La guerra chiama una pace possibile

Venerdì, 14 Ottobre, 2022

La guerra che insanguina il cuore dell’Europa e a cui rischiamo di abituarci, non interpella solo la nostra coscienza di esseri umani, ma si rivolge direttamente alla politica perché renda possibile la pace. Se con la guerra tutti perdono, è anche vero che la guerra denuncia il fallimento della diplomazia e quindi della politica, mentre fa emergere il desiderio di pace e chiede scelte conseguenti.

Un aiuto viene dalla Chiesa chiamata a sostenere il disarmo degli spiriti e dei cuori, il superamento dei nazionalismi e delle contrapposizioni tra i popoli e a condannare ogni tentativo falsamente ‘religioso’ di giustificare la guerra, così come è chiamata a suonare l’allarme per la crisi ecologica umana in atto per la distruzione dell’ambiente e per la negazione della fraternità, che si manifesta nei respingimenti e nella segregazione dei migranti.

 

Comunità internazionale e scelte concrete per la pace

Lo sviluppo del magistero della Chiesa non lascia dubbi. Dalla allocuzione di Benedetto XV sulla “inutile strage” fino ai pronunciamenti degli ultimi pontefici, il magistero ha continuamente richiamato il pericolo rappresentato dall’aumento esponenziale di armi e ha denunciato la follia della guerra, a partire dai numerosi microconflitti che hanno causato e tuttora causano in tante parti del mondo morti, ingiustizie, sofferenze, povertà, movimenti migratori. Anche quando la nostra distratta coscienza faceva finta di non vedere. Come operare fattivamente per la pace? La Chiesa incoraggia il potenziamento delle organizzazioni sovranazionali per arginare i conflitti e favorirne la risoluzione attraverso gli strumenti del diritto e accordi internazionali. Va inoltre considerata la presenza di quelle che Papa Francesco nella Fratelli tutti, chiama le «tante aggregazioni e organizzazioni della società civile» che aiutano, con il principio di sussidiarietà a «compensare le debolezze della Comunità internazionale» integrando l’azione degli stati (FT n.175). La pace vera si realizza solo quando si danno le giuste condizioni che favoriscono il dialogo e l’incontro tra persone e popoli. Da credenti dobbiamo non solo annunciare la pace, ma individuare strade concrete, scelte politiche che la rendono possibile. Per questo il desiderio di pace non può essere inteso come pacifismo utopico incapace di fare i conti con la realtà (e come tale screditato).

Ciò comporta che la politica faccia la sua parte. Per questo occorre una politica d’insieme che parta dalla visione di persona, dalla visione di mondo. Chi ha a cuore la convivenza pacifica deve avere un’idea di politica a servizio dello sviluppo dei popoli e della convivenza pacifica. Scegliere la pace implica anche scegliere un’idea di politica che sappia promuovere relazioni pacifiche, un progetto di società coerente con le dichiarazioni di pace, attraverso scelte a livello internazionale e nazionale. In questa prospettiva la decisione di aumentare le spese militari (il famoso 2%), quasi fosse obbligo ineluttabile e senza discutere il contesto più ampio di relazioni internazionali, non è una scelta coerente per un orizzonte di pace. La politica deve operare per favorire i negoziati attraverso cui ottenere il cessate il fuoco tra le parti in conflitto e riaprire la trattativa per il disarmo degli arsenali chimici e atomici; così come vanno avviati processi di riconversione industriale di quelle aziende che producono armi. Sono passaggi che necessitano tempi medio-lunghi, per ridurre il peso della strategia della deterrenza (che invece giustifica il riarmo) e garantire al contempo chi lavora nei comparti economici interessati; proprio per questo c’è estrema necessità di scelte politiche oculate ed esplicite. Occorre che i partiti affrontino il tema della pace (oggi assente) nei loro programmi: una sfida disattesa anche nelle recenti elezioni. I credenti che si impegnano in politica debbono preoccuparsi prima dei contenuti che dei contenitori.

 

La necessità di azioni politico-diplomatiche: quale Europa? Quale Occidente?

Se si vuole la pace occorre porre in essere, anche mentre continuano i combattimenti, tutti i passi possibili perché si avviino i negoziati e questo è compito di un efficace lavoro politico-diplomatico che sappia immaginare con lungimiranza uno scenario in cui i Paesi belligeranti si possano sedere ad un tavolo. Da parte di alcuni, tra cui il presidente Mattarella si è evocata l’esperienza di Helsinki nel 1975: la situazione è assai diversa ma la strada è quella giusta.

Una politica di pace chiede di ripensare il significato stesso delle relazioni internazionali; la geopolitica non può essere vista come una scacchiera su cui spostare i confini, incurante per le conseguenze che seminano morte. La sfida della geopolitica chiama in causa anche il concetto stesso di Europa, la sua cultura, la sua autopercezione. Quale società, quale visione di persona e di libertà propone l’Europa? Ed è questa visione che attrae anche i popoli che sono usciti da regimi totalitari? Quale il ruolo che l’Europa deve giocare sullo scacchiere internazionale? Superpotenza, magari in tono minore, tra superpotenze muscolose o soggetto inclusivo di mediazione tra Oriente e Occidente, operatrice cioè di fili di pace e di cooperazione solidale tra i popoli? 

Non dovrebbe oggi l’Europa, e l’Italia stessa, riprendere quei fili e con tutti gli strumenti della diplomazia proporsi come punto di incontro tra realtà politiche e culturali differenti? Questa guerra rende evidente, anche sulla nostra pelle, come i conflitti provochino conseguenze e ripercussioni sul piano economico e culturale. Si riaffacciano alla ribalta nuovi nazionalismi che possono condurre solo verso il baratro della guerra.

Ciò che serve è un’Europa più politica, è quel passo avanti verso quegli Stati Uniti d’Europa con una propria politica estera e di difesa comune (con relativa razionalizzazione e riduzione delle spese) la cui utilità può essere misurata sul metro dei vantaggi che una politica sanitaria comune ha chiaramente mostrato nel corso della recente crisi pandemica. L’Europa deve fare un passo avanti. E il primo di questi passi è quello di promuovere una Costituente verso una federazione europea in cui potrebbero entrare a far parte inizialmente quei Paesi che ne condividono il progetto, costituendo così un nucleo forte che potrebbe portare agli Stati Uniti d’Europa.