La democrazia dell’Europa

Giovedì, 16 Maggio, 2019

UNA PIATTAFORMA PER LE ELEZIONI EUROPEE DEL 2019

 

Osservando il dibattito pubblico che nei paesi dell’Unione Europea accompagna l’approssimarsi delle elezioni per il rinnovo del Parlamento europeo si notano alcune caratteristiche comuni. Prevale, in ciascun paese, una logica di carattere ‘nazionale’ che trasforma l’appuntamento elettorale in uno strumento di verifica degli equilibri del consenso fra le diverse forze politiche del paese e, più in generale, la tenuta e l’azione della compagine di governo. Accanto a questa osservazione generale, ne emerge un’altra, più complessa e articolata, che riguarda il modo in cui questa campagna elettorale restituisce l’idea di Europa che è maggioritaria fra i cittadini dell’Unione. Di fronte ai rischi legati al successo elettorale di forze che propugnano nuove forme di nazionalismo e si danno come modello forme di democrazia ‘illiberale’, la risposta più o meno condivisa è che questo genere di opzione politica viene alimentato dagli effetti di una crisi economica che è stata profonda quanto lunga, quasi a suggerire la necessità di mantenere i nervi saldi e attendere che la tempesta passi. Eppure, il fatto che Lega e Movimento 5 Stelle abbiano costituito la maggioranza di governo in Italia, che Orban governi l’Ungheria, che in Polonia e in Austria siano al governo partiti che sostengono la priorità assoluta dell’interesse della nazione, o che nelle recenti elezioni in Spagna sia entrata alle Cortes una forza politica di estrema destra con oltre il 10% dei consensi, segna anche una profonda crisi della democrazia e soprattutto della democrazia come forma politica dell’Unione Europea.

Nel momento in cui la crisi economica, nel 2008, ha investito il sistema economico globale, l’Unione come tale ha rilevato una lacuna di iniziativa politica, mostrandosi incapace di attivare efficaci politiche comunitarie sui temi cruciali sui quali si giocava la crisi. L’immagine di un’Europa matrigna, attenta alla rigidità dei parametri di bilancio e dimentica delle sofferenze sociali ha avuto nella crisi del debito greco la sua massima manifestazione. In quell’occasione, di fronte al fallimento di decenni di politica nazionale greca, si è scelto di anteporre il rispetto delle regole di finanza pubblica alla cura della dignità delle persone, determinando conseguenze sociali drammatiche che hanno lacerato il tessuto sociale della Grecia.

È allora evidente che la crisi dell’Unione Europea è reale: c’è sul piano finanziario della necessità di una serie di strumenti politici e legislativi che sostengano lo sviluppo e limitino pericolose distorsioni della funzione delle istituzioni che operano sul mercato; c’è sul piano economico dell’assenza di un quadro normativo relativo al lavoro, soprattutto al salario e alla sua tutela come perno di uno sviluppo individuale e comunitario; c’è sul piano politico di una fragilità della democrazia delle istituzioni dell’Unione, sia sul piano formale dei processi con cui si forma la decisione politica, sia su quello sostanziale di una democrazia capace di dare un’anima alle dinamiche socio-demografiche ed economiche; infine, c’è sul piano sociale di una incapacità di affermare quei principi di sussistenza e solidarietà su cui tutte le carte costituzionali, ciascuna a proprio modo, sono imprescindibilmente fondate.

 

Riannodare i fili del progetto

Le elezioni europee che abbiamo di fronte possono essere la prima tappa di un percorso che riannodi i fili di un progetto politico ambizioso quanto necessario. Non è sufficiente schierarsi con l’Europa contro i ‘populismi’: occorre dare alla parola Europa una consistenza politica che i cittadini siano in grado di misurare e sulla quale si possa rendere evidente l’inattualità storica e la deficienza politica di ogni formula fondata sulla sovranità nazionale in un quadro globale come quello che attraversiamo. Il principio di realtà continua ad essere un elemento imprescindibile per una politica che sappia essere credibile e che invece di conquistare il consenso aspiri a costruirlo attorno ad una progettualità lungimirante. Questo comporta la consapevolezza della complessità e della delicatezza della costruzione dell’Europa e al tempo stesso della sua incompiutezza che rappresenta, tuttavia un valore. Negli ultimi anni non sono mancate prese di posizione e dichiarazioni politiche europee sui diritti sociali (Pilastro Europeo dei Diritti Sociali), sullo spazio urbano europeo (Patto di Amsterdam) e sullo sviluppo sostenibile. Si tratta tuttavia di idee e strumenti che richiedono una capacità politica di applicazione che ancora appare largamente deficitaria perché spesso slegata da principi come la coesione e la solidarietà sociali. Appare significativo il fatto che a far esplodere la rivolta dei gilet gialli in Francia sia stato il tentativo del governo francese di applicare le linee della politica di sviluppo sostenibile europeo in un modo che non ha saputo tenere conto dei costi sociali che questo determinava e della necessità di inquadrare un simile processo dentro una convergenza di tutta l’area politica europea verso un ripensamento dell’economia e dei suoi bisogni energetici. L’Europa non è e non può essere un equilibrio – di bilancio o di peso politico o di poteri – ma un processo storico e umano che accomuna i popoli e i cittadini dei nostri paesi alla ricerca di un orizzonte nel quale i diritti e i doveri individuali e comunitari possono trovare una forma più compiuta. E questo richiede oggi un primato della cultura, ossia di quella sensibilità intellettuale e quel sentire profondo che ci può rendere cittadini europei e ci fa capaci di interpretare un tempo che rende ineludibile la rilevanza pubblica delle esperienze religiose come possibili fermenti di umanizzazione della realtà. È infatti attraverso lo strumento del confronto culturale che la politica può acquistare, anche a livello europeo, gli strumenti per affrontare le delicatissime questioni etiche che segnano il nostro tempo e la nostra società: dalla bioetica alla famiglia.

 

Quale politica per l’Europa

Serve allora ripartire dalla necessità di costruire politiche comuni su questioni cruciali per la tenuta della vita democratica dei paesi europei, a cominciare dalle tematiche di ordine sociale ed economico che riguardano il reddito e il lavoro. L’Unione presenta al suo interno un’economia fortemente diversificata che costituisce una ricchezza e un fattore, per così dire, di ‘democrazia economica’ che argina le forti spinte verso un modello economico unico. Occorre tutelare questo pluralismo economico ma integrandolo dentro un quadro imperniato sulla tutela del lavoro e della sua dignità che passa sia per la cura per le condizioni di lavoro (il lavoro è sempre strumentale al bene della persona e non può mai darsi il contrario) sia per una politica europea dei redditi che rappresenti il quadro dentro cui sviluppare adeguate strategie di lotta alla povertà.

Occorre poi che l’Europa svolga una funzione di primo piano sullo scenario internazionale, assumendo un’iniziativa politica in quelle aree del mondo dove le guerre determinano sofferenze e mettono a rischio la vita di milioni di persone. L’Africa centrale e il bacino del Mediterraneo, l’Ucraina, il Medio Oriente, il Venezuela: sono tutti teatri di crisi nei quali l’Europa come tale è il grande assente. Svolgere un ruolo in politica estera significa rinunciare ad ogni sguardo nazionale, significa maturare la consapevolezza che nella pacificazione della Libia, ad esempio, non si tratta di comporre gli interessi nazionali italiani e francesi ma di essere, come europei, promotori dei diritti dei cittadini della Libia, in modo da costruire relazioni e avviare processi duraturi. Si salda a questo la necessità di andare verso la fine degli eserciti nazionali per dare compimento al progetto di una Difesa Europea, che deve operare dentro una logica imperniata sulla promozione della pace, fondata su un ripensamento dell’ordine internazionale e del diritto internazionale secondo un principio di giustizia. Si tratta di passare dalla logica della sicurezza, che comporta chiusure e muri – reali o virtuali – alla logica del dialogo, del confronto e della promozione umana, dentro e fuori i confini dell’Unione. Costruendo forme di integrazione adeguate e sostenibili e allo stesso tempo solidali.

 

Il ruolo dei partiti

L’avvio e lo sviluppo di un percorso che risponda a queste esigenze ed edifichi una democrazia europea passa necessariamente per la politica fatta di un pluralismo di idee e proposte, per la valorizzazione delle culture politiche che hanno pensato il progetto europeo – quella popolare e democratico cristiana, quella socialista e quella liberale – come delle nuove sensibilità e istanze che emergono su questioni cruciali come quelle ambientali, di giustizia sociale, di sostenibilità integrale delle politiche di sviluppo.

Si pone qui l’esigenza di formule politiche e partitiche adeguate a questa sfida, nella consapevolezza del fatto che le due famiglie “storiche” del socialismo e del popolarismo europeo sono oggi in una crisi irreversibile che chiede non tanto di consegnarle al passato ma di ripensare i contenuti ideali forti di quelle tradizioni che negli ultimi decenni sono stati per lo più abbandonati per sposare, ad esempio, una visione univoca del mercato e dell’economia e delle loro regole. Se risultati recenti, come le elezioni amministrative in Italia e quelle politiche in Svezia e Spagna, attestano una tenuta e una vitalità dello schieramento di sinistra, preoccupa la decomposizione delle forze popolari che apre la strada ad un fronte di destra e conservatore che si attesta su posizioni radicali e spinge anche la sinistra ad essere altrettanto radicale, in uno scenario dove viene meno ogni prospettiva di riforma e di sviluppo. Le forze politiche che si accingono a confrontarsi nelle elezioni europee debbono avere a cuore questo pluralismo di culture politiche: e questo vale ancor più per quelle forze, come il PD, che costitutivamente ambiscono ad essere inclusive e rappresentative di un pluralismo culturale che sa costruire sintesi forti sul piano politico e si collocano in un orizzonte di centrosinistra animato da uno spirito riformatore. La forma data alle liste elettorali, in questo senso, non appare soddisfacente: le modalità di composizione delle liste come la scelta dei candidati ha sacrificato il pluralismo culturale ad altre esigenze a scapito di tradizioni importanti e vitali, come quella cattolico democratica. Urge un recupero su questo punto e più in generale è necessario chiarificare l’identità del partito aprendo una fase costituente scegliendo se essere un partito plurale, secondo il disegno del progetto iniziale, oppure un partito di sinistra che preveda altri partiti con cui allearsi in un centrosinistra riformulato. Noi ci auguriamo che si scelga un taglio plurale, che ambisca a fare del PD il modello del partito europeo dei prossimi decenni: il partito di una democrazia europea.