Molto si è detto e scritto sull’astensionismo che ha caratterizzato la recente tornata elettorale. La disaffezione nei confronti della partecipazione al voto non è mai un bel segnale, anche se molte sono le ragioni che possono spiegare – e in parte giustificare – una scelta che spesso, più che dettata dal disinteresse, sembra nascere dall’insofferenza nei confronti di una proposta partitica nella quale non ci si riesce a riconoscere.
A voler cogliere i segnali che, da ormai troppo tempo, si ripetono e si amplificano di elezione in elezione, vi sono, innanzi tutto, i limiti di una legge elettorale che non offre adeguata rappresentanza ai territori e reale possibilità di scelta agli elettori. Un sistema che accentua la deriva leaderistica della politica attuale e l’autoreferenzialità delle segreterie. Ben difficilmente, però, i partiti modificheranno tutto questo. Sembra anzi che si voglia andare verso una delega sempre maggiore al leader di turno e verso una polarizzazione della dialettica politica. Che fare, allora?
Probabilmente sbaglio – o forse, banalmente, mi illudo – ma credo che il nostro debba essere vissuto come un tempo di semina. La politica cambia se cambiano le domande che le provengono dalla società; ma nuove domande alla politica – serietà, responsabilità, capacità di trovare soluzioni condivise – hanno bisogno di un rinnovato senso di partecipazione civica. Difficilmente le cose potranno mutare se, prima, non cambieranno le richieste che gli elettori rivolgono alla politica: non solo soddisfazione dei bisogni individuali, ma capacità di costruzione di un’avventura comune.
Chi non si riconosce nell’attuale offerta partitica deve quindi impegnarsi nella promozione di una rinnovata cultura politica; cosa che non si improvvisa. Questo, dunque, è il tempo di investire in formazione, senza l’assillo di raccogliere subito e senza la pretesa di sapere quali frutti germoglieranno dal nostro lavoro.
È questo l’obiettivo della SPES, la Scuola di Politica e di Etica Sociale che quest’anno inaugura la sua nona edizione. Una proposta formativa di qualità, che intende promuovere la partecipazione e l’impegno civile soprattutto tra i più giovani. Un itinerario fatto sicuramente di contenuti – in primis la lezione che papa Francesco ci ha affidato con la sua Laudato si’ – ma, più ancora che sui contenuti, la SPES punta a promuovere un diverso stile di impegno pubblico. Una diversa postura politica. Provo a spiegarmi con tre immagini; tre “oggetti” di cui la politica sembra avere un grande bisogno e di cui, alla SPES, proviamo a mettere a fuoco l’importanza.
Ago e filo. In un tempo nel quale sembra così facile lacerare rapporti e legami, si avverte la mancanza di persone capaci di ricucire le relazioni. Compito ingrato e difficile, ma preziosissimo. Sapere artigianale che richiede pazienza e saggezza, ma anche una grande determinazione. Frutto di una cultura riparativa (allergica alle contrapposizioni muscolari) e della capacità di far fatica a vantaggio di altri, più che rivendicare per sé.
Tavolo. Oggi abbiamo bisogno di donne e di uomini che sappiano costruire luoghi di incontro e di dialogo. Spazi nei quali le differenze riescano a riconoscersi reciprocamente, a parlarsi e a trovare assieme soluzioni magari imperfette, ma possibili e condivise. Un lavoro umile, perché si sottrae ai riflettori. L’illusione della politica in diretta streaming, infatti, non fa che amplificare le differenze; un po’ come accade nei talk show, dove ognuno recita la sua parte e cerca l’applauso della propria fazione. Ciò che serve, invece, è un lavoro di ricomposizione, capace di ascolto e di mediazione.
Megafono. Non certo per dar voce al proprio ego, in una gara a suon di decibel urlati in faccia al proprio interlocutore. Oggi abbiamo bisogno di persone capaci di dar voce ai senza voce, agli emarginati, ai fragili. A quella schiera di scartati di cui la politica non si cura perché sa di non poterne trarre alcun vantaggio. Al contrario, solo ripartendo dagli ultimi e dai loro bisogni potremo costruire una società realmente ospitale, in cui nessuno si sente escluso e nella quale ciascuno può offrire un contributo utile.
Molto lavoro ci attende, dunque, a partire da una formazione personale che ci aiuti a cogliere e rilanciare le sfide del nostro tempo. Rimbocchiamoci le maniche e cominciamo a darci da fare.