La lezione di David Sassoli

Martedì, 18 Gennaio, 2022

“Senza la materia il nostro slancio spirituale si smarrirebbe nel sogno o nell’angoscia”. David Sassoli citava spesso questa frase di Mounier. La aveva imparata da Paolo Giuntella, uno dei suoi grandi maestri e “fratello” maggiore, che lo aveva introdotto alla spiritualità dell’incarnazione. Così dopo il cenacolo familiare del cristianesimo fiorentino fatto di Giorgio La Pira e don Milani, fatto di “attese della povera gente” e di “obbedienze che non sono più una virtù” (citazioni che fanno capolino nel suo discorso di insediamento a Presidente del Parlamento Europeo), David – David Maria, in onore di padre David Maria Turoldo, poeta dell’incarnazione – incontra il personalismo francese, quella straordinaria sfida novecentesca allo spiritualismo disincarnato e al materialismo greve. La carne, la materia, la storia sono il necessario complemento dello spirito. Senza di esse lo spirito si perde nell’afflizione. Caro cardo salutis, la carne cardine della salvezza, per dirla con un motto dei padri della chiesa tanto caro ai resistenti cristiani. Quando Laura Giuntella, dopo la morte del marito Paolo, chiede a David di scrivere la Prefazione alla nuova edizione del libro Il gomitolo dell’AllelujaDi padre in figlio il filo della fede, David riprende questa frase di Mounier e racconta di questo cenacolo di giovani personalisti che negli anni ’70 si sentiva in sintonia con i “non conformisti” degli anni Trenta, ma anche con il contemporaneo Pasolini. Le sue comunità di formazione (come gli Scout, la Lega Democratica, la Rosa Bianca), il suo impegno professionale, il suo impegno politico, stanno tutti dentro questa logica dell’incarnazione. In cui non c’è il disprezzo per la storia umana, ma il rispetto, l’amore, la pietà.

 

L’ Europa umanizzata

Si avverte la presenza di questo filo conduttore nei suoi discorsi sull’Europa. Ci sono i grandi europeisti italiani sullo sfondo, c’è De Gasperi e c’è Spinelli. Ma ci sono, di nuovo, i personalisti e i non-conformisti francesi. C’è un tocco di Esprit e di Denis De Rougemont, del suo straordinario Messaggio agli Europei del 1948. Del sogno di un’Europa unita nella diversità. Con l’amore per il “genio della diversità”. In cui la diversità non è solo tollerata, ma amata e gustata. E un’Europa senza il suo Ovest e senza il suo Est, senza il suo Nord e senza il suo Sud, non è Europa. In una bellissima foto di David, lo si vede intento a demolire anche lui, nel 1989, un pezzo del muro di Berlino. Meglio non si potrebbe dire la sua passione per l’unità europea.

Ma l’Europa è l’inginocchiarsi di fronte alla dignità di ogni essere umano. Non all’idea dell’essere umano. Non ai principi astratti dei sacrosanti diritti umani, ma di fronte a ogni persona in carne ed ossa. Senza possibili discriminazioni. Per nessun motivo. Né di credo religioso o politico, né di orientamento sessuale. Per questo aveva un’attenzione costante ai diritti dei più vulnerabili. Ai diritti delle donne, delle minoranze, dei giovani. Di quei giovani in cui si rivedeva. Come in Antonio Megalizzi, giovane studente e giornalista desideroso di raccontare al mondo l’Europa e i suoi valori, colpito dal terrorismo a Strasburgo. Le vittime del terrorismo sono le prime ad essere ricordate da lui presidente. L’Europa si fa non solo con il trionfo dei vincitori, ma con la memoria delle vittime, con la memoria dei loro occhi, per usare le parole che ha detto al campo di Fossoli: «Mi hanno sempre colpito gli occhi delle vittime, la fissità degli occhi che guardano, ma non vedono. Sì, gli occhi dell’umanità privata di umanità. Gli occhi delle vittime sono sempre gli stessi. Sono quelli delle foto nei lager, dei condannati a morte, quelli che ritroviamo sempre, in ogni guerra, in ogni persona violentata, annientata, nelle donne umiliate, nelle colonne di famiglie che scappano, nei bambini smarriti, in coloro che annegano, che si aggrappano alla vita e la perdono dicono lo stesso anche a noi oggi»

 

 

La dignità del parlamento

In un’epoca in cui l’istituto del parlamento appare attraversato da una drammatica crisi, messo in discussione dai movimenti populisti che hanno in odio la democrazia rappresentativa e dal dirigismo tecnocratico dei governi, il Presidente Sassoli ha saputo non solo difendere la dignità del Parlamento, ma perfino rafforzarne il ruolo. Sotto la sua guida quest’elefante complesso che è il Parlamento europeo ha saputo trovare meglio di tanti altri parlamenti – ivi compreso il nostro che pare giacere quasi disossato – la via per funzionare in presenza e a distanza, per far sentire la voce dell’opinione pubblica europea. Ha mostrato che l’Europa ha la spina dorsale.  Che non si possono accettare i morti per il freddo alle porte di un continente che fa della difesa della dignità di ogni persona la propria ragion d’essere. Che serve la solidarietà di fronte alla pandemia ma anche di fronte alle richieste di asilo. Che i regolamenti insulsi e ingiusti come il regolamento di Dublino vanno cambiati. Che non ci si può dire europei e offendere lo Stato di diritto, la democrazia e i diritti umani. Che se si vuole un’Europa politica – e David sì davvero, voleva un’Europa politica – questa deve poter decidere come tutte le comunità democratiche a maggioranza perché dietro la facciata dell’unanimità può albergare l’ipocrisia di chi non vuole che l’Europa faccia nulla. Ha insomma mostrato che nella crisi più acuta della democrazia parlamentare un parlamento può tornare a “rappresentare” i bisogni e i desideri dei cittadini. Anche se è un parlamento fatto da 705 membri di 27 Paesi. I sogni, le utopie, se vogliono farsi carne nella storia devono farsi istituzioni. David nel 1983 aveva organizzato la campagna elettorale a Roberto Ruffilli e da lui aveva assorbito questo profondo senso delle istituzioni e questo riconoscimento del loro ruolo: “L’Europa si fonda sulle sue Istituzioni, che seppur imperfette e da riformare, ci hanno garantito le nostre libertà e la nostra indipendenza”.

Lo “slancio spirituale” di David Sassoli non si è “smarrito nel sogno o nell’angoscia” ma, incarnandosi nella storia, ci ha lasciato una grande lezione.

 

* da L'Espresso, 16 gennaio 2022