell'azienda e al tipo di vizio che inficia il licenziamento. o Aziende con dimensioni superiori alle soglie dell'art. 18 della Legge 300/1970: si applicano le disposizioni dell'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, come modificato dalla Riforma Fornero del 2012, che in specifiche circostanze prevedono la reintegrazione del lavoratore. o Aziende al di sotto di tali soglie dimensionali: si applica l'art. 8 della Legge 604/1966, come sostituito dall'art. 2 della Legge 108/1990, che prevede un'indennità risarcitoria senza reintegrazione. 

      b.    Lavoratori assunti dal 7 marzo 2015 in poi 

• Licenziamento discriminatorio, nullo o intimato in forma orale: il lavoratore ha diritto alla reintegrazione e a un'indennità risarcitoria pari alle retribuzioni perse dal licenziamento alla reintegrazione, indipendentemente dalle dimensioni dell'azienda. 

• Altre ipotesi di licenziamento illegittimo: il Decreto Legislativo n. 23/2015 ha ridotto le situazioni in cui è prevista la reintegrazione, limitandola ai casi in cui sia dimostrata l'insussistenza del fatto materiale contestato. Negli altri casi, è prevista un'indennità economica crescente secondo l'anzianità di servizio.

 • Aziende con dimensioni inferiori alle soglie dell'art. 18 della Legge 300/1970: la reintegrazione non è prevista nemmeno per l'insussistenza del fatto materiale e l'indennità economica è ridotta rispetto a quella prevista per le aziende di maggiori dimensioni.



La Corte è poi intervenuta più volte anche sulla disciplina introdotta dal Jobs Act, dichiarando l'illegittimità costituzionale di alcune disposizioni chiave, modificando significativamente l'assetto originario del Jobs Act, ampliando le tutele per i lavoratori licenziati illegittimamente e rafforzando il ruolo del giudice nella valutazione caso per caso delle misure da adottare.



CHI VOTA SI 

 Elimina il decreto legislativo del Jobs Act e ritorna alla Fornero ma modificata dalla Corte Costituzionale nel 2022. Soprattutto elimina l’onere della prova dell’illegittimo licenziamento a carico del lavoratore.



CHI VOTA NO

Mantiene la legislazione vigente effetto delle diverse modifiche legislative. A favore di questa posizione sta il fatto che a seguito dell’introduzione del Jobs Act non c’è stata la valanga di licenziamenti paventata.

 

 

  • 2° QUESITO 

Piccole imprese - Licenziamenti e relativa indennità: Abrogazione parziale

 

Il quesito mira a rimuovere il limite all’indennità per i licenziamenti nelle piccole imprese sotto i 15 dipendenti. Oggi, in caso di licenziamento illegittimo, il risarcimento non può superare le sei mensilità. Il giudice può decidere fra la reintegra o la corresponsione di un'indennità compresa tra un minimo di 2,5 e un massimo di 6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto percepita. La misura massima delle 6 mensilità suddette può essere maggiorata sino a 10 mensilità, in caso di lavoratori con anzianità di servizio superiore a 10 anni. 

 La sua abrogazione parziale permette di superare questi limiti di indennità.

 



CHI VOTA SI 

Elimina il limite e si rimanda al giudice la valutazione caso per caso in base ad anzianità, impresa etc 



CHI VOTA NO

Non vuole consentire al giudice questa possibilità e in fondo garantire maggiormente il datore di lavoro da richieste importanti che potendosi avanzare potrebbero ampliare il contenzioso da parte dei dipendenti.



3° QUESITO 

  • Abrogazione puntuale del d.lgs. 81/2015 in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi

Il terzo quesito propone di reintrodurre l’obbligo di causale per i contratti di lavoro inferiori a 12 mesi per garantire una maggiore tutela ai lavoratori precari e limitare l’uso dei contratti a tempo determinato.

 

La normativa è stata più volte modificata ad oggi un datore di lavoro può liberamente stipulare con un lavoratore un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato della durata massima di 12 mesi. È possibile stipulare un contratto a tempo determinato di durata superiore (ma comunque non eccedente i 24 mesi) solo in presenza di una determinata condizione descritta da una delle “causali” giustificative previste dalla contrattazione collettiva oppure da esigenze di natura “tecnica, organizzativa o produttiva” individuate dalle parti o, ancora, per esigenze di sostituzione di altri lavoratori. Per proroghe e rinnovi che eccedano i 12 mesi di durata del contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, comunque è richiesto il rispetto di una delle condizioni previste (causali, esigenze specifiche, sostituzione di lavoratori). Qualora venga stipulato un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato che ecceda i 12 mesi, senza che questo sia “giustificato” da una delle condizioni previste dall’art. 19, comma 1 del d. lgs. 81/2015, questo si trasforma in tempo indeterminato dalla data di superamento del termine dei 12 mesi. 

 

 

 

CHI VOTA SI vuole che si reitroducano le causali anche per i contratti inferiori ai 12 mesi e comunque non superiore ai 24 mesi.

CHI VOTA NO ritiene che questa forma di lavoro a tempo sia lo strumento per favorire l’inserimento nel mondo del lavoro.



4° QUESITO

  • Esclusione della responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici: Abrogazione

 

Il quesito fa riferimento alle norme che stabiliscono l’esclusione della responsabilità solidale di committente, appaltante e subappaltante negli infortuni sul lavoro. In questo contesto, l’obiettivo del quesito è quello di rendere responsabile anche l’azienda committente nei casi di infortunio sul lavoro: del resto, come stimato da Fillea Cgil, il sindacato dei lavoratori delle costruzioni, il 70% degli infortuni nei cantieri avviene in regime di subappalto.

Tuttavia si sta facendo riferimento ai “rischi specifici” delle lavorazioni del subappaltatore: allo stato attuale, infatti, il committente non risponde dei danni e degli infortuni derivanti dai rischi specifici propri delle imprese appaltatrici o subappaltatrici. 

Se la proposta di abrogazione fosse approvata, la sola responsabilità civile e risarcitoria del committente – che decida di affidare lavori o servizi in appalto – sarebbe estesa a qualsiasi danno derivante da infortuni sul lavoro subiti dai dipendenti dell’appaltatore e dei subappaltatori, oltre la quota già indennizzata dall’INAIL

 


 

CHI VOTA SI desidera estendere ulteriormente una garanzia civilistica da parte del datore di lavoro rispetto al dipendente.



CHI VOTA NO desidera che la responsabilità relativa ai rischi specifici resti in capo alla società o cooperativa che ha preso l’appalto, anche perché potrebbe richiedere delle competenze e know how che l’azienda che decide di appaltare non ha, e quindi non avrebbe nemmeno le competenze per valutarne i rischi.





5° QUESITO

  • QUESITO SULLA CITTADINANZA: dimezzamento – da 10 a 5 anni – del requisito di residenza richiesto per presentare domanda di cittadinanza italiana da parte degli stranieri provenienti da uno Stato extra




Il quesito mira a modificare la legge 91/1992, Nuove norme sulla cittadinanza, per ridurre da 10 a 5 anni i tempi di soggiorno ininterrotto tra i prerequisiti per richiedere la cittadinanza da parte degli stranieri provenienti da uno Stato non parte dell’Unione Europea, per le quali è già previsto un trattamento di maggior favore (4 anni), così come per l’apolide e il rifugiato (5 anni).

Attualmente, per gli stranieri maggiorenni, non appartenenti ad uno Stato UE, sono necessari dieci anni per la concessione della cittadinanza, mentre uno straniero maggiorenne adottato da un cittadino italiano dopo cinque anni di residenza legale la può richiedere.



CHI VOTA SI 

Desidera che il processo di riconoscimento della cittadinanza si riduca a 5 anni anche se la cittadinanza verrebbe sempre ottenuta per concessione. L’amministrazione, quindi, continuerebbe a mantenere il suo potere discrezionale nella assegnazione o meno della cittadinanza.

Si vuole eliminare la condizione di cittadini senza cittadinanza ed avvicinarsi a paesi come la Francia e la Germania.

Se la modifica fosse approvata, anche i figli minori conviventi degli aventi diritto con i nuovi requisiti otterrebbero la cittadinanza italiana, mantenendo il diritto di rinunciarvi una volta maggiorenni se possiedono un'altra cittadinanza, come previsto dall'articolo 14 della legge sulla cittadinanza. Pertanto, un genitore straniero che diventa italiano dopo cinque anni di residenza potrebbe trasmettere la cittadinanza al figlio. Attualmente, invece, un minore straniero deve aspettare di compiere 18 anni e dimostrare di aver vissuto sempre in Italia per ottenere la cittadinanza, se non può acquisirla tramite i genitori che devono attendere dieci anni. Con il referendum si semplifica il processo per le famiglie, garantendo diritti ai minori. La cittadinanza può favorire una maggiore uguaglianza fra cittadini, incentivando un diverso senso di appartenenza, quindi di pace sociale e partecipazione alla vita e alla politica del paese, migliorando il benessere e il processo di inclusione degli stranieri. Riducendo i tempi si riduce la precarietà e, di conseguenza, aumenta il contributo che le persone straniere portano come investimento nella comunità, nella quale vivono.

CHI VOTA NO 

 Ritiene che non sia questo il percorso per ottenere maggiore integrazione , anzi porterebbe ad una diluizione dell’identità nazionale culturale e religiosa.