Per il Mezzogiorno è tempo di un nuovo protagonismo

Martedì, 11 Ottobre, 2022

Nel pensare a quanto è emerso dalle recenti elezioni politiche, e volendo cercare di capire come l’elettorato del Sud si è espresso o non espresso rispetto a quanto offerto dalle coalizioni e dai partiti in lizza, due questioni accendono interrogativi.

La forte astensione che si è manifestata in molte regioni del Mezzogiorno. Su tutte Calabria, Sardegna e Campania, dove la diminuzione della partecipazione alle urne rispetto alle elezioni del 2018 è oscillata tra il 13% e il 15%. In Calabria i cittadini che si sono recati alle urne sono stati il 50,8%, in Sardegna il 53,2% e in Campania il 53,3%.

Qualcuno ha voluto attribuire il netto calo, almeno parzialmente, alle avverse condizioni meteo di domenica 25 settembre. Andando più in profondità, invece, possiamo ritenere che tanti meridionali non siano andati a votare perché hanno perso gran parte della speranza che la politica possa essere in grado di risolvere i problemi comunitari. Tanti hanno rinunciato ad esercitare il diritto di voto perché non si sentono riconosciuti rispetto alle difficoltà di vita personale e familiare. Il senso allora è stato: “Se la politica non mi riconosce, io non riconosco i soggetti della politica”.

La seconda questione è da individuare nelle caratteristiche del voto di chi invece ha scelto di esprimere la propria preferenza politica. Una quota consistente di elettori al Sud ha manifestato consenso per chi ha offerto (M5S) una difesa senza condizioni per il reddito di cittadinanza, percepito come unica risorsa di ultima istanza per tante famiglie deboli, in un contesto socioeconomico sempre più preoccupante e in via di peggioramento ulteriore.

Allora, quali considerazioni formulare rispetto a ciò. Da una parte, si apre un campo di impegno in cui costruire una politica che sia percepita come credibile nelle proposte e negli uomini e donne che se fanno portatori, spingendo le persone a ritrovare il gusto della partecipazione al voto ma anche della cittadinanza attiva; dall’altra parte, superare un’offerta di strumenti difensivi e assistenziali rispetto alle condizioni dei più poveri, andando nella direzione di allestire proposte che restituiscano alle persone protagonismo e dignità rendendole parte attiva della società. La necessità, quindi, di una politica capace di esprimere la creatività della carità e la promozione umana in un territorio come quello del Mezzogiorno che ne ha tanto bisogno. Ne saremo capaci?

I cittadini del Mezzogiorno oggi sono particolarmente disillusi anche perché le reiterate richieste alla politica di un’attenzione forte non hanno trovato alcun ascolto, a fronte di una realtà contrassegnata da tanti giovani qualificati costretti ad andare via, da persone anche occupate sempre più povere, da famiglie quindi in difficoltà a condurre una vita dignitosa, da una povertà educativa che coinvolge fasce significative di minori, da un’inflazione crescente che sottrae risorse a quanti hanno i redditi più bassi, non volendo andare oltre nell’elenco delle ferite sociali e territoriali.

La campagna elettorale delle forze politiche in campo ha mostrato come i problemi della parte del Paese che è a Sud non meritassero iniziative che guardassero al futuro, come se le aspirazioni ad una buona vita da realizzarsi in queste terre non avessero cittadinanza nei programmi dei partiti e movimenti. Forse perché i problemi risultano troppo complessi e difficili da risolvere da parte di un’aspirante classe dirigente di governo che non ha la cultura e gli strumenti adeguati ad affrontare le questioni cruciali di ricostruzione e rilancio dell’Italia. Lo stesso Pnrr che ha proprio questo come scopo sembra messo sullo sfondo, senza volerne prendere in mano gli aspetti da mettere a punto in corso d’opera, in particolare per quanto riguarda la spesa effettiva, per centrare obiettivi e target collegati agli investimenti e alle riforme da realizzare.

Ma il punto che dovrebbe costituire una prospettiva rinnovata è che accanto alla definizione di una visione dei problemi del Mezzogiorno e alle strategie socioeconomiche che la incarnino, c’è bisogno di alimentare un’unità sentimentale, con risvolti operativi, tra gli italiani delle due parti del Paese. Già molti anni fa i vescovi italiani scrissero “il Paese non si salverà se non insieme”. Questo appello oggi è ancora estremamente attuale e andando oltre alle politiche pur necessarie, c’è bisogno di attivare un processo virtuoso tra comunità del Sud e del Nord che si scelgano reciprocamente per avviare scambi di saperi, esperienze, risorse di vario genere al fine di aiutarsi e sostenersi in un’ottica di fraternità vissuta. E i vantaggi non sarebbero solo per la parte più debole, perché essa possiede ricchezze che possono giovare anche alla parte più forte. Pensiamo a giovani meridionali che vadano ad acquisire competenze tecniche in aziende di comunità del Nord per poi ritornare nel proprio territorio e mantenere rapporti con quelle imprese che hanno fatto da tutor. È solo un esempio, ma se ne potrebbero immaginare tanti altri nel campo della cultura, del welfare, dell’ambiente e così via. A cui ora si aggiungono delle risorse importanti, quelle digitali e lo smart working, che rendono la collocazione territoriale meno determinante e tale condivisione ancora più fattibile.

Un aspetto rilevante e da sostenere risiede nel fatto che se la politica latita, nella società civile e responsabile del Sud dell’Italia, negli ultimi tempi, sta riprendo forza la consapevolezza dell’urgenza di rimboccarsi le maniche per tentare di affrontare il nodo irrisolto di uno sviluppo ancora di là da venire per il Mezzogiorno.  C’è bisogno, in questo senso, di riattivare il desiderio che il Sud abbia stagioni migliori. Il desiderio, da intendersi come virtù civile, cioè come sforzo progettuale che guarda al futuro. I meridionali più attivi stanno mettendo in campo un disegno di rilancio e di assunzione di responsabilità che parta dal territorio stesso. Il riscatto del Sud deve, perciò, partire dal Sud stesso.

In questo momento, perciò, è importante riallacciare un dialogo generativo tra società responsabile e politica. Le questioni di grande criticità su cui intervenire, come detto, sono tante. Prima fra tutte la questione povertà che al Sud sta diventando sempre più preoccupante. Ci riferiamo alla questione della povertà assoluta (nel 2021 al Sud il 10% delle famiglie e il 12,1% dei residenti è in povertà assoluta, cioè 2milioni e 455mila persone, con dati in aumento rispetto all’anno precedente), ma anche al problema già richiamato dei lavoratori poveri, rispetto al quale si assiste, in particolare nel Mezzogiorno, ad uno scivolamento sempre più rapido verso condizioni che non consentono di far fronte ai bisogni essenziali delle proprie famiglie. Al Sud si guadagna il 20% in meno che al Nord.

Una questione che si profilerà all’orizzonte del post elezioni è quella del Regionalismo differenziato, la “secessione dei ricchi”, con l’obiettivo di operare un ingentissimo trasferimento fiscale dalle casse dello Stato a quelle delle regioni economicamente più forti del Nord. Autorevoli studiosi temono che con l’autonomia differenziata, almeno per come la si immagina oggi in virtù del criterio della spesa storica, cessi l’Unità d’Italia.

Mentre il cuore del rilancio del Paese, a partire dal Sud, sta nell’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, appostando le dovute risorse, al fine di garantire in modo uniforme sul territorio nazionale i diritti civili e sociali. È il modo più concreto per dare corpo all’edificio dell’eguaglianza sostanziale, voluto dalla Costituzione, in cui ogni cittadino gode degli stessi diritti a prescindere dal luogo in cui in un determinato tempo risiede.

Un altro aspetto fondamentale riguarda il Pnrr. Esso produrrà un impatto positivo solo se il Sud riaccenderà i motori. Il Nord ormai è saturo e non ha possibilità di fare miracoli. Entrando nel merito delle previsioni del Pnrr, più di uno studioso osserva che il 50% delle risorse riguarda immobili, mentre c’è poca attenzione per l’innovazione, così come per le risorse umane. Con uno slogan potremmo dire che ci vuole un grande “Pnrr delle risorse umane”. Il rischio, in sostanza, è che lo strumento non sia risolutivo. Eppure, la mole di finanziamenti, cioè sovvenzioni e prestiti, è sterminata.  Il limite operativo è che il piano si gestisce con i bandi, ma sembra evidente che, soprattutto al Sud, non si possono mettere in competizione le fragilità di tanti comuni, soprattutto di più piccoli. Il limite di fondo, inoltre, sta nel fatto che il Pnrr manca di una visione rispetto alle grandi transizioni, ecologica e digitale, così come relativamente disuguaglianze di genere, sociali e territoriali.

La questione delle questioni per il Mezzogiorno, purtroppo, rimane l’emigrazione dei giovani, circa 100mila all’anno. È l’emorragia dei giovani a cui spesso segue quella dei genitori. Anche rispetto al tema giovani bisogna capire qualcosa in più. “I giovani del Sud hanno un amore senza illusioni per il proprio territorio”, come emerge da una ricerca di Mauro Giardiello docente di sociologia dell’educazione all’Università Roma Tre. Sta emergendo, secondo lo studio, anche un profilo di giovani, i “nuovi mobili”, che coniugano la mobilità con l’appartenenza. Essi non sono né totalmente stanziali, né totalmente mobili. Questi giovani vivono la mobilità come risorsa e non come fuga ed intendono le tecnologie come nuovi modi di appartenere. È importante, allora, investire su questi giovani, in termini di politiche di sostegno e di allestimento di ecosistemi innovativi, per favorirne l’inserimento pieno nella società meridionale anche dopo esperienze fatte altrove. Si tratta di aspetti certamente complessi da affrontare, ma cruciali tenendo conto che anche rispetto alla mobilità vi è una riproduzione delle disuguaglianze.

Dal Sud si può aprire una nuova stagione per il Paese e perché ciò accada il Mezzogiorno deve trovare il modo di farsi sentire, anche con qualche gesto eclatante. Possiamo, allora, dire che non c’è più da attendere ma agire con lungimiranza e determinazione.

 

Ettore Rossi

Coordinatore del Laboratorio per la felicità pubblica