L’accettazione della storia in una vicenda complessa

Sabato, 11 Febbraio, 2017

Il giorno del ricordo è divenuto, dopo anni caratterizzati da troppi silenzi e non poche strumentalizzazioni, un momento importante della memoria nazionale all’interno di un simbolico cammino che ha portato sempre più cittadini, e soprattutto studenti, a conoscere e ricordare momenti importanti della storia; soprattutto i lati oscuri, spesso rimossi e tragici del novecento italiano ed europeo. Un cammino fondamentale per l’identità della comunità nazionale, sostenuto dalla necessità di riconoscere quello che va considerato un dovere civile al ricordo anche degli aspetti più dolorosi del nostro recente passato.

L’aver istituito, con legge del marzo 2004, il “Giorno del Ricordo” come solennità civile nazionale, è un fatto positivo proprio per «conservare e rinnovare – come recita il testo – la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Quel testo definisce giustamente come “complessa” la vicenda ed è forse utile richiamare tutto il peso di questo aggettivo, in cui si riflette il vissuto delle popolazioni di quell’area così come complessi sono i percorsi individuati per rielaborarlo.

In primo luogo dobbiamo considerare la necessità-difficoltà di “accettare” la storia, con i suoi drammi, con le sue violenze. Per questo la storia va conosciuta, compresa, e non negata. I fatti di cui richiamiamo il ricordo sono di notevole gravità: torture e uccisioni sommarie, violenze e atrocità di ogni genere culminate nella pagina vergognosa delle foibe, hanno lasciato una traccia dolorosa nella memoria di tante famiglie e generazioni. A quella violenza si aggiunse la pagina, non meno drammatica, dell’esodo forzato di centinaia di migliaia di istriani, fiumani e dalmati.

Dobbiamo riconoscere che, al centro di fatti violenti e criminosi che segnano tutte le guerre, sta l'abbruttimento dell'animo umano, sempre favorito dalla degenerazione delle ideologie e dai regimi autoritari e totalitari, di qualunque colore.

Ciò ci deve far dire che la democrazia, ancorché perfettibile, è la forma migliore per assicurare la convivenza pacifica nella diversità e nella pluralità. Ha scritto Jacques Maritain: «Il problema della verità e della fraternità umana è importante per le società democratiche. [...] Se ognuno cominciasse ad imporre le proprie convinzioni e la verità nella quale crede a tutti i suoi concittadini, la vita comune non finirebbe forse per diventare impossibile?». È ciò che è accaduto e che accade.

Di qui può partire un percorso di riconciliazione che rende possibile la pacifica convivenza tra i popoli.

È un tema che riguarda il nostro Paese, ma più ancora investe l’Europa, la sua difficile costruzione

Riconosciamo che dei passi sono stati fatti. È il caso della Commissione bilaterale italo-jugoslava formata da storici dei due Paesi ed incaricata di far chiarezza sul problema delle foibe, e che non a caso ha considerato un periodo storico più ampio, che va dal 1880 al 1956, includendo dunque il Memorandum di Londra. In quel contesto venne riconosciuto che, pur trattandosi di un lavoro «relativo al passato» si trattava di «un documento destinato al futuro».

Mi pare una sintesi efficacie: intraprendere strade che non possono essere divisive, ma favorire già oggi la costruzione di nuove relazioni. È questo il richiamo alla nostra responsabilità nel saper creare dei percorsi che, a partire da vissuti tragici che hanno diviso e ferito profondamente, sappiano condurre ad una ospitalità delle memorie.

Per attraversare costruttivamente esperienze dolorose non basta rinnovare, semel in anno, il ricordo dell’accaduto. L’iniziativa delle terre di confine nordorientali ci rammenta che occorre dare la parola a tutte le parti coinvolte, sostenere la drammaticità dei sentire soggettivo e del sofferto, lavorando perché le parti possano rincontrarsi e riconoscersi. Occorre, per utilizzare una formula, avere il coraggio umano e politico di avviare itinerari di Giustizia Riparativa, come ce ne sono stati in altri luoghi del mondo e come anche all’estremo confine del nostro Nord-Est si è scelto di fare.

Quei fatti ci riportano, tra l’altro, a temi ancora presenti negli scenari di oggi: il rispetto reciproco delle minoranze quale valore inestimabile di convivenza nel lungo periodo e l’accoglienza di chi sfugge dalla guerra e dal terrore.

Si tratta di un lavoro “complesso”, appunto, perché complessa è la storia e complesso è l’animo umano. È probabile che di strade come questa ne avremo sempre più bisogno, se desideriamo che l’Europa possa crescere anche come luogo di rielaborazione di conflitti e non come incubatrice di nuove forme di diffidenza e di ostilità tra popoli.

 

Video dell'intervento alla Camera dei deputati