Il dio che è fallito. A cent’anni dalla nascita del Partito Comunista Italiano

Lunedì, 25 Gennaio, 2021

Cento anni fa fu fondato a Livorno il Partito Comunista Italiano. Un avvenimento assai rilevante per la storia del nostro Paese che ha visto i membri di questo soggetto politico impegnarsi a difesa dei lavoratori, per la ricerca della giustizia sociale, contro la dittatura fascista e a sostegno della ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale. Si tratta di una storia importante per la quale studiosi, giornalisti e politici di ogni livello e caratura hanno scritto e pubblicato studi, articoli, interviste, racconti. Pertanto, al pari di quanto accaduto nel 2019 in occasione del centenario del Partito Popolare Italiano antesignano della Democrazia Cristiana, il 2021 sarà un tempo dedicato alla ricostruzione storica e politica del contributo che i comunisti italiani hanno offerto alla storia nazionale. In questo lavoro di indagine e ripresentazione, credo sia opportuno ricordare anche la testimonianza che Ignazio Silone ha lasciato della sua esperienza nel Partito Comunista Italiano tramite volume Il dio che è fallito (Edizioni Comunità, 2019).

Sensibile alle questioni sociali, Silone è stato uno dei fondatori del Partito Comunista nel nostro Paese. Impegnato in ruoli di prim’ordine, con l’avvento del fascismo fu costretto alla clandestinità. Al contempo conobbe da vicino la declinazione russa del comunismo e ne rimase fortemente deluso tanto da lasciare il Partito – a seguito di un’espulsione – nel 1931. Con alcuni romanzi come FontamaraVino e pane e Avventura di un povero cristiano, Silone raggiunse la consacrazione del pubblico e della critica letteraria. Dalla testimonianza del romanziere abruzzese, possiamo ricavare una serie importante di spunti e temi utili per comprendere – anche solo parzialmente – quello che nella realtà è stato il Partito Comunista in Italia, e nell’Unione Sovietica, almeno nella sua fase iniziale.

L’adesione al partito della rivoluzione proletaria, per Silone, non era da confondere con la semplice iscrizione a un soggetto politico poiché era una vera e propria conversione che presupponeva un impegno integrale della persona. Inoltre, specie all’epoca del fascismo, appartenere al comunismo poteva significare rompere relazioni amicali o familiari o, addirittura, non trovare un lavoro. Insomma per uomini come Silone il partito diveniva: «famiglia, scuola, chiesa, caserma; all’infuori di esso il mondo circostante era tutto da distruggere […] ogni sacrificio era ben accetto, come un doveroso contributo personale al “prezzo del comune riscatto”» (p. 51). Così, quando sensibilità e intelligenze come le sue scoprivano la complessità e la contraddittorietà dell’impalcatura comunista – che non prevedeva al suo interno un libero dibattito – la crisi non era soltanto politica bensì esistenziale. Infatti, dopo aver visto all’opera i maggiorenti russi del partito e i loro rappresentanti italiani, Silone maturò l’idea che non si doveva dimenticare il motivo profondo della lotta politica solo per la ricerca del successo ovvero dell’occupazione del potere sia all’interno del partito sia nella politica istituzionale.

In particolare, nella sua testimonianza lo scrittore italiano ricorda l’assoluta incapacità da parte di personalità come Lenin e Trotzky di discutere e argomentare attraverso opinioni contrarie alle proprie. Infatti, per il sistema comunista, contraddire o criticare le opinioni dei capi significava tradire oppure far parte della borghesia. Con il passare del tempo, le promesse di democratizzazione della struttura comunista venivano via via disattese per lasciare il posto a un processo dittatoriale che nel tempo ha visto sparire ogni forma di opposizione interna.

L’esperienza di Silone mostra – a chi come noi non ha vissuto direttamente quei periodi storici – che per tanti il comunismo è stato un’autentica religione verso la quale indirizzare fatiche, sforzi, sentimenti. La scoperta della realtà, con il relativo tradimento degli ideali fondativi, fu per lo scrittore italiano – e non solo per lui – un vero e proprio lutto anche perché molti pretendevano dall’azione politica quello che non sarà mai in grado di dare. Così, il comunismo fu per alcuni una sorta di divinità da adorare la quale – una volta tradita e perciò defunta – ha lasciato soltanto l’esperienza di un fallimento.

Appare evidente che la sola testimonianza di Silone non sia sufficiente per ricostruire cento anni di storia del Partito Comunista in Italia caratterizzata da una presenza politica, culturale e sociale di notevole rilevanza. Allo stesso tempo si tratta di un punto di vista credibile e rappresentativo capace tanto di farci uscire dalla solita retorica degli anniversari quanto di consegnare alle future generazioni un approccio alla storia più vicino alla realtà.