Ha fatto molto discutere la modifica introdotta, dal nuovo governo, nella denominazione del Ministero dell'istruzione. L'aggiunta “e del merito” allude ad una concezione della scuola in cui il carattere premiale dovrebbe occupare il primo posto rispetto ad altri aspetti, tipo quello dell'inclusione dei meno capaci. Il tema del merito è certamente di estremo interesse, anche al di fuori dell'ambito scolastico, dato che investe i valori di fondo di una società. Vi sono certamente ragioni sia dalla parte di chi privilegia il merito sia di chi privilegia l'inclusione. Ma nel caso della scuola occorre evitare un macroscopico equivoco.
Mi sembra infatti improprio, come è stato fatto da autorevoli esponenti della politica e della cultura, invocare la Costituzione per giustificare tale scelta. All'art. 34 la Costituzione recita: «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». Il concetto di merito in questo caso non affida alla scuola il compito di selezionare i meritevoli, al contrario. Chiede solo alla scuola di far sì che i meritevoli, con gli adeguati sostegni, siano messi in condizione di raggiungere i traguardi che la loro condizione economico-sociale non consentirebbe. Altri luoghi e strumenti, nell'articolazione della vita sociale, sono deputati a verificare e riconoscere i meriti di una persona.
I costituenti avevano infatti ben presente la situazione sociale dell'Italia appena uscita dalla seconda guerra mondiale. Molte famiglie vivevano infatti nelle campagne, praticando lavori che assicuravano solo bilanci familiari ai limiti della sopravvivenza. I giovani che provenivano da queste famiglie non avevano certo, anche se meritevoli, le possibilità di raggiungere, senza adeguati sostegni, i più alti livelli della loro formazione.
Nella visione dei costituenti la scuola non aveva dunque il compito di selezionare i meritevoli, ma piuttosto quello di garantire a tutti, in particolare ai meritevoli privi di adeguati mezzi economici, di essere messi in condizione di superare le disparità economiche di provenienza. Il compito di riconoscere il merito, nella scuola, è dato semmai dal voto. Ma qui si apre la complessa questione della valutazione, di cui la Costituzione saggiamente non si occupa.
L'iniziativa governativa mi sembra dunque un piccolo, innocuo e furbesco espediente nominalistico per marcare una presunta differenza, a costo zero, mentre ci sarebbe bisogno di un grande sforzo collettivo per ridare alla scuola la centralità che ha perso ormai da tempo. La questione del merito, tra l'altro, non riguarda solo la scuola. Molti altri ministeri avrebbero bisogno di tale aggiunta, in questi casi certamente più appropriata rispetto all'istruzione. Forse che nei lavori pubblici non andrebbe premiato il merito piuttosto che certe equivoche aderenze politiche? Altrettanto potrebbe dirsi di altri ministeri.
di Paolo Nepi