Il Mattarella-bis: un nuovo inizio…

Giovedì, 24 Febbraio, 2022

Un discorso denso, 40 minuti scanditi da più di 50 applausi (molti dei quali accompagnati dalla standing ovation), quello pronunciato da Sergio Mattarella dopo il giuramento, che rappresenta forse il momento più solenne della vita repubblicana a partire dal quale prende avvio il settennato della più alta carica dello Stato. La rielezione di Mattarella suscita in me un mix di suggestioni e riflessioni che proverò ora ad esprimere nel modo più sintetico possibile, accennando anche al messaggio del Presidente.

Se, per un verso, ci si rallegra molto che il 13° Capo dello Stato sia l’uscente, che ha dato mirabile testimonianza di interpretare nel migliore dei modi il munus affidatogli, per altro verso, la sua rielezione è tangibile espressione dello sfascio della politica. Non si può rimanere indifferenti e non ci si può non preoccupare dinanzi alla cattiva prova offerta dagli elettori presidenziali, incapaci di individuare una personalità politica condivisa in grado di prendere il posto di Mattarella. Quest’ultimo, come si sa, aveva chiaramente manifestato l’intenzione di non volere essere rieletto, per ragioni istituzionali e personali che però ha messo da canto per «senso di responsabilità» e «rispetto delle decisioni del Parlamento», volendo farsi interprete «delle attese e delle speranze dei nostri concittadini». Un Capo dello Stato cioè che, pure nei limiti richiesti dalla carica, ha fatto capire dal discorso di insediamento di voler essere prossimo a tutti, soprattutto a chi soffre e fatica di più, e di guardare con attenzione i «segni dei tempi» (Gaudium et spes 4). Viene subito in mente Gaudium et spes 1, che tutti conoscono; mi fa comunque piacere riportarne testualmente la prima parte: «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore».

Un “eccomi”, allora, che è stata la risposta ad «una nuova chiamata – inattesa – alla responsabilità». Un «sì» per un «nuovo mandato»; non sarà sfuggito che opportunamente il Presidente non ha fatto alcun cenno ad una fine anticipata del settennato (le circostanze rispetto al Napolitano-bis sono affatto diverse).

Nel messaggio, il Presidente rieletto ha più volte ribadito la centralità del Parlamento quale «luogo più alto della rappresentanza democratica, dove la volontà popolare trova la sua massima espressione». Assai opportuna, al riguardo, è stata anche l’esortazione ai partiti e ai corpi sociali intermedi, fondamentali per la rappresentanza, chiamati come sono a «favorire la partecipazione, allenare il confronto» e ascoltare i cittadini.

Significativamente, all’inizio del discorso, il Capo dello Stato ha subito messo in luce la sua funzione di rappresentanza dell’unità nazionale, per la quale il senso della misura e la sobrietà che hanno connotato fino ad oggi l’operato di Mattarella saranno fondamentali; tale è anche il richiamo alla «lettera» e allo «spirito» della Costituzione quale «punto di riferimento della [sua] azione». Il Presidente ha inoltre invitato tutti ad uno «sforzo» e ad un «impegno comune», perché il Paese «cresca in unità» e, tra l’altro, perché si possa «riannodare il patto costituzionale tra gli italiani e le loro istituzioni libere e democratiche». Insomma, «insieme, responsabili del futuro della nostra Repubblica».

Il “nuovo” inquilino del Quirinale non ha mancato, poi, di auspicare riforme in materia di giustizia e la necessità di lottare contro le diseguaglianze e la povertà. Si è quindi soffermato sulla dignità, che ha declinato in molti modi, «pietra angolare del nostro impegno, della nostra passione civile».

Molto altro si potrebbe dire (e si dirà) sulle parole pronunciate da Sergio Mattarella, che sono apparse tutt’altro che di circostanza, ma dalle quali è emersa la “forza politica” del Presidente (per richiamare T. Martines). Un messaggio forte che indica una direzione verso la quale procedere, che non è certo quella di una fazione politica ma quella segnata dai valori costituzionali (viene in mente il concetto, invero da alcuni assai discusso, di indirizzo politico costituzionale del quale parlava P. Barile).

Inoltre, alla luce della mia particolare esperienza associativa, non posso che gioire del fatto che l’attuale Presidente della Repubblica, come il fratello Piersanti, abbia vissuto l’esperienza di Azione Cattolica. Sulla base delle informazioni in mio possesso, egli è stato anche responsabile (per essere più precisi, delegato diocesano), dal 1960 al 1964, del Movimento Studenti di quella che all’epoca era la Gioventù italiana di Azione Cattolica (GIAC) di Roma e, dal 1961 al 1965, è stato consultore per la Regione Lazio (potremmo dire, responsabile regionale). Un’esperienza che ha profondamente segnato la vita di Mattarella che, come si legge sul sito dell’Azione Cattolica di Roma, circa dieci anni fa avrebbe dichiarato: «erano i miei anni universitari e sono stati gli anni della mia formazione: l’esperienza di quell’impegno nella GIAC e nel suo Movimento Studenti e, soprattutto, i riferimenti di valore su cui si fondava e quel che ho ricevuto per alimentarlo hanno disegnato il mio senso della vita e la mia fisionomia come persona. Non si tratta, quindi, di ricordi: il contenuto essenziale di quel periodo, straordinario ed e entusiasmante, è, per me, per la mia vita, pienamente attuale».

Con stima e gratitudine, pertanto, non posso che rivolgere un sentito augurio di buon lavoro (anzi, di buon servizio) a Sergio Mattarella e a tutti noi. Si possa camminare uniti, come vera comunità, per portare l’Italia fuori dalla crisi sanitaria e sociale in cui ci troviamo, con l’impegno di attuare nella quotidianità i valori costituzionali e, per chi crede, anche quelli evangelici.

 

Alberto Randazzo
Docente di Istituzioni di diritto pubblico e
Presidente dell’Azione Cattolica dell’Arcidiocesi di Messina Lipari S. Lucia del Mela